Venezuela: a rischio il “proceso bolivariano”
Tuttavia per il Venezuela chavista si apre un periodo che si annuncia durissimo: non solo la Mud smantellerà le conquiste ottenute dal proceso bolivariano dall’avvento di Chávez, ma coglierà l’occasione per chiedere la testa di Maduro ben prima della scadenza del suo mandato e tenterà di ricollocare il paese nello scacchiere latinoamericano in spregio all’esempio che rappresentavano Miraflores e Caracas per tutte le sinistre continentali. La sberla è stata notevole: i 112 seggi conquistati dalla Mud, che riunisce ben 28 partiti, significano che il Partido Socialista Unido del Venezuela (Psuv) ha perso il controllo dell’Assemblea Nazionale, dove si troverà in minoranza, anche se Maduro rimane alla guida del paese, al contrario di quanto scritto in maniera grossolana e poco informata da buona parte della stampa estera, compresa quella italiana. El cambio, auspicato da tutti i peggiori figuri della destra latinoamericana, è arrivato soprattutto grazie alla disastrosa situazione economica che vive il paese, su cui ha prosperato un’opposizione che per tutta la campagna elettorale, ma anche negli anni addietro, non ha mai presentato uno straccio di programma presentabile, se non quello di gridare istericamente all’antidemocraticità del chavismo con la grancassa della maggioranza dei media che nel corso degli anni le hanno preparato il terreno con il sostegno logistico e finanziario degli Stati Uniti. Il paese ha vissuto, soprattutto negli ultimi tempi, sotto un assedio costante, mediatico ed economico, in cui è stato facile per la Mud approfittare del malcontento della popolazione, esasperata dalle lunghe file per accaparrarsi generi di prima necessità nei supermercati e dalla mancanza dei medicinali. D’altro canto, i programmi sociali a cui ha dato impulso il chavismo, tuttora all’avanguardia in tutta l’America Latina, non sono serviti per conservare speranze di vittoria: molti dei candidati del Psuv sono stati imposti alla base, mentre quella dannata boliborghesia che aveva indossato la camicia rossa di Chávez per puro opportunismo ha voltato le spalle, dopo essersi accaparrata una serie di privilegi ben lontani dall’idea di politica del compañero presidente. In definitiva, la vittoria dell’opposizione non è dovuta tanto alla sua capacità di far presa sulla popolazione, quanto alla corruzione che è penetrata dentro una parte del chavismo, ma soprattutto alla controrivoluzione, anche se è un dato di fatto che la disfatta del Psuv è derivata dal voto alla Mud non solo dei settori reazionari e storicamente anti-chavisti, ma anche da molti comuni cittadini.
La caduta del Psuv è arrivata il 6 dicembre scorso, a 17 anni esatti da quel 6 dicembre 1998 che consacrò per la prima volta Hugo Chávez alla guida del Venezuela con il 56% dei consensi. In mezzo, 18 affermazioni di fila del movimento bolivariano, che spesso aveva anche ridicolizzato nelle urne un’opposizione definita non a torto di vendepatrias e di golpisti, che ora avranno però il potere di proporre riforme costituzionali e soprattutto il referendum revocatorio per far cadere in anticipo Maduro, la cui presidenza è inevitabilmente indebolita in un contesto caratterizzato da una forte crisi economica, politica e sociale. Tra le chiavi che hanno determinato la caduta del chavismo si trova, in primo luogo, quel malessere della popolazione a cui il governo non ha saputo rispondere, insieme alla caduta del prezzo del petrolio di fronte alla quale il Psuv si è trovato impreparato, tanto da non riuscire né a generare un forte tessuto industriale né a recuperare una produzione agricola o a risolvere il problema della mancanza dei prodotti di prima necessità. Su tutto questo hanno prosperato clientelismo e corruzione, mentre la violenza di strada, caratterizzata dalle guarimbas promosse da personaggi come Leopoldo López e María Corina Machado, ha contribuito notevolmente a generare un clima di ingovernabilità edi insicurezza. Entrambi, nonostante sui media continuino ad essere descritti, incredibilmente, come sinceri democratici, hanno sfruttato l’appoggio delle destre continentali. Mauricio Macri, non appena eletto alla Casa Rosada, ha chiesto subito la libertà per Leopoldo López, noto alle cronache per essere un picchiatore della prima ora e per questo in carcere, così come hanno fatto osservatori internazionali chiamati a Caracas dalla Mud e tutt’altro che imparziali. Le dichiarazioni dei vari Jorge Quiroga, Andrés Pastrana e Luis Alberto Lacalle (ex presidenti destrorsi rispettivamente di Bolivia, Colombia e Uruguay), che auspicavano el cambio, denunciavano il controllo sui media del chavismo e sostenevano apertamente l’opposizione, hanno ricevuto in cambio la sospensione delle credenziali di osservatori non perché il governo di Maduro si configuri come un regime, ma, più semplicemente, poiché il Consejo Nacional Electoral sancisce che gli osservatori internazionali debbano svolgere il loro compito in maniera indipendente. Al contrario, tutti e tre hanno violato il regolamento del Cne con le loro dichiarazioni, quindi il loro allontanamento è dovuto a questo, ma anche in tale circostanza la stampa mainstream ne ha subito approfittato per denunciare il supposto regime chavista.
Sono già in molti quelli che gridano alla fine del chavismo. Dall’Italia la nostra ministra degli Esteri Federica Mogherini si è felicitata per il risultato elettorale (senza sapere, probabilmente, nemmeno cosa siano la Mud, le guarimbas e ignorando un’aggressione che dura almeno dal fallito golpe filo padronale dell’11 aprile 2002), in molti plaudono alla distruzione di Petrocaribe già annunciata dall’opposizione insieme alla promessa di silenziare i giornalisti non graditi, oltre a tifare per una dissoluzione del laboratorio politico bolivariano. Le sfide che dovranno affrontare Maduro, il Psuv, ma anche tutto il campo progressista latinoamericano, sta adesso nel difendere le conquiste ottenute dal chavismo poiché, come ha dichiarato lo stesso presidente, “abbiamo perso. Por ahora”.
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