La «guerra civile» del Brasile
Il secondo anno di Lula come presidente comincia male. L'economia che che non dà segni consistenti di riprendere a tirare - dopo la caduta in recessione nel 2003 -, la disoccupazione che non diminuisce - dopo il record negativi dell'anno scorso -, la violenza che non cessa di aumentare sia nelle grandi città sia nelle campagne, i programmi sociali che non decollano, i primi scandali di corruzione che lambiscono il Pt, nato e vissuto come «il partito dell'etica». In questo quadro poco promettente, il Movimento dei sem-terra ha ripreso con estremo vigore la pratica delle occupazioni di terre, di fronte allo stallo (anche) della riforma agraria e alla risposta sempre più violenta dei fazenderos.
Ieri sono stati resi noti i dati del rapporto annuale della Commissione pastorale della terra, organismo della Conferenza episcopale brasiliana. Dati che parlano da soli. Il rapporto, «Conflitti nelle campagne in Brasile nel 2003», conclude che il primo anno del primo presidente di sinistra nella storia del paese è stato il più violento nel lungo conflitto per la riforma agraria. Gli asassinii di braccianti, militanti e sindacalisti sono cresciuti di quasi il 70% (69.9%) rispetto al 2002, con 73 «trabalhadores rurais» uccisi. Anche il numero delle occupazioni di terre è aumentato rispetto all'anno prima: sono state 676. E anche quello degli arresti fra contadini e militanti. Più il 140% in più rispetto al 2002. La conclusione politica della Cpt è ancor più preoccupante per Lula: la violenza è cresciuta a causa dell'inoperatività di un governo su cui i senza-terra hanno riposto enormi speranze che sono andate (finora) deluse. Dom Tomas Balduino, il capo della Pastorale della terra ha accusato apertis verbis «la mancanza di volontà politica al governo per avviare la riforma agraria e il Piano nazionale annunciato da Lula, oltre che irrisorio, non è partito con la necessaria speditezza».
Di fronte a questo quadro, l'Mst ha alzato il livello dello scontro, riprendendo a tutto vapore le occupazioni di terra. Solo nel marzo scorso sono state invase più di 50 proprietà, un record assoluto. «Non cederemo un centimetro delle fazendas occupate», hanno detto i leader dell'Mst che stanno organizzando marce e proteste in tutto il paese in occasione della strage di Eldorado di Carajas (stato nordestino del Parà), in cui nel `96 furono 19 i braccianti senza terra asssassinati dalla polizia (e il processo dei responsabili non è ancora giunto a termine...). Mentre il governo è messo sotto pressione anche dai latifondisti e dai loro uomini al governo. I fazenderos criticano Lula per non riuscire (o volere) a impedire le occupazioni e minacciano di tagliare gli investimenti per l'agro-business d'esportazione e portarli in posti più docili e tranquilli. «Se vogliono possono redistribuire le terre oziose ma dovrebbero rispettare i diritti di proprietà», ha detto Antonio Ernesto de Salvo, presidente della Federazione nazionale dell'agricoltura.
E non sono solo le campgane a esplodere. A Rio de Janeiro, per via della criminalità violenta delle favelas, Lula manderà l'esercito (dopo aver fortunatamente respinto l'idea di chiuderle con un muro dell'apartheid dal resto della città). Ma cosa si spera in un paese in cui l'1% dei proprietari terrieri possiede ancora la metà delle terre? E in cui, la cifra è stata diffusa venerdì scorso alla presentazione della «mappa della fame» della Fondazione Getulio vargas, un terzo della popolazione, ossia quasi 60 milioni di persone, vive con un dollaro al giorno (e anche meno)? E in cui, come ha rivelato mercoledì la sintesi degli indicatori sociali dell'Ibge (l'Istat brasiliano), i morti di morte violenta sono ormai 30 mila all'anno. In Brasile, tutto il Brasile, è in atto una vera «guerra civile» e Lula dovrà cambiare rotta se vuole venirne a capo.
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