Latina

Le contraddizioni dell’estrazione mineraria come motore di sviluppo per il paese

Ecuador: il buen vivir all’insegna di sgomberi, repressione ed estrazione mineraria

Da tempo si è interrotto il legame tra il presidente Rafael Correa e le comunità indigene
18 agosto 2016
David Lifodi

internet

Lo scorso 11 agosto la comunità indigena degli shuar nankintz, della provincia di Morona Santiago, è stata sgomberata con forza dalle proprie case per far posto all’impresa mineraria cinese Explorcobres: si tratta dell’ennesima operazione poliziesca avvenuta su mandato del presidente dell’Ecuador Rafael Correa.

Come già accaduto altre volte, la Conaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador) ha denunciato la propensione del governo ecuadoriano a tutelare i diritti delle multinazionali minerarie a scapito di quelli delle comunità indigene. Da quando è salito a Palacio de Carondelet, Correa ha investito sull’estrazione mineraria e ha cercato di conciliare gli interessi delle imprese con quelli del buen vivir, ma in realtà, come ha sottolineato da anni la Conaie, “lo Stato reprime le proteste e attacca la popolazione”. Proprio pochi giorni fa sei comuneros shuar sono stati processati per aver partecipato ai blocchi stradali avvenuti in occasione dello sciopero generale del 2015 contro l’estrazione mineraria e tutti i progetti che attentano all’integrità del territorio, dall’estrazione petrolifera all’inquinamento ambientale. Non è la prima volta che gli shuar sfidano le multinazionali minerarie: nel 2006, all’epoca della presidenza di Alfredo Palacios, riuscirono a cacciare Explorcobres, allora impegnata nella costruzione di una centrale idroelettrica che avrebbe dovuto rifornire le miniere nell’ambito del progetto minerario Mirador. Fu lo stesso Palacios ad essere costretto ad interrompere il progetto e, successivamente, Rafael Correa promise che avrebbe rivisto profondamente la politica estrattiva dello stato nel corso della campagna elettorale. Nel 2007, in effetti, Correa prese le prime misure che però risultarono più di facciata che altro, garantendo che le concessioni minerarie avrebbero dovuto sottostare ad una previa consultazione dei popoli indigeni e tener conto dell’eventuale inquinamento di fiumi e boschi. Tuttavia l’escamotage giuridico era dietro l’angolo: le comunità indigene avevano diritto ad essere consultate, ma si trattava di un parere non vincolante per il governo, a cui spettava comunque l’ultima parola sulle concessioni per l’estrazione mineraria. Ufficialmente lo Stato garantiva la partecipazione sociale, ma di fatto la rendeva subito dopo carta straccia autoproclamandosi l’unico organo in grado di legiferare in materia. Ridotta la previa consultazione ad una pratica puramente amministrativa, lo Stato si è reso promotore, sotto la presidenza Correa, dei maggiori progetti minerari del paese degli ultimi anni. Non solo: lo stesso Stato figura in qualità di promotore, e non solo come mero esecutore dei progetti di estrazione mineraria, secondo la documentata denuncia di Alberto Acosta nel suo documento De la violación del mandato minero al festín minero del siglo XXI. Progetti di estrazione mineraria su larga scala sono realizzati soprattutto da transnazionali cinesi, secondo quanto scrive lo stesso Acosta, un tempo vicino a Correa prima di distaccarsene a causa di un progetto politico basato esclusivamente sull’estrazione mineraria.

La Ley de Minería del 2009 dichiara di “utilità pubblica” tutte le terre che si trovano all’interno delle concessioni minerarie o che le imprese ritengano comunque necessarie per le loro attività, autorizzano il ricorso ai militari in caso di opposizione delle comunità e l’occupazione temporanea del terreno dove sorgerà la miniera. Anche in questo caso si tratta di astuto escamotage per estromettere le comunità indigene e contadine poiché è evidente che l’occupazione della terra da temporanea diverrà eterna: la transnazionale che abbandonerà il campo lascerà comunque un territorio inquinato e inutilizzabile dalle comunità indigene. La stessa riapertura del catasto minerario, nel giugno di quest’anno, ardentemente voluta da Rafael Correa, offre alle imprese e allo Stato la possibilità di intervenire in aree protette, dove si trovano fonti di acqua, boschi o terre di produzione contadina. La proclamazione della cosiddetta minería del buen vivir , che intende legittimare un’estrazione mineraria responsabile e criminalizzare le comunità che si oppongono bollandole come contrarie allo sviluppo, guardandosi bene dall’evidenziare che dietro a questa operazione di facciata stanno gli sgomberi forzati ed un impatto socio-ambientale devastante, è stata sostenuta e rafforzata anche dalla Ley de Seguridad Pública y del Estado che, tra le altre cose, permette l’ingresso di forze di sicurezza private delle transnazionali nelle zone protette. È in questo contesto che imprese cinesi quali Explorcobres, Junefield, la candese Inv Minerals e la svedese-canadese Lundin Gold hanno ottenuto facilmente carta bianca per impadronirsi di buona parte del territorio ecuadoriano, approfittando anche della politica di criminalizzazione dei militanti per i diritti umani e ambientali.

L’intento di Rafael Correa è quello di trasformare l’Ecuador in un paese dedito quasi esclusivamente all’estrazione mineraria coniugata in maniera del tutto contraddittoria con il buen vivir.  Il festín minero denunciato da Alberto Acosta prosegue e, cosa più grave, è sostenuto da un presidente che aderisce all’Alba. 

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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