Incontro con Rayen Kvyeh, poetessa mapuche
La situazione dei mapuche non è molto diversa da quella dei kurdi: ad entrambi è vietato parlare nella loro lingua. Soltanto poco più di un mese fa il mapudungún, la lingua mapuche, è stata riconosciuta come tale dallo stato cileno. In precedenza, il mapudungún era vietato: non lo potevano parlare nemmeno i bambini tra loro, e, se venivano scoperti a scuola, andavano incontro a severe punizioni. “La poesia”, spiega Rayen, “rappresenta uno strumento per la salvaguardia dei diritti dei mapuche in un paese dove non esiste alcun diritto”. In questo contesto, la poesia ha rivestito un ruolo di primo piano. Negli anni Novanta è andato in stampa il primo libro in mapudungún scritto da Rayen Kvyeh con la traduzione in lingua tedesca. Più volte, racconta la poetessa, l’editore le ha fatto pressione affinché lo pubblicasse anche in spagnolo, ma Rayen ha sempre rifiutato. Certo, anche dal solo lato economico, la pubblicazione in castigliano avrebbe rappresentato una buona fonte di guadagno per Rayen, ma lo spagnolo rappresentava sia la lingua degli oppressori, quella dei conquistadores, sia quella dello Stato cileno, che non ha mai smesso di perseguitare i mapuche. Come è ovvio, in Cile Rayen non è riuscita a trovare un editore disposto a pubblicare il suo libro per tre ragioni: era scritto in lingua mapuche, per di più da una donna, e infine raccontava la storia dal punto di vista mapuche e non da quello, manipolato, dello Stato. Tuttavia, il coraggio di Rayen è stato premiato e, venticinque anni fa, grazie anche alla pubblicazione del suo libro, è andata in stampa per la prima volta una rivista culturale mapuche. È stato anche grazie alla poesia, sottolinea la poetessa, che le ragioni della lotta mapuche sono giunte fino all’Europa, con grande smacco del Cile, un paese dove fortissime sono le disuguaglianze sociali anche a causa di una società composta da una piccola fascia sociale ricca, ma escludente. “Noi mapuche”, spiega con orgoglio Rayen, “siamo un popolo che non è mai stato conquistato, né dal punto di vista politico né da quello religioso”, a partire dal diritto ancestrale al territorio, una delle maggiori rivendicazioni dei mapuche. Inoltre, la poesia è stata utilizzata come strumento dagli stessi mapuche per far conoscere la loro storia ai cileni in un paese rimasto ancorato fortemente ai retaggi del regime pinochettista. A questo proposito, sono tuttora in vigore il Código de Aguas e il Código de Energía, che risalgono ai primi anni Ottanta, quando la dittatura si manteneva ancora ben salda alla Moneda. All’epoca di Pinochet questo significava che le multinazionali di allora godevano della più ampia facoltà di saccheggiare tutto il paese, e quindi anche il territorio mapuche, per sottrarre i beni comuni. Ai giorni nostri, dal fiume BioBío all’isola di Chiloé, le transnazionali vogliono costruire ben 27 centrali idroelettriche: se questo progetto andasse in porto sarebbe la fine per il popolo mapuche. L’edificazione delle dighe ha scatenato un forte conflitto sociale in Cile. Alla mia domanda sulla lotta per i beni comuni e su un eventuale cambiamento di rotta del Parlamento cileno verso i mapuche ora che alcuni leader della protesta studentesca come Camila Vallejo e Gabriel Boric siedono sui banchi della maggioranza, la risposta di Rayen non è delle più ottimiste. “Gli studenti mapuche hanno partecipato alle mobilitazioni studentesche, ma dal Partito Comunista cileno, che fa parte della Nueva Mayoría della presidenta Bachelet, è arrivato l’ordine a Vallejo affinché gli studenti di origine mapuche fossero esclusi dalle lotte. Del resto, i partiti hanno una visione piramidale e gerarchica”, commenta amaramente la poetessa, i cui occhi si illuminano quando parla della resistenza mapuche per la difesa dei beni comuni. “La democrazia non può essere distrutta poiché ogni sua pietra è costituita da donne, uomini e bambini dotati degli stessi diritti”: è in questo contesto che emerge il profondo legame, anche a livello spirituale, dei mapuche con l’acqua. “Ti imprigionano con le dighe, BioBío, che scorri per la terra come il sangue dei nostri avi”, dice Rayen recitando una poesia.
Senza alcun aiuto economico da parte dello Stato cileno, che non ha versato nemmeno un peso, nel 2012 si è tenuto il primo festival internazionale di poesia mapuche. Nonostante il disprezzo dello stato centrale, mette in rilievo Rayen, i mapuche hanno avuto la percezione che loro istanze fossero quantomeno considerate quando il quotidiano locale El Diario Austral, di proprietà del Mercurio, uno dei giornali più influenti della destra cilena, ha titolato: “I poeti del Wall Mapu danno inizio al festival internazionale di poesia”. Per la prima volta, sulla stampa, era apparso il termine Wall Mapu (territorio mapuche), una sorta di riconoscimento implicito dei mapuche. Tuttavia, non sono state sufficienti ben cinque denunce presentate dai mapuche di fronte alla Commissione interamericana per i diritti umani contro lo Stato cileno a causa del mantenimento della Ley Antiterrorista, anch’essa di matrice pinochettista. La legge, tuttora in vigore, viene applicata quasi esclusivamente per i mapuche e contempla come reati le manifestazioni di piazza , la difesa della terra e dei diritti. Anche in occasione della morte del giovane Matias Catrileo, attivista mapuche e poeta, lo Stato cileno se l’è cavata con una semplice multa. L’indennizzo per la famiglia è stato devoluto ad un’associazione che si occupa dei diritti dei mapuche, perché non sono certo un po’ di soldi che riporteranno in vita il ragazzo, ma lo Stato cileno, e questa è la cosa più grave, ha promosso gli agenti che hanno assassinato il giovane, dice con amarezza Rayen.
“Prima i colonizzatori erano i conquistadores, ma oggi si assiste ad una forma di colonizzazione ancora più aberrante, quella del neoliberismo. Addirittura esiste una legge che permette di comprare i fiumi”, spiega la poetessa, che definisce l’acqua un diritto umano inalienabile e fondamentale e denuncia le università cilene per i legami con Syngenta e per la loro trasformazione in laboratori di formazione per lavorare nelle multinazionali. Alcuni mesi fa la casa di Rayen è stata distrutta quasi completamente da un misterioso incendio, una sorta di avvertimento in stile mafioso alla poetessa dei mapuche. “Il Cile è un paese ricco di risorse, ma povero di diritti”, conclude Rayen, che ne approfitta per contestare, una volta di più, la Ley Antiterrorista: “Chi lotta per i propri diritti non è un terrorista”.
La bibliografia di Rayen Kvyeh tratta da Ecomapuche
Gli incontri di Rayen Kvyeh in Italia
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