Latina

Sarà candidata una donna indigena

Messico: alle presidenziali del 2018 parteciperà anche l’Ezln

La candidatura zapatista si farà portavoce di tutti gli esclusi del paese
17 novembre 2016
David Lifodi

internet Al pari del clamore destato per il levantamiento del 1 gennaio 1994, non meno sorpresa ha suscitato la recente decisione dell’Ezln di presentarsi con un proprio candidato alle elezioni presidenziali in programma in Messico nel 2018. A partecipare alla corsa per Los Pinos sarà una donna indigena, che avrà il compito di rappresentare non solo i movimenti sociali, ma quella parte di paese antisistema che non si riconosce nel turbocapitalismo della fallimentare esperienza di Enrique Peña Nieto.

La scelta degli zapatisti, in controtendenza rispetto al principio del cambiare il mondo senza prendere il potere, non deve essere intesa come un repentino cambio di marcia. La campagna dell’Ezln sarà molto simile alla Otra Campaña che, tra il 2005 e il 2006, percorse tutto il paese ascoltando le mille voci provenienti dal Messico dal basso senza però essere elettorale. Allora furono in molti, anche tra gli intellettuali fino a quel momento a loro vicini, ad accusare l’Ezln di aver favorito la vittoria delle destre scegliendo la via astensionista. Oggi, la decisione zapatista è stata presa con sollievo da alcuni, che ritenevano impensabile la chiusura dell’Ezln tra le montagne del sud-est messicano, mentre per altri partecipare alla competizione politica significa ancora compromettersi con il sistema Stato e con il potere. Aldilà del grande dibattito suscitato dalla presa di posizione zapatista, nel frattempo è cambiato il contesto sociale nel quale anche l’Ezln si trova immerso. La candidatura zapatista non sarà solo la voce delle comunità indigene, i cui diritti vengono progressivamente erosi, allora come adesso, ma rappresenterà i desplazados dalle politiche estrattiviste ed istruttrici dell’ambiente, i lavoratori urbani costretti a fare i conti con salari da fame, la violenza del narco-stato messicano, la militarizzazione del paese, le donne vittime dei femminicidi. La partecipazione alle presidenziali con questo programma non può non ricordare la famosa lettera che l’allora subcomandante Marcos scrisse il 28 maggio 1994 in cui dichiarava di identificarsi “con tutte le minoranze emarginate, oppresse, che resistono, che esplodono, che dicono <<Adesso basta!>>. E del resto, non si può nemmeno dimenticare che la candidatura di una donna indigena richiama alla memoria la comandanta Esther, quella donna minuta delegata ad intervenire in Parlamento,  a Città del Messico, di  in occasione della marcia del color della Terra del 2001. Tutti si aspettavano un intervento del Sup e rimasero spiazzati.

Al tempo stesso, lasciano il tempo che trovano le polemiche per la mancata unità con Morena, il Movimiento de Regeneración Nacional di Andrés Manuel López Obrador (conosciuto popolarmente come Amlo), che negli anni scorsi ha più volte rivolto pesanti attacchi all’Ezln accusandolo per il suo astensionismo, senza rendersi conto che nel suo partito la gerarchia ha prevalso sull’orizzontalità e sorvolando sul suo progressivo avvicinamento con Peña Nieto all’insegna della stabilità proprio in vista delle presidenziali del 2018. Un’alternativa politica, da sinistra, è possibile, guardando alle esperienze del Venezuela, della Bolivia, per certi versi dell’Uruguay, pur con tutte le contraddizioni del caso, sostengono alcuni. Per altri, invece, l’Ezln avrebbe dovuto mantenersi al di fuori delle presidenziali. In realtà, gli zapatisti non hanno fatto altro che ribadire la loro scelta di costruire un contropotere per resistere non solo al capitalismo, ma ad uno Stato che fa della violenza la sua arma principale. Si tratta di una strategia ampia, che da un lato prevede l’incursione nelle istituzioni per rappresentare gli esclusi dal sistema e dall’altro propone, al tempo stesso, di porre le basi per un modello politico e sociale alternativo. Del resto, non si tratta della prima volta che gli zapatisti si incontrano, anzi, si scontrano, con le istituzioni. Ad esempio, era successo nel 1996, quando lo Stato disattese gli accordi di San Andrés su diritti e cultura indigena, e nel 2006, quando la IV dichiarazione della Selva Lacandona propose una nuova Costituzione per il paese. Di certo ci vorrebbe unità almeno nel campo delle forze antisistema e per questo gli zapatisti hanno rivolto un appello alla società civile per “rendere più forti le resistenze nel paese e difendere la vita di ogni persona, famiglia, collettivo, comunità e quartiere. È tempo di costruire un nuovo paese, per tutte e tutti, di sostenere maggiormente la partecipazione dal basso, la sinistra anticapitalista e il Messico multicolore”.

La candidatura indigena andrà ad inserirsi nel contesto di uno Stato che si caratterizza per l’occupazione militare del proprio paese, per la violenza che ha provocato migliaia di morti (solo per fare un esempio, la strage dei normalistas di Ayotzinapa) e per un’oligarchia vorace che ha occupato tutte le singole istituzioni statali per piegarle ai suoi interessi. Se davvero Amlo capisse tutto questo, forse ci sarebbe la possibilità di marciare divisi per colpire uniti, ma al primo posto dell’agenda politica dovranno esserci i diritti degli esclusi di sempre della società messicana e uno Stato non più nelle mani dei narcos e focalizzato esclusivamente sull’utilizzo della forza per imporre le ricette neoliberiste.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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