Latina

Portorico: “Non sono mai riusciti a piegarmi, né a spezzarmi”

Intervista esclusiva con Óscar López Rivera dopo la sua scarcerazione
26 maggio 2017
Giorgio Trucchi

Óscar López Rivera (Foto G. Trucchi | Rel-UITA)

Da quando è tornato a percorrere da uomo libero  le strade della sua isola di Portorico, Óscar López Rivera non ha riposato un solo momento.  Impossibile sottrarsi al moltitudinario abbraccio di un popolo intero che ha lottato per la sua liberazione. Ottenere un’intervista in esclusiva non è stato facile, a tal punto che ci sono voluti tre momenti in tre giorni diversi, ma ne è senza dubbio valsa la pena.

-Sono stati giorni intensi. Come si sente? Se lo immaginava così il momento della sua liberazione?
-Ho sempre sognato di tornare in patria e stare con la mia famiglia, ma non avevo la minima idea di quando e se sarebbe successo. La verità è che ero ormai preparato a passare il resto della mia vita in carcere.

Il 17 gennaio quando mi hanno detto che mi avevano commutato la pena non ci potevo credere. Ho cominciato a capire che era vero solo qualche giorno prima del mio trasferimento a Portorico. Mentre preparavo le mie cose mi ripetevo: “È vero. Sto andando a Portorico.” Portorico è la mia patria e tutto quello che sto vivendo in questi giorni riflette esattamente ciò che saranno i miei prossimi mesi. Visiterò tutti i municipi del paese, per ascoltare, dialogare e condividere con la gente.

-In questi giorni ha ribadito sempre due parole: unità e decolonizzazione. Che significato hanno per lei?

-Il tema della decolonizzazione è importantissimo. Portorico sta soffrendo molto la propria condizione di colonia imposta ormai da quasi 119 anni. Il colonialismo è stato dichiarato un crimine contro l’umanità. Perché dobbiamo continuare a subire questo crimine?

Lo vediamo proprio in questi giorni con la presenza nell’isola della Giunta per il Controllo Fiscale (JCF per la sua sigla in spagnolo) imposta dagli Stati Uniti. La cosa peggiore è che si stanno pagando milioni ai suoi funzionari e non sappiamo nemmeno il perché. Ci stanno saccheggiando di nuovo. Questi soldi si sarebbero potuti usare per la salute, per mantenere aperte le scuole. Anche questo fa parte del sistema colonialista che subiamo.

-E l’unità?

-Per decolonizzare il paese abbiamo bisogno di due cose: l’unità e l’amore per la patria. Senza amor patrio non possiamo ottenere unità. Dobbiamo mettere da parte le nostre differenze e concentrarci su quello che vogliamo: Portorico libero. Io lo voglio libero, non riesco a immaginarmelo in nessun altro modo.

-Quando parla di decolonizzazione e indipendenza pensa anche ad un cambio di modello economico?

-Assolutamente. Bisogna cambiare il modello neoliberista. Ho cominciato a studiare il neoliberalismo fin dalle sue radici negli anni ‘70. La globalizzazione, le imprese multinazionali che decidono il futuro dei paesi. Non potrei mai accettare qualcosa del genere a Portorico. Il cambio deve essere strutturale e completo. Dobbiamo sviluppare un mercato interno, sfruttare il mare. Qui c’è un grande potenziale umano e l’essere umano è la nostra principale risorsa. Quello che non abbiamo è la libertà per fare quello che vogliamo.

La storia si ripete

-Portorico vive momenti molto difficili. Ha già accennato alla presenza della JCF e il piano di riordinamento per ristrutturare il debito pubblico. Che idea si è fatta di questa crisi?
-La Giunta per il Controllo Fiscale è un ente criminale. Viene a Portorico con lo stesso proposito di sempre: saccheggio, saccheggio e ancora saccheggio.

In questi giorni ho parlato con molte persone. C’è una parte che si è rassegnata e crede che la JCF può aiutare il paese. Pero la maggioranza non è d’accordo ed è disposta a lottare. Si sta creando una dinamica molto interessante.

-Crede di poter essere in questo momento un elemento di unità?

-Non so se potrò esserlo, però abbiamo l’esempio della campagna per la mia scarcerazione che si è basata sull’unità di settori molto diversi.

Siamo anche riusciti ad ottenere l’unità contro la Marina nordamericana a Vieques, e per tirar fuori di galera i nostri cinque eroi nazionali nel 1979 e gli 11 prigionieri politici nel 1999.
Io sono qui perché siamo riusciti ad unirci. Non sono mai stato settario, né ho mai promosso qualcosa che divida. Io devo tutto a questa unità.

-In questi primi giorni di libertà ha citato in diverse occasioni la donna portoricana, la gioventù, e la comunità LGBTI. Che importanza hanno questi settori nella società?

-La donna portoricana ha una grandissima forza e lo ha dimostrato a tutto il popolo. Storicamente è una delle forze più grandi che abbiamo a Portorico. Molte volte però viene relegata a una posizione di retroguardia e questo è qualcosa che deve finire.

La gioventù è il futuro di tutte la società. Se qui si permette che chiudano scuole e si distrugga l’università significa che stiamo minando il futuro del paese. Dobbiamo appoggiare la lotta degli studenti perché possano trionfare.

Per quel che riguarda la comunità LGBTI, io non credo nell’odio e nemmeno nella discriminazione. Credo che dobbiamo celebrare le differenze e per questo dobbiamo rispettare questa comunità e riconoscerle la dignità che merita.

-Una parola per tutte le persone e organizzazioni, come la Rel-Uita, che in tutto il mondo hanno lavorato per ottenere la sua scarcerazione.

-Vorrei esprimere la mia più grande gratitudine a tutti coloro che hanno reso possibile la mia scarcerazione. La campagna è stata bellissima, una campagna di unità, che ha superato le frontiere. È un modello che possiamo utilizzare per unirci ancora di più. Credo che potremmo usarla come esempio e strumento per continuare a lottare e a combattere per il futuro di Portorico.

Credo nella solidarietà caraibica, latinoamericana e che un mondo migliore e giusto sia possibile se abbiamo il coraggio di lottare.

-Lei ha passato metà della sua vita in prigione lottando per un Portorico libero e indipendente. Ne è valsa la pena?

-Non ho alcun dubbio. Assolutamente sì. Insieme a tutte le mie compagne e compagni imprigionati non abbiamo mai permesso che ci piegassero, che ci spezzassero o che ci obbligassero a rinunciare alla lotta.

Ne è valsa la pena perché siamo un esempio del fatto che si può lottare, andare avanti e trionfare. La capacità del popolo di sentire dentro di sè questa lotta attraverso la campagna è qualcosa di cui abbiamo bisogno per il presente e per il futuro.

Fonte: Rel-UITA (spagnolo)

Note: Traduzione: Giampaolo Rocchi
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