Brasile: il governo di Michel Temer perde pezzi
"Non posso risolvere tutto in pochi mesi", si giustifica sempre più spesso Michel Temer, che sembra vicino all'essere scaricato anche da quell'oligarchia che lo aveva accolto a braccia aperte dopo aver estromesso dal Planalto Dilma Rousseff con uno dei tanti golpes blandos purtroppo sempre più di moda in America latina negli ultimi anni. Di fronte all'emendamento costituzionale che sarà discusso domani e che prevede di bloccare per venti anni la spesa pubblica, è emersa la possibilità relativa alla candidatura dell'ottantacinquenne Fhc, sponsorizzata anche dal quotidiano Folha de São Paulo. Temer è stato costretto ad ingoiare l'amaro boccone delle proteste proprio ad opera di quegli stessi cittadini dei quartieri più ricchi delle metropoli brasiliane che avevano animato le manifestazioni di piazza per chiedere la destituzione di Dilma Rousseff. Tutto ciò mentre sono già sei i ministri dimessisi dall'incarico. Gli ultimi due casi sono stati quelli di Marcelo Calero, alla Cultura, e di Geddel Vieira Lima, della Segreteria di Governo. Calero ha sostenuto di aver dovuto rassegnare le dimissioni su pressione dello stesso Geddel Vieira Lima e, di conseguenza, dello stesso Temer, in merito ad un edificio di proprietà dello stesso Geddel che avrebbe dovuto essere liberato per far posto all'Istituto del patrimonio storico nazionale, alle dipendenze del Ministero della Cultura. Per questo motivo il Partido Socialismo e Liberdade (Psol, nato da una scissione a sinistra del Partido dos Trabalhadores), ha già avanzato alla Camera una richiesta di impeachment nei confronti del presidente Temer.
In precedenza era stata la volta di Romero Jucá, ex ministro della Pianificazione ed esponente del centrista Partido do Movimento Democrático Brasileiro (Pmdb, da sempre stampella di tutti i governi che si sono succeduti in Brasile), a dover lasciare l'incarico dopo una sola settimana, a causa della registrazione di un colloquio telefonico con il presidente di Transpetro Sérgio Machado in cui giustificava l'impeachment nei confronti di Dilma Rousseff come necessario "per evitare uno spargimento di sangue" dovuto all'operazione Lava-Jato, che investiga sulla corruzione all'interno di Petrobras e fa tuttora tremare buona parte del mondo politico brasiliano. Le stesse registrazioni sono state fatali all'ex ministro alla Trasparenza Fabiano Silveiro, pizzicato mentre stava dando consigli al presidente del Senato Renan Calheiros (anche lui del Pmdb) su come difendersi dalle investigazioni relative all'operazione Lava-Jato. Peraltro, lo stesso Calheiros, uomo vicinissimo a Temer, è stato sospeso dal giudice Marco Aurelio Mello perché quest'ultimo ha dimostrato il suo coinvolgimento in un giro tangenti intascate dall'impresa edile Mendes Junior, la quale a sua volta avrebbe pagato le spese personali di Monica Veloso, una giornalista con la quale proprio Calheiros ha avuto una figlia fuori dal matrimonio. Tuttavia, l'emorragia dello staff di Michel Temer non finisce qui. Henrique Eduardo Alves, anch'esso del Partido do Movimento Democrático Brasileiro e uomo di fiducia di Temer, non ha potuto far altro che dimettersi da ministro del Turismo per donazioni elettorali pagate da un'impresa su cui sta investigando la magistratura brasiliana. Al contrario di Michel Temer, che ogni volta ha fatto il possibile per mantenere i suoi ministri al governo, Dilma Rousseff non si è mai opposta alle indagini su suoi ministri implicati in casi di corruzione.
Se a destra le acque sono agitate, sia per la lenta agonia della presidenza Temer sia per il golpe nel golpe (così lo ha definito sul quotidiano argentino Página/12 il giornalista Eric Nepomuceno) che intenderebbe portare di nuovo Fernando Henrique Cardoso al Planalto, le cose non vanno molto meglio a sinistra. Nonostante le enormi mobilitazioni di piazza contro il colpo di stato che ha permesso a Temer di spodestare Dilma Rousseff, la credibilità del Partido dos Trabalhadores è a picco. Nelle elezioni municipali dello scorso 30 ottobre, scrive Aldo Zanchetta nel suo Mininotiziario America latina dal basso, "il Pt ha perso in tutti e sette i municipi dove i suoi candidati erano andati al ballottaggio, non riuscendo a farcela neppure nella sua tradizionale roccaforte del nord est, Recife". A San Paolo, dove si è imposto come sindaco João Doria, scrive ancora Zanchetta, "il Pt non è riuscito a conquistare nessuna delle 57 prefetture, non arrivando a sommare nemmeno un milione di voti". Al tempo stesso, anche il Psol sconta una fase di difficoltà, poiché è riuscito solo in parte a capitalizzare in termini elettorali il voto di punizione nei confronti del Pt. Ad esempio, a Rio de Janeiro, ha portato il suo candidato Marcelo Freixo (noto per la sua militanza nei movimenti per i diritti umani) al ballottaggio, ma poi ha dovuto capitolare di fronte al vescovo evangelico della Chiesa universale del Regno di Dio Marcelo Crivella, a testimonianza del sempre maggior peso politico assunto dalle chiese evangeliche, peraltro infiltrate in tutta l'America latina dagli Stati Uniti fin dall'epoca del Plan Cóndor per bloccare l'espansione della Teologia della Liberazione.
Difficile capire cosa potrebbe accadere in uno scenario politico del genere, ma è evidente che la presenza di Fhc sullo sfondo della crisi non faccia presagire nulla di buono.
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