Latina

Secondo mandato per il Berlusconi cileno

Cile: dal sogno all’incubo. Piñera di nuovo presidente

Anche in occasione del ballottaggio ha prevalso un forte astensionismo
18 dicembre 2017
David Lifodi

Sebastian Pinera

Quella che poteva rivelarsi un’opportunità per la sinistra, come aveva titolato pochi giorni prima del ballottaggio del 17 dicembre Punto Final, si è invece trasformata in una netta vittoria per la destra. Il nuovo presidente cileno sarà , ancora una volta, il magnate Sebastián Piñera. La contesa con il candidato socialista Alejandro Guillier, che tutti ritenevano essere quantomeno all’insegna dell’incertezza, si è risolta nel modo peggiore. Tuttavia, a farla da padrone è stata l’astensione, che poi ha giocato decisamente a favore del cosiddetto Berlusconi cileno e già ad alti livelli al primo turno, quando aveva raggiunto il 54%.

Piñera ha ottenuto 3.795.421 milioni voti contro i 3.159.663 di Guillier su un elettorato complessivo di 14.347.260 di cileni, segno che evidenzia come circa la metà del paese abbia preferito non recarsi alle urne. Se sull’esito del primo turno elettorale, quello del 19 novembre scorso, in molti avevano notato la frantumazione del duopolio centrodestra-Nueva Mayoría (la ex Concertación) a vantaggio del Frente Amplio di Beatriz Sánchez, forza di sinistra che aveva conquistato 21 deputati e un senatore sparigliando le carte, oggi non si può fare a meno di notare che è proprio a sinistra dove sono venuti a mancare un po’ di voti per provare almeno a fare un po’ di paura a Piñera. Guillier al primo turno era stato appoggiato ufficialmente dal Partito socialista, da quello comunista e dai radicali, ma avrebbe potuto ricevere consensi anche dai diversi altri candidati di centro-sinistra o sinistra rimasti esclusi dal ballottaggio presidenziale ed invece non è stato così. Ad esempio, chissà dove è andato quel 5,9% di preferenza raggranellate il 19 novembre dalla candidata democristiana Carolina Goic, la quale aveva scelto di sfilarsi dalla coalizione pro-Guillier e presentarsi in solitudine per via della presenza del Partito Comunista. Sull’altro lato della barricata, invece, nonostante le forti differenze tra la destra neoliberista di Piñera e quella del pinochettista Antonio Kast, è assai probabile che una parte del suo elettorato abbia deciso di convergere sullo stesso Piñera per evitare il permanere di un socialista alla Moneda.

Alla fine, è andata come pronosticavano molti analisti politici prima del 19 novembre: si è verificato di nuovo l’avvicendamento tra Piñera e Bachelet. Certo, Guillier avrebbe dovuto recuperare circa il 14% dei consensi per insidiare Piñera, poiché il candidato di Chile Vamos, al primo turno, aveva raggiunto il 36,6% delle preferenze contro il 22,6% del suo sfidante, ma in molti si auguravano una nuova sorpresa dopo quella dell’affermazione frenteamplista di un mese fa. Sarà soprattutto il Frente Amplio, di fronte al forte calo della Nueva Mayoría, a dover fare opposizione a Piñera, oltre a porsi come fattore aggregante per ricompattare la frammentata sinistra cilena. Da un lato, quindi, il nuovo Cile auspicato da Punto Final deve necessariamente ripartire dal programa de muchos del Frente Amplio, peraltro espressione solo fino a un certo punto dei movimenti e delle lotte sociali (si ispira all’omologo Frente Amplio uruguayano e alla sua esperienza di sinistra non rivoluzionaria), ma che ha avuto il merito di mettere fine al bipartitismo imperante. Allo stesso tempo, non si può far a meno di temere per le sorti di un paese dove Piñera, come in occasione del suo primo mandato, cercherà ancor di più di trasformare i cittadini in consumatori. Del resto, a condannare Guillier alla sconfitta è stata anche la percezione che quest’ultimo avrebbe continuato a seguire quella strada riformista intrapresa dalla Bachelet e mai condivisa dalla maggioranza della popolazione, non a caso, già nel 2013, quando fu eletta per il secondo mandato presidenziale, la presidenta raggiunse la Moneda con un tasso di astensione di oltre il 58%.

El Mercurio, storico quotidiano conservatore e megafono della campagna elettorale di Piñera, ha sempre propagandato l’idea che i cileni vivano in un paradiso terrestre e siano in grado di potersi permettere il consumismo più sfrenato. Due mesi prima delle elezioni del 19 novembre, un sondaggio effettuato dal Centro de Estudos de Conflicto y Cohesión Social, commissionato da università pubbliche e private, segnalava che per il 30% degli intervistati un governo autoritario permette più o meno le stesse condizioni di vita di uno democratico. È in un contesto del genere che Piñera ha prosperato ed è riuscito a rimanere a galla, nonostante sia un evasore fiscale e faccia soltanto gli interessi di una minoranza del paese, quella delle famiglie più ricche del Cile che si identificano in un paese ad economia turboliberista.

Infine, il successo di Piñera rappresenta un ulteriore colpo per l’intero continente latinoamericano che, tra colpi di stato e affermazioni legali della destra, vede il fronte progressista in minoranza. Il Berlusconi cileno governerà sul modello del suo vicino di casa Macri e, considerando gli sviluppi della politica argentina, questo rappresenta un pessimo segnale.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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