Latina

In Argentina Macri costringe Scioli ad un pericoloso ballottaggio il 22 novembre

Presidenziali Argentina e Guatemala: si affermano le destre razziste e securitarie

In Guatemala facile successo per l’ex comico Jimmy Morales
26 ottobre 2015
David Lifodi

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L’esito delle presidenziali argentine e guatemalteche ha un punto in comune: l’affermazione delle destre. Nel paese centroamericano la vittoria di Jimmy Morales era ampiamente prevista e preannuncia altri anni di sofferenza per l’esausto Guatemala. In Argentina, invece, dove qualcuno azzardava anche la vittoria del moderatissimo Daniel Scioli al primo turno, ha rappresentato un’amara sorpresa la crescita del destrissimo (nonostante il maquillage da conservatore) Mauricio Macri: il 22 novembre sarà ballottaggio tra questi due candidati, entrambi di origine italiana, e non è detto che il cavallo kirchnerista riesca a conquistare la Casa Rosada.

In Argentina solo due punti percentuali in più il, il 36,4% rispetto al 34,4%, separano Daniel Scioli, candidato del Frente para la Victoria, da Mauricio Macri, della coalizione di centro-destra Cambiemos. E al ballottaggio è probabile che gli elettori dell’altro peronista in corsa, Sergio Massa, finiscano per scegliere Macri, nonostante lo stesso Massa ancora non abbia dichiarato se appoggiare o meno uno dei due candidati. La chiave di volta è stata la provincia di Buenos Aires, che ha voltato le spalle a Scioli. Maria Eugenia Vidal, candidata di Cambiemos, ha battuto nettamente Aníbal Fernández, esponente del Frente para la Victoria e, detto per inciso, assai inviso ai movimenti. A sinistra, discreto risultato per Nicolás del Caño, che racimola il 3,3% di voti per il Frente de Izquierda e nove seggi. La brusca frenata di Scioli e la contemporanea sorpresa di Macri hanno provocato in Argentina un vero e proprio terremoto politico, ma sono anche frutto della corsa al centro del Frente para la Victoria. Figlio politico di Menem per sua stessa ammissione e addirittura amico dello stesso Macri (non a caso i due contendenti non hanno condotto una campagna elettorale particolarmente polemica tra di loro), Scioli prima delle elezioni aveva segnalato quali avrebbero potuto essere gli esponenti del suo esecutivo: nessuno si sarebbe sorpreso se fossero stati nominati da Macri invece che dal candidato progressista. Un altro errore del Frente para la Victoria è stato quello di contrapporre alla pasionaria macrista Maria Eugenia Vidal un candidato come Aníbal Fernández, legato a Eduardo Duhalde, uno dei presidenti susseguitisi alla guida del paese in occasione del default economico del dicembre 2001 e responsabile di aver rilasciato dichiarazioni poco felici sul caso di Julio López, il primo desaparecido in democrazia. E ancora, ha lasciato assai perplessi la visione di Scioli in politica estera: aldilà della retorica meno latinoamericanista di Cristina Kirchner, Juan Manuek Urtubey, uno degli uomini più vicini al candidato del Frente, più volte ha dichiarato la necessità di giungere ad un accordo con i fondi avvoltoio, oltre ad esprimere la volontà di recuperare un legame più solido con gli Stati Uniti.

