Latina

Ma Evo Morales e il Mas dovrebbero abbandonare le amicizie con l’oligarchia terrateniente

Bolivia: il “si” al 21F per la sovranità e la dignità del paese

Il successo del “si” al referendum del 21 febbraio servirebbe per fermare l’avanzata delle destre nel continente
15 febbraio 2016
David Lifodi

internet

Sempre più il 21F rischia di trasformarsi da un referendum sulla rielezione o meno di Evo Morales in una resa dei conti tra le diverse anime della sinistra latinoamericana (e non solo), i cui pareri sull’operato del primo presidente indio nella storia della Bolivia continuano ad essere assai divergenti. Una cosa è certa: dopo i rovesci elettorali in Argentina e Venezuela, sarebbe più che auspicabile un successo del Mas e di Evo Morales, soprattutto per evitare una pericolosa deriva a destra del continente, considerando anche le inquietudini del Brasile e di altri paesi.

Tuttavia, se da un lato ci si augura che dalle urne esca una maggioranza favorevole alla modifica della Costituzione che sancisca un prolungamento di mandato per Morales, dall’altro non ci si può esimere dal sollevare alcune perplessità sugli ultimi anni a Palacio Quemado del presidente boliviano a cui il vicepresidente Alvaro García Linera ed altri intellettuali ribattono sempre parlando di “infantilismo di sinistra”. Se la Bolivia ha fatto degli enormi passi avanti rispetto al neoliberismo dei vari Sanchéz de Lozada, Quiroga, al regime militare di Banzer e via discorrendo, non si può non evidenziare che, soprattutto negli ultimi tempi, il governo del Movimiento al Socialismo (Mas) ha finito per avvicinarsi un po’ troppo ad un progetto politico estrattivista e ai desiderata dell’oligarchia terriera.. In definitiva, il Mas e Morales sembrano essere più radicali nelle parole che nei fatti. Il proclama tierra y autogobierno, nel corso degli anni, ha finito per abdicare di fronte ai legami pericolosi con le multinazionali minerarie, del settore energetico e dell’agrobusiness, con buona pace dei popoli indigeni e dei campesinos, sui quali spesso hanno finito per imporsi gli interessi delle grandi imprese, magari anche by-passando la reale volontà del presidente Morales. All’interno del Mas ha finito per prendere il sopravvento quella borghesia che infesta anche il Psuv venezuelano e interessata più a tutelare i propri interessi che ad impegnarsi per le istanze dei movimenti sociali. Ad esempio, tra le amicizie evitabili del Mas e del presidente boliviano, c’è quella con la Cámara  Agropecuaria del Oriente, di cui fanno parte gli imprenditori e i signori dell’agrobusiness che fino a pochi anni fa avevano fortemente osteggiato il ticket Morales-Linera. Ad esempio, la “Cumbre agropecuaria: sembrando Bolivia” ha sollevato critiche per la partecipazione a stretto contatto di governo e oligarchia terrateniente e per i riferimenti di Morales alla “moderna agroindustria nazionale” che ha finito, secondo alcuni, per trasformare il Mas da movimento politico antisistema a rivestire il ruolo di mediatore politico degli interessi dell’oligarchia boliviana  E ancora, un’altra accusa nei confronti di Morales è quella di aver mantenuto intatta la proprietà del latifondo, oltre ad aver finito per far passare in secondo piano la Riforma agraria e il progetto delle autonomie indigene.

Detto questo, i motivi per votare “si” alla riconferma di Evo Morales sono molteplici, a partire dal fatto che la Bolivia, in un momento di difficoltà dell’asse bolivariano, potrebbe porsi a capo di una rinascita di fronte alle destre incombenti. Grazie a Morales e García Linera la Bolivia si è emancipata togliendosi il poco simpatico appellativo del paese più diseguale del Cono Sur del continente latinoamericano. Inoltre, un successo del “si” rappresenterebbe una vittoria dell’intera Patria Grande rispetto ai tentativi di destabilizzazione che, nonostante l’avvenuta moderazione di Evo Morales, proseguono come e più di prima. In particolare, ciò che preoccupa è il Plan Estratégico para Bolivia varato dall’Instituto Interamericano para la Democracia insieme ad altre organizzazioni non governative Usa specializzate in piani di destabilizzazione di paesi latinoamericani (e non solo) invisi a Washington. Da Palacio Quemado è infatti arrivata la denuncia che la solita National Endowment For Democracy (Ned), a partire dal 2008, avrebbe finanziato lautamente la Asociación Nacional de la Prensa boliviana ed altre organizzazioni “democratiche” avverse al Mas per rovesciare Morales. Tra i nomi indicati dalla Ned per far scoppiare il caos in Bolivia, tra gli altri, figurano i soliti Samuel Doria Medina e Jorge Quiroga, cioè gli esponenti di spicco dei comitati per il “no”, impegnati quotidianamente in campagne di destabilizzazione di Morales e del suo governo. Il Plan Estratégico mira apertamente a far cadere quella nuova Bolivia nata il 18 dicembre 2005, il sogno divenuto realtà che aveva portato Evo Morales, da cocalero e sindacalista, alla guida di un paese fino ad allora laboratorio di neoliberismo e repressione. È per questi motivi che, nonostante le contraddizioni del Mas, il 21F dovrebbe rappresentare l’occasione per difendere la dignità e la sovranità della Bolivia, senza però per questo essere definiti “controrivoluzionari” ogni volta che si formula una critica nei confronti di Evo e del Movimiento al Socialismo. Non è un caso che, nonostante a livello internazionale la Bolivia non sia più presentata come il diavolo, ma anzi, sia fin troppo apprezzata dai vertici delle istituzioni finanziarie, il Plan Estratégico miri a presentare Morales e Linera come “tiranni”. Eppure la presidenza di Evo, che ha fatto della stabilità economica e dei programmi di assistenza sociale Renta Dignidad, Juancito Pinto e Juana Azurduy i suoi cavalli di battaglia (l’abbandono scolastico dei giovani è stato ridotto, l’analfabetismo debellato e i livelli di mortalità infantile ridotta), dimostra di essere gradita anche da fasce sociali di popolazione che prima non lo vedevano troppo di buon occhio. Ad osteggiarlo è rimasta l’opposizione più impresentabile, mentre il paese si è trasformato in uno dei più influenti a livello latinoamericano, soprattutto all’interno di istituzioni quali Unasur, Celac e Alba.

Se sarà confermato il risultato delle elezioni presidenziali del 2014, quando Morales ottenne oltre il 61% dei consensi staccando di 40 punti il suo rivale Samuel Doria Medina, il “si” dovrebbe ampiamente trionfare e respingere, una volta di più, i tentativi di ribaltone esterni e interni. Al tempo stesso, senza la necessità di lanciare scomuniche a destra e a manca, non è un male se i movimenti sociali potessero pungolare Evo Morales e il suo governo liberamente senza essere costantemente accusati di fare da stampella a Stati Uniti e opposizione interna. Se il referendum sancirà il “si” al prolungamento di mandato, Morales e Linera avranno l’occasione, una volta di più, per dare impulso alla riforma agraria, negoziare con le multinazionali da una posizione più vantaggiosa e difendere la sovranità territoriale. In questo caso, può darsi che riprenda la guerra aperta contro Morales come accaduto all’inizio del suo insediamento a Palacio Quemado. In definitiva il dilemma, per Evo e il Mas, è se riprendere a sfidare il sistema o puntare tutto su una sicuramente maggiore e più duratura governabilità garantita però da amicizie pericolose che finiranno inevitabilmente per indirizzare la politica del presidente indio. 

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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