Latina

Il moderatissimo Daniel Scioli si ritrova ad essere il baluardo delle sinistre latinoamericane

Argentina: il 22 novembre ballottaggio presidenziale con valenza continentale

La destra spera in una vittoria di Macri per rilanciare l’offensiva neoliberista in America Latina
19 novembre 2015
David Lifodi

internet

Il ballottaggio per stabilire chi sarà l’inquilino della Casa Rosada per i prossimi anni, in programma il prossimo 22 novembre, rappresenta una vera sfida da dentro o fuori, non tanto per le differenze tra il moderatissimo candidato progressista Daniel Scioli e il “destro” Mauricio Macri, ma perché un’eventuale vittoria dell’esponente di Cambiemos aprirebbe una pericolosa ondata restauratrice in America Latina.

Le destre del continente latinoamericano guardano con estremo interesse a quanto sta accadendo a Buenos Aires, hanno già plaudito all’inatteso exploit di Macri al primo turno e sperano che il vento cambi. Entrambi figli politici del menemismo, i due contendenti si differenziano soprattutto perché Scioli è sostenitore di un liberismo temperato, mentre Macri auspica il ritorno ad un neoliberismo selvaggio. Non solo: se il leader di Cambiemos conquistasse la Casa Rosada, l’Argentina uscirebbe immediatamente da tutte le istituzioni create in America Latina per fortificare l’integrità regionale, si avvicinerebbe pericolosamente a quell’Alleanza del Pacifico benedetta da Washington e, in ultima istanza, anche all’interno del Mercosur il paese assumerebbe posizioni assai diverse da quelle sostenute finora. Inoltre, la vittoria di Macri sembra essere tutt’altro che una chimera, anche perché all’interno della sinistra, soprattutto quella radicale, sono sorte numerose divergenze, riassumibili principalmente sulla necessità di votare Scioli per evitare un salto all’indietro, oppure astenersi, con il rischio però di buttar via voti utili per scongiurare che un losco figuro come Macri sieda alla Casa Rosada. Gli avvoltoi, per una volta, non sono quei fondi speculativi che intendono far tornare l’Argentina alla crisi economica del 2001, ma i leaders delle destre latinoamericane. Il brasiliano Aécio Neves, sconfitto da Dilma Rousseff nella corsa alle presidenziali, e l’uruguayano Lacalle Pou, anch’esso perdente nella contesa presidenziale con Tabaré Vázquez, già si fregano le mani ed auspicano modifiche radicali nell’orientamento del Mercosur. Il principale esponente dell’oligarchia ecuadoriana, Guillermo Lasso, sostiene da Quito che la lotta di Mauricio Macri per la Casa Rosada “ci riempie l’animo e rappresenta un buon auspicio”,  e ancora l’ultraconservatore boliviano Samuel Doria Medina già pregusta un “tempo nuovo” nel caso in cui l’ex sindaco di Buenos Aires soffi la poltrona presidenziale a Scioli, Da questo quadretto non poteva mancare nemmeno il pluriperdente Henrique Capriles e la sua Mesa de Unidad Democrática, ansiosi di sconfiggere il chavismo nelle elezioni di dicembre approfittando delle difficoltà del presidente venezuelano Maduro e sfruttando il nuovo vento che spira da destra per lanciare l’agognato referendum revocatorio nel 2017. Infine, Macri gode di un altro sponsor di prim’ordine. L’ex presidente colombiano Uribe, una delle figure più influenti dell’ultradestra latinoamericana, non ha voluto rinunciare all’endorsement per il leader di Cambiemos, approfittando di ogni occasione utile per denigrare Daniel Scioli e il suo Frente para la Victoria. Anche di questo non c’è da stupirsi poiché Macri e Uribe, già lo scorso anno, in occasione del Congreso Internacional de la Federación Panamericana de Seguridad Privada, si erano lodati reciprocamente.

A sinistra, invece, regna ancora l’incertezza sul da farsi. Non è un mistero che Scioli e Macri sostengano entrambi gli interessi delle grandi corporations, appoggino l’estrazione mineraria e di certo non metteranno mano alle grandi questioni sociali, dal garantire i diritti sul lavoro al battagliare contro i fondi avvoltoio passando per i diritti civili e sociali. È altrettanto vero che il Frente para la Victoria ha imposto Scioli alla propria base, che chiedeva di procedere in un’altra direzione, anche se è innegabile come, nelle primarie rese obbligatorie all’interno di tutti i partiti, proprio Scioli abbia conquistato la vittoria senza troppe difficoltà. “Per difendere i tuoi diritti e il tuo futuro, nelle fabbriche, negli ospedali e nei quartieri popolari, è necessario il voto en blanco per non dare alcun potere ai due contendenti”, evidenzia una parte della sinistra radicale riunita sotto la bandiera del Frente de Izquierda (Fit), il cui risultato al primo turno è stato più che soddisfacente. Tuttavia, se l’Argentina ha bisogno di una sinistra d’alternativa, combattiva, ma non settaria, un’eventuale vittoria di Macri porterebbe al potere una delle destre peggiori, e più pericolose, dell’intero continente sudamericano. Se Scioli incarna gli ideali di un liberismo in salsa vagamente progressista, è anche vero che un suo successo servirebbe per far mantenere quantomeno l’Argentina tra gli assi portanti dell’integrazionismo latinoamericano e difendere le conquiste sociali raggiunte nell’era kirchnerista, anche se il candidato del Frente para la Victoria sembra intenzionato a raggiungere un opinabilissimo accordo con i fondi avvoltoio. Se vincesse Macri, solo per fare un esempio, i macellai della dittatura probabilmente avrebbero gioco più facile nell’evitare di presentarsi di fronte alla giustizia, come invece è accaduto sotto Néstor e Cristina Kirchner, i quali hanno dato impulso ad un percorso per la tutela della memoria storica che fino alle loro presidenze era inesistente, nonostante la macchia di Julio López, il primo desaparecido in democrazia per il quale entrambi non hanno approfondito il caso come forse avrebbero dovuto. E ancora, in caso di vittoria di Macri, il paese tornerebbe ad essere quello degli anni Novanta in versione menemista e leggi come quelle sul Servicio de Comunicación Audiovisual o sul Matrimonio Igualitario finirebbero per diventare una chimera. È basandosi su queste premesse che un’altra parte della sinistra alternativa invita a votare per Scioli, esclusivamente allo scopo di evitare il cosiddetto cambio reaccionario.

Di certo un eventuale presidenza Scioli sarà comunque condizionata dalla destra e sarà in ogni caso necessario contrastare le grandi opere, tutelare la sovranità nazionale dalle multinazionali e promuovere un sindacalismo combattivo. Votare Scioli non significa necessariamente condividere il suo programma, ma recarsi nell’urna per opporsi a Macri e quindi per autodifesa. Il 23 novembre sapremo se sulla Casa Rosada sventolerà una bandiera timidamente progressista o se le destre del continente potranno inserirsi sulla scia di Macri per rilanciare la propria offensiva in tutta l’America Latina.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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