Latina

Grazie alla vittoria di Mauricio Macri le destre continentali sognano il ribaltone in America Latina

Argentina: un pericoloso neoliberista alla Casa Rosada

L’Argentina uscirà dal campo dell’integrazionismo latinoamericano
24 novembre 2015
David Lifodi

internet

Lo sguardo proteso verso il futuro, quasi un ghigno feroce, di Mauricio Macri, non appena ha ricevuto la conferma di aver conquistato la Casa Rosada, fa paura: non solo a tutti quegli argentini che non l’hanno votato ed hanno scelto Scioli secondo la teoria del male minore, ma a tutta l’America Latina progressista, che rischia di subire seri contraccolpi dalla nemmeno troppo inattesa elezione del leader di Cambiemos.

Il 51,41% di Macri, che è divenuto presidente con circa 700mila voti in più di Daniel Scioli, rappresenta un vero e proprio capitale per le destre continentali. L’Argentina uscirà dalla sfera d’influenza bolivariana e, come aveva già aveva fatto in campagna elettorale, Macri ha subito sparato bordate nei confronti di Nicolás Maduro, atteso da un difficile passaggio elettorale in dicembre. Senza contare che le gravi difficoltà in cui si dibatte anche il Brasile, di carattere politico ed economico, potrebbero rappresentare un ulteriore assist per Mauricio Macri, intenzionato a cambiare orientamento e rapporti di forza all’interno del Mercosur. L’arrivo al potere del presidente di origine calabrese, abile a saper sfruttare anche gli errori del kirchnerismo, non promette niente di buono nemmeno sul versante dei diritti umani, e davvero non si capisce come gran parte della stampa, quella italiana in testa, si ostini a definirlo un liberale, quando le sue amicizie e il suo programma sono chiaramente tipici di una destra dura e pura. Il ticket Mauricio Macri-Gabriela Michetti (che sarà vicepresidente) rappresenta una sconfitta di enormi proporzioni per i movimenti sociali e le classi popolari: il sí se puede con cui Macri e i suoi sostenitori hanno festeggiato un successo che, purtroppo, possono definire a ragione “storico”, rischia di rappresentare l’inizio di un periodo molto buio per l’Argentina. Tuttavia, il 48,59% di persone che hanno votato contro Macri (più che a favore di Daniel Scioli), fanno pensare ad un paese spaccato a metà, come ha evidenziato il quotidiano Página 12: il nuovo presidente non ha il paese ai suoi piedi, quindi sarà possibile fare opposizione ad uno dei più pericolosi capi di stato che abbia mai avuto l’Argentina. La chiave di volta del successo di Macri sono state la città di Cordoba e quella provincia di Buenos Aires amministrata per otto anni proprio da Scioli, fino a pochi anni fa uno storico bastione del Frente para la Victoria. Difendere le conquiste sociali raggiunte negli ultimi anni di fronte a Macri non sarà facile, ma se si considera come gli ultimi sondaggi dessero il nuovo presidente avanti di almeno il 6% delle preferenze, significa che una buona parte degli argentini ripudia comunque il leader di Cambiemos, considerando lo scarto finale di poco inferiore al 3% rispetto a Scioli. Le politiche antipopolari di Macri, già attuate durante tutta la jefatura in qualità di sindaco di Buenos Aires, sono state in un certo senso anticipate alcuni giorni prima del voto. Il neopresidente ha già fatto capire che i processi contro i repressori della dittatura potrebbero non essere perseguiti con lo stesso zelo dell’era kirchnerista e, a questo proposito, risultano preoccupanti le minacciose scritte sui muri apparse nei dintorni della tristemente famosa Esma e in altri luoghi simbolo della dittatura, da Buenos Aires a Rosario.

Il legame di Macri con la destra internazionale e con l’ambasciata degli Stati Uniti è noto, ma l’ex presidente del Boca Juniors, che alla fondazione del suo partito, Propuesta Republicana (punta di diamante della coalizione Cambiemos) auspicò la caduta del kirchnerismo, è in combutta con personaggi dai curricula tutt’altro che rassicuranti. Non solo Álvaro Uribe, ex presidente della Colombia legato ai paramilitari, ma anche Alejandro Peña Esclusa, presidente della Fundación Unoamérica (composta da ex militari delle dittature del Cono Sur), risulta essere tra gli amici intimi di Macri, che peraltro è il primo presidente a giungere alla Casa Rosada con due processi pendenti. Il primo riguarda l’accusa di spionaggio contro Sergio Burstein, rappresentante dei familiari delle vittime dell’attentato contro l’Asociación Mutual Israelí Argentina (per  il quale la stampa argentina e non solo ha cercato in ogni modo di collegare la ex presidenta Cristina Kirchner all’assassinio del giudice Nisman), il secondo è relativo invece all’utilizzo della polizia metropolitana per reprimere una protesta di lavoratori, medici e pazienti dell’ospedale psichiatrico di Buenos Aires “El Borda” nell’aprile 2013, terminata con cinquanta feriti tra i manifestanti. Sempre Macri, ancora in qualità di sindaco della capitale, ha la responsabilità di aver scatenato la caccia al migrante al Parque Indoamericano, dove abitano boliviani, peruviani e paraguayani in condizioni molto difficili, scatenando le sue squadracce, alcuni dei suoi componenti provenienti dalle gradinate della Bombonera, lo stadio del Boca Juniors. Proprio per tutti questi motivi non si capisce davvero l’entusiasmo della nostra Repubblica, che sul proprio sito ha pubblicato una sconcertante e fuorviante intervista al regista Mimmo Calopresti, dove si incensa Macri, leggibile qui.

Nonostante siano trascorsi due giorni dalla sua elezione, Macri sembra avere le idee molto chiare su quale sarà la sua squadra di governo. Alla Sicurezza circola il nome del suo fedelissimo Guillermo Montenegro, che ha ricoperto lo stesso incarico per il comune di Buenos Aires sotto Macri ed è stato il principale ispiratore della repressione al Borda e all’Indoamericano. In qualità di ministro del Lavoro si parla di Jorge Triaca, Ezequiel Sabor o Hugo Moyano, tutti vicini a sindacati gialli, mentre un altro uomo molto vicino a Macri dovrebbe guidare il ministero dell’Istruzione: si tratta di Esteban Bullrich, anch’esso con esperienza in questo ruolo per aver già ricoperto lo stesso incarico a Buenos Aires all’epoca in cui il nuovo inquilino della Casa Rosada era sindaco. Preoccupano, ma dal punto di vista di Macri risultano essere più che logiche, le cariche al ministero dell’Economia, che sarà scorporato in tre. All’Economia e alle Finanze ci potrebbe essere Alfonso Prat-Gay (ex JP Morgan), alla Produzione Francisco Cabrera (già ministro con delega allo Sviluppo economico a Buenos Aires) e all’Energia l’ex Ceo di Shell Juan José Aranguren.

Per l’Argentina si aprono degli anni difficili: starà ai movimenti sociali, ai sindacati, alle associazioni impegnate per i diritti umani e, più in generale, all’intera società civile, vigilare affinché Macri non riporti il paese indietro di anni. 

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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