Latina

L’accordo per la fine delle ostilità sottoscritto dai guerriglieri delle Farc e dal governo

Colombia: finalmente la pace

Ma la fine duratura del conflitto resta legata all’ineludibile questione agraria e alla smobilitazione reale del paramilitarism
1 luglio 2016
David Lifodi

internet Alla fine la pace è arrivata: il 23 giugno scorso il governo colombiano e le Farc, la formazione guerrigliera più longeva dell’America latina, hanno sottoscritto il cessate il fuoco e la fine delle ostilità in maniera definitiva. Per il momento, i sostenitori della guerra ad ogni costo, presenti nelle file della destra colombiana e continentale, sono stati sconfitti.

Tuttavia, siamo appena all’inizio del cammino. La stampa maggiormente incline all’uribismo ha minimizzato l’accordo raggiunto a L’Avana, puntando esclusivamente sull’abbandono delle armi da parte della guerriglia, come se gli anni di negoziato si fossero svolti soltanto al fine di smobilitare le Farc. In realtà, la pace colombiana, giunta dopo un conflitto durato oltre mezzo secolo, è significativa almeno sotto due punti di vista. In primo luogo, hanno svolto un ruolo significativo gli organismi dell’integrazionismo latinoamericano, a partire da Unasur, di fronte all’Organizzazione degli Stati Americani e al suo segretario Almagro, profondamente filostatunitensi e per questo rimasti ai margini della trattativa. Dalla pace tra Farc e governo ne hanno tratto giovamento anche le istituzioni e gli organismi impegnati per l’integrazione regionale in un momento in cui la congiuntura politica ed economica è tutt’altro che favorevole. In seconda istanza, di fronte all’avanzare delle destre e dei suoi uomini di peso (Capriles, Macri e Uribe), non si può non sottolineare il protagonismo di Cuba e del Venezuela nella mediazione che ha permesso il raggiungimento dell’accordo. Al tempo stesso, preoccupa l’assenza del vicepresidente colombiano Vargas Lleras dal dibattito pubblico sulla pace. Non si tratta di un silenzio di poco conto poiché Vargas Lleras dovrebbe essere il futuro candidato alle presidenziali del 2018 per il santismo. E ancora, resta tutto da verificare l’impegno dello stato per smantellare gli squadroni della morte paramilitari e tutelare gli uomini delle Farc da eventuali rappresaglie ed il timore è che, in caso di elezione, Vargas Lleras non sembra la persona più adatta a farsi garante degli accordi, soprattutto per le sue idee autoritarie. Infine, rimane da compiere l’ultimo passo, quello relativo ad un accordo tra lo Stato e l’Eln, l’altro gruppo guerrigliero che da poco, tramite la mediazione del Venezuela, ha stabilito i primi contatti con Palacio Nariño. Dal punto di vista dei movimenti sociali, la pace potrebbe rappresentare una possibilità in più  verso un nuovo ordine sociale che possa mettere alle corde lo strapotere dell’oligarchia colombiana. Scrive a questo proposito Gennaro Carotenuto: “Chi parlava di dialogo (la chiesa cattolica, i movimenti sociali) o osava ricordare le condizioni storiche che spiegavano la persistenza di una guerriglia che comunque spesso è stata un ostacolo e un pretesto per il nemico, in Colombia veniva incarcerato e all’estero accusato di essere complice dei “narcoterroristi” che all’epoca erano rappresentati come il peggior nemico dell’umanità”. Il documento sottoscritto dal presidente colombiano Juan Manuel Santos e da Timoleón Jiménez apre la strada ad un patto politico nazionale affinché non si utilizzino più le armi, con buona pace di una lobby che, proprio dal commercio delle armi, ha tratto i maggiori vantaggi in termini economici. A questo proposito è allo studio anche la nascita di una Commissione nazionale per la sicurezza con l’obiettivo di smantellare le organizzazioni criminali e paramilitari per garantire e tutelare la transizione delle Farc da gruppo guerrigliero a partito politico. Questa sarà la fase più delicata di un processo di pace che, anche in altre circostanze, poi è stato funestato dal tradimento degli accordi, come accadde agli oltre cinquemila militanti di Unión Patriótica sterminati negli anni Ottanta, quando sembrava che questo partito potesse trasformarsi nel braccio politico, e legale, delle Farc. Al tempo stesso, non si può fare a meno di guardare al campesinato colombiano, quello che ha sofferto maggiormente la repressione dello Stato e che rappresenterà l’ago della bilancia verso una pace più o meno duratura. Soprattutto nell’ultimo trentennio i campesinos hanno subito le violenze di uno Stato escludente e impegnato esclusivamente a tutelare gli interessi dei terratenientes e, del resto, era proprio per questo che, negli anni Sessanta, erano nate le Forze armate rivoluzionarie della Colombia. Da quando la Colombia ha ratificato il trattato di libero commercio, la situazione per i campesinos è ulteriormente peggiorata, il diritto alla terra per chi la lavora è rimasto un’utopia mentre, di pari passo con la perdita dei diritti politici della popolazione rurale e di coloro che si guadagnavano da vivere grazie all’estrazione mineraria in piccola scala, è cresciuto il potere delle imprese minerarie e delle multinazionali impegnate nella costruzione di grandi centrali idroelettriche e di altre megaopere. Nonostante sia il presidente che passerà alla storia per aver firmato la pace con le Farc, Juan Manuel Santos resta, nel migliore dei casi, un conservatore, e il suo stretto legame con Mauricio Macri non fa ben sperare per il futuro. L’Alca che era stata sconfitta in Argentina da un’America Latina che allora sembrava in grado di dare una lezione agli Stati Uniti è tornata sotto forma di accordi individuali dei singoli stati con gli Usa.

Se non termina la repressione contro i movimenti sociali e le organizzazioni popolari, la persecuzione contro i sindacalisti e le comunità indigene e contadine per far posto alle grandi opere, la pace resterà soltanto un’operazione di facciata prima che altre organizzazioni si sollevino di nuovo in armi.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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