Latina

Nonostante la fine delle ostilità proseguono gli omicidi mirati ai danni di leader contadini e indigeni e attivisti di sinistra

Colombia: la pace resta un miraggio

La situazione è molto simile a quella degli anni ’80, quando furono sterminati i militanti di Unión Patriótica
13 febbraio 2017
David Lifodi

internet

Gli accordi di pace in Colombia sembrano essere giunti a un punto morto. Dal fallimento del referendum, inoltre, è cresciuto il numero di attentati contro i difensori dei diritti umani, i leader delle comunità contadine e i militanti dei movimenti sociali, a partire dagli esponenti di Marcha Patriótica. Il timore principale è che si ripeta quanto accaduto negli anni ’80, quando il partito Unión Patriótica fu sterminato dai paramilitari nel silenzio complice delle istituzioni.

In molte zone del paese i paras si stanno sostituendo alla guerriglia delle Farc con il preciso scopo di eliminare i leader sociali in un contesto politico in cui le bande dell’estrema destra non hanno mai accettato gli accordi di pace, fedeli al processo di delegittimazione dei negoziati condotto senza quartiere dall’ex presidente Uribe e dal probabile nuovo inquilino di Palacio Nariño, quel Vargas Llera che è indicato come il principale candidato alla presidenza del paese e che si dichiara un grande ammiratore delle politiche di Donald Trump. Quanto a Juan Manuel Santos, è evidente che l’attribuzione del Nobel per la pace è stata quantomeno affrettata. Come ha dichiarato il portavoce di Marcha Patriótica Carlos Lozano, “siamo di fronte ad uno dei peggiori genocidi nella storia del paese”. Quanto sta accadendo fa parte di un piano di sterminio preordinato, come fu quello degli anni ’80, ed è messo in pratica per evitare che le Farc, una volta trasformatesi in partito politico da gruppo guerrigliero, non possano godere di una base fondata su dirigenti contadini, studenti, intellettuali e attivisti dei movimenti sociali. La maggior parte degli episodi di violenza sono avvenuti nei dipartimenti del Cauca e di Córdoba, una sorta di avvertimento alla guerriglia che si appresta a deporre le armi, ma anche a tutta quella parte del paese che rifiuta la guerra e sperava in un futuro migliore a seguito della firma degli accordi di pace. Tuttavia, è difficile che le Farc, a seguito di quanto sta accadendo, decidano di riprendere le armi. La guerriglia ha fatto molte concessioni allo Stato e all’estabilishment pur di ottenere il reintegro alla vita civile, ma il viscerale anticomunismo e la propensione alla guerra dei settori più reazionari della società colombiana rappresentano un pessimo segnale per il futuro, così come il quotidiano tentativo di denigrare il processo di pace condotto dai media mainstream.

Dal canto suo, lo Stato ha molte responsabilità, a partire dalla promessa, praticamente rimangiata, di impegnarsi per la liberazione dei dirigenti guerriglieri detenuti negli Stati Uniti, come dimostra il caso più clamoroso, quello di Simón Trinidad. E ancora, il governo ha proseguito nelle sue politiche di guerra sociale ed economica. Tutto ciò è stato percepito dalle Farc come un tradimento da parte di uno Stato che rischia di avvicinarsi pericolosamente alle posizioni di Trump. Fortunatamente, per il momento, la Colombia non sembra rappresentare una priorità per il presidente americano, anche se di certo non si adopererà per far applicare gli accordi di pace, come invece aveva fatto, in parte, Obama, nonostante le sue politiche verso l’America latina restino in gran parte insoddisfacenti. Ad esempio, gli Stati Uniti cercheranno di rafforzare l’Alianza del Pacífico, a cui peraltro aveva dato impulso lo stesso Obama, per contrastare l’Alba e il Mercosur, e di cui la Colombia rappresentava uno dei membri di primo piano per contrastare i paesi bolivariani. Al tempo stesso, non si può fare a meno di notare che i repubblicani statunitensi hanno appoggiato molto timidamente i negoziati di pace dell’Avana e che all’interno del partito i maggiori oppositori al negoziato mantengono stretti contatti con Uribe. Tra loro la congressista cubano-americana Ileana Ros Lethinen, ossessionata dalla minaccia “castro-chavista”, e il suo collega Mario Díaz-Balart. Anche il think thank repubblicano Heritage Foundation, vicino a Trump, si è sempre opposto al processo di pace in Colombia.

A pochi mesi dal 15 settembre 2016, quando Juan Manuel Santos riconobbe pubblicamente (non si sa quanto sinceramente) le responsabilità dello stato colombiano nello sterminio di Unión Patriótica, e dal 26 settembre 2016, la giornata in cui fu sancita ufficialmente la pace, sono stati assassinati cinque leader indigeni e contadini. Per il ministro della Difesa, Luis Carlos Villegas, “in Colombia non ci sono paramilitari e gli omicidi dei leader sociali non avvengono in maniera sistematica”. Con queste premesse, la Colombia resta purtroppo in uno scenario di violenza efferata e i paras, dopo che lo Stato si è assicurato la smobilitazione delle Farc, continuano a commettere crimini di ogni tipo in maniera del tutto indisturbata.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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