Colombia: verso la pace, ma con l’incognita del paramilitarismo
Nelle parole delle Farc, “non ci siamo seduti al tavolo dei negoziati per arrenderci o finire in carcere”, sta il nodo principale delle trattative in corso all’Avana e, soprattutto, l’esito. La pace è possibile ad una sola condizione, quella di una Colombia dove la giustizia sociale non sia ancora una volta umiliata e messa all’angolo. Del resto, il ricordo della fine di Unión Patriótica decretato per mano dello Stato negli anni Ottanta, con l’assassinio di almeno cinquemila militanti, oltre che dei candidati a Palacio Nariño Jaime Pardo Leal e Bernardo Jaramillo, di deputati, sindaci e consiglieri di Up, brucia ancora. E invece si parla solo di smobilitare la guerriglia, ma mai di farla finita con il paramilitarismo, mentre Juan Manuel Santos, solo per la stampa più presentabile di Uribe, ma che in qualità di suo ministro dell’interno si è reso responsabile del caso dei falsos positivos, sta già varando un nuovo Plan Colombia con gli Stati Uniti: la prima versione del piano, risalente al 2000, fu firmata dagli allora presidenti Bill Clinton e Andrés Pastrana. Denunciano ancora le Farc: “Il governo deve capire che non è possibile la trasformazione di un’organizzazione armata in un movimento politico se non si blocca il paramilitarismo di stato mascherato da banda criminale”. In effetti, ogni volta che le Farc si sono battute contro gli squadroni della morte, l’esercito è sempre intervenuto in appoggio dei paras. Tuttavia, mai come questa volta la pace sembra ad un passo. All’Avana si è parlato delle Zonas de reservas campesinas, della nascita di un tribunale di giustizia e pace, della liberazione dei prigionieri politici e di una nuova Costituente. Inoltre, il Consiglio nazionale di sicurezza delle Nazioni Unite vigilerà sull’effettivo cessate il fuoco sia da parte della guerriglia sia da parte dell’esercito per affiancare il percorso di pace e, sempre l’Onu, effettuerà un monitoraggio costante per la durata di dodici mesi allo scopo di controllare se davvero la fine delle ostilità sarà rispettata. In cinquanta anni il conflitto armato colombiano ha provocato quasi sei milioni di sfollati ed ogni anno, almeno duecentomila persone, abbandonano le loro case in fuga da una guerra senza fine, ma tutto ciò non ha mai mosso a compassione l’oligarchia colombiana, che continua a vedere come fumo negli occhi il riconoscimento delle Farc come soggetto politico, mentre l’ala più dura della destra, quella che fa capo all’ex presidente Uribe, boicotta apertamente i negoziati di pace. Eppure già si parla di post conflitto e si attende con ansia il 23 marzo, la data in cui presumibilmente dovrebbe essere annunciato in via ufficiale il cessate il fuoco. Una volta che le Farc si saranno trasformate in movimento politico, un altro dei nodi cruciali della pacificazione riguarderà il rapporto tra la ex-guerriglia e l’oligarchia accesa sostenitrice dell’agroindustria e della monocoltura che ha già causato danni enormi all’agricoltura del paese. No nos vamos a desmovilizar, no vamos a movilizar politicamente, puntualizzano le Farc, che indicano, tra i punti della lotta politica, l’impegno per far rispettare la sovranità alimentare e territoriale. Se da parte della guerriglia, a più riprese, si è evidenziata la volontà di mettere fine alla cultura della violenza, altrettanto non sembra essere disposto a fare lo Stato. Di recente, il sequestro degli abitanti di un intero municipio nel dipartimento di Antioquia, durato per quasi un giorno intero e condotto dalle Aguilas Negras, uno degli squadroni paramilitari più noti e, al tempo stesso tollerati, non è stato condannato dal governo, per cui, pensare alla smobilitazione della guerriglia senza che i paras, peraltro perfettamente conosciuti a Palacio Nariño, dove erano di casa durante la presidenza uribista, è pura follia.
In conclusione, mai come stavolta l’interminabile e sanguinoso conflitto colombiano è vicino alla fine, ma da parte dello Stato, dell’oligarchia terriera e dei settori più duri della destra si fa il tifo affinché la pace, ancora una volta, sia rimandata.
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