Tuttavia, aldilà delle contraddizioni e degli aspetti non molto condivisibili di Scioli, la sua vittoria resta comunque auspicabile per evitare che Macri, ex sindaco di Buenos Aires, si installi alla Casa Rosada. Nel suo discorso ad urne chiuse, Scioli ha chiamato a raccolta gli indecisi puntando sull’indipendenza economica dell’Argentina e sostenendo che le sue priorità sono “gli umili, i lavoratori e la classe media”, oltre a rivendicare i risultati conseguiti dal kirchnerismo in tema di diritti umani. Fermare Macri, per quanto non sia facile, sarebbe comunque importante. Presidente del Boca Juniors per dodici anni, Macri ha utilizzato la squadra di calcio come trampolino di lancio per la carriera politica, ma è stata esclusivamente la bravura del suo team della comunicazione a trasformarlo in candidato conservatore di centro destra. Durante gli anni in cui è stato sindaco di Buenos Aires, Macri si è distinto per le sue campagne razziste e securitarie, da quella contro i cartoneros alla violenta repressione contro i migranti al Parque Indoamericano della capitale, per la quale sguinzagliò squadracce legate in parte anche alla tifoseria del Boca, fino alle dichiarazioni omofobe e all’invio della polizia contro i lavoratori del Borda (il più grande ospedale psichiatrico della città) in lotta. Tanto per far capire il personaggio, Macri in caso di vittoria si discosterà dalla politica latinoamericanista di Cristina Kirchner e, tra i suoi primi atti, chiederà la liberazione di Leopoldo López, il picchiatore e provocatore venezuelano che l’opinione pubblica insiste nel far apparire come un sincero democratico incarcerato ingiustamente da Maduro. In caso di rifiuto, Macri ha già promesso ritorsioni contro il Venezuela all’interno del Mercosur.

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Se il successo di Macri farebbe tornare indietro l’Argentina sotto molti aspetti, la schiacciante  vittoria dell’ex-comico Jimmy Morales in Guatemala rischia di affossare definitivamente il paese: sui social circola già la battuta salieron de Guatemala y entraron en Guatepeor. Morales ha conquistato il 68,7% dei voti rispetto al 31,2% della socialdemocratica Sandra Torres in un ballottaggio caratterizzato da un altissimo astensionismo. Oltre il 45% degli elettori non si è recato alle urne rispetto al successo del primo turno, quando aveva votato il 71% dei guatemaltechi. Non appena ha avuto certezza della sua vittoria, Morales ha invitato Stati Uniti e Canada ad investire in un paese dove già la transnazionali si sostituiscono allo stato e in cui i conflitti sociali e ambientali contro la costruzione di nuove dighe e miniere sono in continua crescita. È molto facile immaginare che la repressione aumenterà ulteriormente rispetto al già sanguinario ex generale (ed ex presidente) Otto Pérez Molina, conosciuto come “Mano Dura”. Appoggiato dal Frente de Convergencia Nacional (costituito in gran parte da ex militari riuniti nella fascistissima Asociación de Veteranos Militares de Guatemala), Jimmy Morales è noto per le sue provocazioni e per le sue dichiarazioni apertamente omofobe  e razziste, tra cui quella relativa alla negazione del genocidio maya. Morales, all’insegna dello slogan ni corrupto ni ladrón, ha sfruttato al meglio il vuoto politico causato dallo scandalo per corruzione denominato “La Linea”, che ha costretto Molina e la sua vice Roxana Baldetti alle dimissioni. Le mobilitazioni di piazza che per tutta la primavera hanno scosso il paese non sono riuscite però a creare le condizioni per un cambio reale in uno dei paesi più diseguali e violenti dell’America Latina. Troppo debole e lontana dalle piazze la candidatura di Sandra Torres, mentre a destra Morales ha sfruttato anche i guai giudiziari di Manuel Baldizón, inizialmente favorito per la vittoria, allo scopo di avere campo libero. Se Byron Lima Oliva, uno dei mandanti dell’assassinio del vescovo Juan Gerardi, ha dichiarato che Jimmy Morales “è il miglior presidente del paese”, c’è davvero di che preoccuparsi.

Argentina e Guatemala sono due paesi estremamente diversi, ma purtroppo uniti, in questo caso, da due personaggi poco affidabili accomunati dallo stesso razzismo e dallo stesso qualunquismo. Il Guatemala è finito ancor più nel baratro e l’Argentina potrebbe finirci presto se Macri, tra le altre cose nipote del fondatore del partito italiano L’Uomo Qualunque, conquisterà la Casa Rosada. 

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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