Latina

Mentre il presidente Temer svende il paese

Brasile: dal golpe può nascere un nuovo ciclo di mobilitazioni popolari

Il piano di Temer, “Ponte para o Futuro”, attacca le conquiste sociali
19 giugno 2016
David Lifodi

internet

Ha senz’altro ragione Ral Zibechi, a proposito della crisi brasiliana, a dire che il cambiamento passa dalle lotte e non dalle poltrone di governo, tuttavia non si può non considerare che il futuro del più grande paese del continente latinoamericano dipende dalla sua evoluzione politica futura.

Michel Temer è indubbiamente un presidente dimezzato e che ha una popolarità non superiore all’1% nell’intero Brasile, ma fa sul serio, a partire da una delle sue ultime esternazioni, quella relativa a all’innalzamento dei limiti sulla proprietà dei terreni agricoli. L’oligarchia rurale plaude, i movimenti contadini, a partire dai Sem terra, promettono una nuova ondata di occupazioni. Bisogna fermare Temer, l’agrobusiness, il latifondo mediatico e tutto ciò che il presidente de facto rappresenta, certo, ma non si può fare a meno di sottolineare come già Dilma Rousseff, e ancor prima Lula, fossero legati alle classi dominanti. Di conseguenza, non solo il campo popolare si deve difendere dal golpismo delle destre, ma deve farsi anche trovare pronto, se la presidenta resterà in sella, ad imporre la propria agenda al Planalto, a maggior ragione se Lula riuscirà davvero a tornare presidente nel 2018. Via Temer, dunque, ma anche tutti qui personaggi che hanno trasformato il Partido dos Trabalhadores in uno strumento della borghesia e delle elites finanziarie. Per i movimenti sociali e la base del Pt non è facile uscire dall’angolo, nonostante Temer non possa mette piede fuori dal Planalto senza essere contestato. Per tornare al ragionamento di Zibechi, ancora una volta lucidissimo, bisogna guardare ad un nuovo ciclo di lotte, dagli studenti che, sull’esempio cileno, nello stato di San Paolo hanno messo alle corde il governatore Geraldo Alckmin con l’appoggio di docenti e professori, ad una inarrestabile serie di mobilitazioni sempre più diffuse in tutto il paese, dalle periferie al centro. Dai sindacati indipendenti ai giovani che si mobilitano contro la distruzione della scuola pubblica la rotta tracciata è chiara: come negli anni Settanta e Ottanta, quando il movimento operaio brasiliano si opponeva alla cosiddetta “conciliazione di classe”, il tempo dell’andare a braccetto con le imprese non può tornare, anche se Lula e Dilma riuscissero a sopravvivere politicamente alla strategia golpista delle destre. Le strade del Brasile non devono trasformarsi soltanto in terreno di scontro per fermare un impeachment fondato sul nulla, ma dare la spinta al Pt affinché torni a fare politica come alle sue origini. Se è vero ciò che ha detto Noam Chomsky (“Il Brasile è nelle mani di una banda di ladroni”) e che l’attuale debolezza delle istituzioni rappresenta una manna per un’oligarchia desiderosa di imporre il suo progetto antipopolare a partire dalla privatizzazione dei beni pubblici e dalla cancellazione delle maggiori conquiste sociali, non è semplice opporsi alla svendita del paese. L’attuale ministro degli Esteri Serra, denuncia Leonardo Boff, “sta girando il mondo per svendere i beni del Brasile, soprattutto il pre-sal, mentre ministeri come quelli della Cultura, dei Diritti umani e dell’Uguaglianza razziale sono stati eliminati o svuotati delle prerogative principali. Di fronte a tutto ciò, come in occasione del colpo di stato del 1964, il Supremo Tribunale Elettorale tace. Lo stato nuovo teorizzato dalle destre, dalla famiglia Marinho proprietaria di quella macchina da combattimento a livello di (dis)informazione che è Globo, da un potere giudiziario tutt’altro che imparziale, assomiglia molto a quello del 1964, mentre il piano varato in fretta e furia dai golpisti e denominato “Ponte para o Futuro” attacca le conquiste sociali, amplia disuguaglianze e povertà e mortifica lo sviluppo del paese.

Al tempo stesso, nel totale silenzio della comunità internazionale, che non ha compiuto alcun passo ufficiale contro un presidente che siede al Planalto senza alcun consenso popolare (escluso quellodella classe medio alta che scende in piazza e viene descritta dalla stampa, anche di casa nostra, come “democratica” nonostante la violenza del linguaggio verbale e i tentativi di trasformare il paese in una polveriera come in Venezuela), Temer è cosciente di dover evitare in qualsiasi modo elezioni anticipate foriere di una probabile sconfitta. La recente dimissione del ministro della Trasparenza, Fabiano Silveira, che arriva due settimane dopo quelle di Romero Jucá a causa del coinvolgimento nell’operazione Lava Jato. ci dicono che la presidenza Temer sarà caratterizzata come quella di un governo di crisi ed emergenza permanenti. Finora Lula e Dilma Rousseff avevano svolto la funzione di intermediari per conto del capitale, ma ora che l’oligarchia ha deciso di governare con un suo uomo la situazione potrebbe essere ancora peggiore.  “Capo dei cospiratori” (secondo la presidenta Rousseff) e uomo della Cia (come risulta dai cablogrammi di Wikileaks), Michel Temer vanta un alleato di peso, quel Mauricio Macri che, nel giro di pochi mesi, sta mettendo in ginocchio l’Argentina. Nel mezzo una società brasiliana che non vuole la destra al potere, ma non è detto che si auguri nemmeno un ritorno di Lula, Dilma o del Pt, pur battendosi per lo stato democratico di diritto e denunciando un colpo di stato del tutto illegittimo, poiché non vede di buon occhio gli stretti legami di lulismo e petismo con imprese quali Oas, Odebercht e CamargoCorrêa.

Difendere il risultato delle urne, quello che sanciva l’elezione democratica di Dilma Rousseff oppure condurre un progetto rivoluzionario in cui le aspirazioni di una società più giusta, libera, democratica e sovrana andranno inevitabilmente a cozzare contro la politica dei compromessi delle presidenze petiste rappresenta il principale interrogativo per le forze popolari del Brasile.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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