Argentina: la presidenza Macri all'insegna di repressione e pugno di ferro
Del resto, con una squadra di governo composta dai Ceo delle principali multinazionali (Shell, JP Morgan, Monsanto, General Motors), c’era da attendersi questo e altro e Macri si inserisce perfettamente nella scia degli ex presidenti-imprenditori Fox (messicano) e Piñera (cileno). Tuttavia, ciò che preoccupa, è l’affermazione della destra avvenuta per la prima volta nel segno legale e democratico della storia del paese: finora era riuscita a giungere al potere solo tramite colpi di stato o comunque attraverso una partecipazione diretta o indiretta in golpe e congiure di palazzo. Di certo, la vittoria di Macri arriva sull’onda della sconfitta di Maduro in Venezuela, della crisi economica, politica e istituzionale che attanaglia il Brasile e nel contesto del recente, inatteso, passo falso di Evo Morales nel referendum del 21F. È in questo contesto che Mauricio Macri può permettersi di fare la voce grossa, chiedere la libertà per il picchiatore venezuelano Leopoldo López, caldeggiare la sospensione di Caracas dal Mercosur e portare avanti, insieme al presidente paraguayano Cartes, un processo di desideologización di questo organismo. A livello interno, Macri, a partire dal suo insediamento, ha cominciato a governare utilizzando sistematicamente i Dnu (Decretos de Necesidad y Urgencia) per scavalcare il Parlamento (come già accaduto con la Ley de Medios) e, tramite il suo ministro delle Finanze Prat-Gay (proveniente da Jp Morgan), minaccia un’ondata di licenziamenti nel settore pubblico. In teoria, i Dnu andrebbero utilizzati, come indica la Costituzione argentina, solo in circostanze realmente eccezionali. È per questi motivi che Claudio Katz, economista di sinistra, parla di Ceócracia alla Casa Rosada. Ad esempio, in occasione della Giornata dell’Industria, il discorso di Macri è stato all’insegna delle politiche antioperaie ed ha accennato più di una volta ai lavoratori statali come “parassiti”. Non si tratta solo di un discorso dovuto al debito elettorale che Macri doveva pagare con i suoi elettori: se diviene più facile licenziare, spiega Katz, è più semplice abbassare i salari, e questo il presidente e il suo staff lo sanno. Lo scopo di Macri, in un paese in cui il clima resta comunque in buona parte progressista, è quello di costruire un forte potere politico in grado di piegare la resistenza popolare. Nei pochi mesi in cui il presidente è alla Casa Rosada ci sono già state manifestazioni contro la repressione, uno sciopero degli statali e cacerolazos sia contro gli aumenti delle tariffe nel settore energetico sia per difendere la Ley de Medios. L’intento di Macri è quello di porsi come leader non solo della destra argentina, ma anche di quella latinoamericana: per questo attacca il Venezuela e invita Brasile e Uruguay ad isolare Caracas e il processo bolivariano all'interno del Mercosur. Come il Cile, negli anni Settanta, rappresentava lo scenario ideale, una volta spodestato Salvador Allende, per sperimentare gli aggiustamenti strutturali tipici del neoliberismo, sotto la presidenza Mari questo ruolo rischia di svolgerlo di nuovo l'Argentina, che peraltro lo aveva già ricoperto negli anni precedenti al default economico di inizio Duemila con massicce iniezioni di neoliberismo selvaggio. E per far capire al paese che Macri è l'uomo solo al comando, ha già chiuso diversi mezzi di comunicazione, tra cui Senado Tv e Radio Nacional Rock, oltre ad aver cacciato i dirigenti di Afsca (Autoridad Federal de Servicios de Comunicación Audiovisual) e Aftic (Autoridad Federal de Tecnologías de la Información. E ancora, come una furia, Macri tiene il piede ben premuto sull'acceleratore per quanto riguarda l'Acuerdo de Asociación Transpácifico e l'approvazione della legge sugli agrochimici che aprirebbe le porte all'agrobusiness. Anche in tema di diritti umani la situazione si fa preoccupante. Dal blog di Marco Consolo si apprende che, in pochi mesi, Mauricio Macri ha insultato più volte la memoria dei desaparecidos, Madres e Abuelas della Plaza de Mayo e provocato gli attivisti per i diritti umani, ai quali ha sempre rifiutato una richiesta di incontro per ricevere, al loro posto, Héctor Magnetto, l'amministratore delegato del gruppo Clarín, contro il quale Nestor e Cristina Kirchner avevano ingaggiato una coraggiosa battaglia. Non è finita qui. Se lo stesso presidente ha promesso che avrebbe messo fine “al lucrativo business dei diritti umani”, ancora peggio ha fatto Darío Lopérfido, ministro della Cultura porteño e macrista della prima ora, secondo il quale “la cifra di 30.000 desaparecidos è una bugia costruita a tavolino per avere sussidi”. Non troppo diverso è il pensiero del responsabile della Segreteria dei Diritti Umani Claudio Avruji, che in un luogo altamente simbolico quale è l'Esma, la Scuola di Meccanica della Marina, ha rivendicato la teoria degli opposti estremismi, organizzazioni popolari armate e squadroni della morte, per giustificare i crimini di stato del triumvirato Videla, Massera, Agosti. Per finire, lo stesso Macri in persona ha rimosso dall'Archivio nazionale della Memoria il presidente Horacio Pietragalla Corti, figlio di desaparecidos dato ad una famiglia vicina al regime militare prima scoprire la sua storia grazie alle Abuelas de la Plaza de Mayo.
Ce n'è abbastanza per poter definire questa presidenza e i suoi uomini più stretti tutt'altro che democratici e ritenere un insulto alla storia del paese la presenza di Macri alla Casa Rosada, in attesa di ricevere una spiegazione sul motivo per cui sulla stampa di mezzo mondo, quella italiana in testa, quest'uomo continui ad essere definito come un conservatore liberale.
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