Massacro di Curuguaty: giustizia a senso unico contro i campesinos paraguayani
I campesinos sono stati accusati per invasione di proprietà privata, associazione per delinquere e omicidio. Di Marina Kue se ne era impossessata, illegittimamente, l’impresa Campos Morombí, della famiglia Riquelme, il cui principale proprietario, Blas N., era stato presidente del Partido Colorado all’epoca della dittatura stronista e, nel 2008, la Commissione Verità e Giustizia lo aveva accusato di aver usurpato la terra di Marina Kue, destinata già nel 2004, su decreto presidenziale, alla riforma agraria. Il processo è stato caratterizzato da una serie di evidenti irregolarità per incastrare i campesinos, con la copertura dell’attuale presidente Horacio Cartes e del giudice che ha seguito l’indagine prima di divenire vice ministro della Sicurezza della stessa, Jalil Rachid, amico personale della famiglia Riquelme. Secondo l’accusa 50 campesinos, tra cui donne, anziani e bambini, avrebbero fatto cadere in un’imboscata oltre 300 poliziotti del Grupo Especial de Operaciones (Geo), la polizia antisommossa, e, tesi ancor più inverosimile, il Pubblico Ministero ha sostenuto che gli agenti fossero disarmati. Il video che testimonia il sorvolo di un elicottero della polizia su Marina Kue ufficialmente è andato perso, non è stata effettuata alcuna autopsia sui morti e molte personalità e intellettuali latinoamericani hanno denunciato le tante incongruenze del processo, mentre il Senato boliviano ha esortato ad una sentenza realmente equa per il massacro di Curuguaty. Monsignor Mario Melanio Medina, vescovo paraguayano vicino alla Teologia della Liberazione, come del resto Fernando Lugo, oggi senatore del Frente Guasu, ha parlato di montaggio giudiziario contro i campesinos ed ha indicato Federico Franco come responsabile della mattanza e del colpo di stato che estromise dalla presidenza lo stesso Lugo con l’appoggio di buona parte del Parlamento. Inoltre, il vescovo ha definito il caso Curuguaty come un “crimine contro i campesinos”, sottolineando che l’operazione di polizia fu sollecitata dalla stessa impresa Campos Morombí, fondata da Blas N. Riquelme, poi deceduto nel settembre 2012. Tuttavia, precisa monsignor Medina, la terra non poteva appartenere all’impresa poiché era stata donata dall’Industrial Paraguayana alla Marina e quindi avrebbe dovuto essere di proprietà dello Stato, non a caso è stata denominata Marina Kue, e non certo di Campos Morombí.
In Paraguay poco più dell’1% dei proprietari terrieri possiede l’80% della terra e quindi è evidente come il massacro di Curuguaty non possa essere circoscritto solo alla rivendicazione campesina di Marina Kue, ma si inserisca in un quadro più generale del diritto di accesso alla terra e di una riforma agraria che i colorados hanno sempre osteggiato all’epoca della presidenza Lugo e che adesso, tornati al potere, si guardano bene dall’attuare. È evidente che la magistratura non ha agito secondo i criteri dell’imparzialità e dell’obiettività. Ad esempio, gli avvocati dei campesinos sostengono che è impossibile condannarli senza essere riusciti a dimostrare chi ha provocato la morte di undici contadini e di sei poliziotti: ciò dimostra che il tribunale ha emesso una sentenza che viene incontro esclusivamente alle pressioni del latifondo e della grande oligarchia terriera. Un giudizio contrario all’impresa Campos Morombí non avrebbe fatto altro che certificare l’evidente concentrazione della terra nelle mani di pochissime persone e, per questo, la sentenza rappresenta una sorta di atto di guerra dichiarato nei confronti di migliaia di contadini che, dalla riforma agraria, riuscirebbero ad avere migliori condizioni di vita. Non a caso, la giustizia si è accanita in particolare su Rubén Villalba, per il suo riconosciuto impegno politico nelle lotte per rivendicare la terra. I campesinos, dal canto loro, hanno ribadito che le pallottole sparate contro di loro, che non avevano né pistole né fucili, provenivano dall’alto, cioè da quell’elicottero militare il cui video è stato fatto sparire. Sarebbe stata causata dalla sparatoria proveniente dall’alto anche la morte di almeno uno dei sei poliziotti caduti, Erven Lovera.
Dopo il massacro del 15 giugno 2012, stavolta è stata la giustizia a massacrare di nuovo, giuridicamente, i campesinos, condannandoli per omicidio non provato e per un’invasione della terra non illegale poiché Marina Kue non era di proprietà di Campos Morombí, ma dello Stato. I colorados hanno vinto di nuovo.
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