Latina

A settembre il referendum che indicherà se i colombiani sono favorevoli o meno agli accordi di pace

Colombia: un si per la pace e il cambiamento sociale

L’ex presidente Uribe trama per delegittimare il processo di pace
9 agosto 2016
David Lifodi

internet

Il processo di pace colombiano entra nella fase più importante: dopo la firma dell’accordo che ha sancito la fine delle ostilità tra il governo e la guerriglia delle Farc a seguito di un conflitto durato oltre mezzo secolo, toccherà alla popolazione suggellare definitivamente quanto ratificato nel corso dei negoziati che si sono svolti a L’Avana. Si terrà verosimilmente a settembre, infatti, il plebiscito che indicherà se i colombiani sono favorevoli o meno agli accordi di pace.

Se la data e le modalità di formulazione del quesito devono ancora essere decisi, è già battaglia politica per fare in modo che il Si agli accordi di pace trionfi, ma, in un paese che pure è stanco di guerra, il risultato non è scontato, tra i timori di un’alta astensione e le manovre del fronte del No ad opera dell’ex presidente Uribe, noto per aver sempre mantenuto stretti legami con i paramilitari e per aver cercato di contrastare il processo di pace in tutti i modi possibili. Inoltre, è evidente che, anche nel caso di vittoria del Si, il successo dovrà essere legittimato da un numero di voti congruo. L’obiettivo è quello di attestarsi intorno ai 6-7 milioni di consensi, poiché vincere con 4 milioni di voti sarebbe considerata una vittoria di Pirro, mentre sembra irrealistico, per quanto auspicabile, l’obiettivo dei 10 milioni di Si su cui punta forte la sinistra. Tuttavia, aldilà dei numeri, è evidente che il processo di pace dovrà comunque essere sostenuto da un alto numero di colombiani per evitare che l’accordo finisca per essere delegittimato e continui a prevalere la logica della guerra e del terrore su cui punta la destra uribista.

La campagna per il Si sarà articolata su diversi fronti. Dal punto di vista governativo il presidente Juan Manuel Santos da tempo sta ragionando su quale sia la formulazione migliore della domanda per ottenere il maggior numero possibile di consensi e non è secondario nemmeno il giorno in cui si terrà la consultazione: meglio la domenica, il giorno in cui tradizionalmente i campesinos si recano in città per il mercato, o un giorno lavorativo, in modo da attrarre maggiormente anche il mondo imprenditoriale? Una cosa è certa: alla campagna per il Si lavoreranno forze politiche e sociali molto diverse tra loro. Ovviamente sono schierati per il Si anche i movimenti sociali e la sinistra politica, che si sono impegnati fon dall’inizio a favore della pace ed hanno scelto responsabilmente, per quanto a denti stretti, di votare Juan Manuel Santos al ballottaggio presidenziale nella speranza che davvero si adoperasse per la fine delle ostilità nonostante il suo curriculum non fosse proprio dei più beneauguranti, dalle responsabilità nel caso dei falsos positivos a ministro dell’Interno nella stessa presidenza Uribe in qualità di delfino prima della fragorosa e clamorosa rottura. Il lavoro delle organizzazioni popolari avverrà tramite i giovani, i sindacati, le comunità indigene ed afro, le associazioni culturali, le donne, ma soprattutto sarà importante sbarrare la strada ad eventuali logiche escludenti poiché il rischio di un eventuale insuccesso del fronte del Si spianerebbe la strada al ritorno dell’uribismo. Solo tramite un’affermazione inequivocabile del Si lo Stato potrà davvero iniziare ad agire per arginare quelle disuguaglianze sociali che avevano creato le premesse per la nascita della lotta guerrigliera. Se a prevalere fosse il No non solo il paese farebbe un pericoloso salto all’indietro, ma non abbandonerebbe per sempre la violenza e la guerra. Di certo il successo del Si non aprirebbe la strada verso una rivoluzione socialista e nemmeno servirà per cacciare l’oligarchia e il grande capitale dal paese, ma permetterà comunque alla Colombia di essere un paese meno ingiusto e servirebbe per difendere la democrazia, la giustizia e i diritti umani dall’aggressione uribista. Votare Si significa appoggiare gli accordi di pace sulla questione agraria, sulla giustizia per le vittime del conflitto e, più in generale, permettere ad un paese intero di liberarsi dalla guerra e dalla violenza per una democrazia dove sia riconosciuto lo stato di diritto.

Al contrario, la vittoria del No rappresenterebbe una catastrofe per l’intera America latina, per il ritorno del cosiddetto fascismo criollo di matrice uribista, della guerra antiterrorista e dei falsos positivos. A livello continentale, se prevale il No, significherebbe l’avvio di una controrivoluzione che ha già visto il ritorno delle destre in Argentina (democraticamente) e in Brasile (tramite  golpe), oltre alla pericolosa battuta d’arresto della rivoluzione bolivariana in Venezuela. In definitiva, la democrazia, a partire da quella colombiana, sarebbe a forte rischio. Non sarà facile permettere al Si di vincere al referendum, nonostante alcuni lo diano già per scontato. Non sono pochi, ad esempio, per quanto possa sembrare paradossale, coloro che hanno scambiato il realismo di Santos per una sua sbandata verso sinistra e temono lo scivolamento del paese verso lo spauracchio del “castrochavismo” ,utilizzato dalla destra uribista per delegittimare ad ogni costo il processo di pace e permettere al No di vincere.

Il cambiamento sociale passa inevitabilmente dalla vittoria del Si al referendum sul processo di pace: solo così potrà nascere una nuova Colombia.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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