Latina

L’Honduras e lo spettro dell'ingovernabilità

Non c’è più tempo. In Honduras bisogna evitare
che si legittimino i brogli elettorali
23 dicembre 2017
Giorgio Trucchi

Padre Melo (Foto DW | S. Weiss)

È oramai passato quasi un mese dalle elezioni generali e l’Honduras si trova ancora nel bel mezzo di una crisi politica e sociale dagli esiti molto incerti. Mentre le autorità elettorali blindano la vittoria del presidente uscente Juan Orlando Hernández, l'Alleanza d’opposizione e il suo candidato Salvador Nasralla continuano a denunciare quella che considerano la più grande frode elettorale della storia recente del paese centroamericano.

A livello internazionale alcune nazioni, tra cui la Colombia, hanno iniziato a considerare valido il risultato pubblicato nei giorni scorsi sulla Gazzetta ufficiale. Ieri (venerdì) gli Stati Uniti hanno rotto gli indugi e hanno riconosciuto la vittoria di Hernández, spalancando così le porte a una probabile reazione a catena da parte degli altri governi.

Non è passata inosservata la tempistica di Washington, che ha preso questa decisione meno di 24 ore dopo che il disciplinato governo honduregno aveva votato contro la risoluzione Onu che rifiuta la decisione degli Usa di riconoscere Gerusalemme come capitale d'Israele.

Ancora una volta il voto di scambio e il sequestro delle coscienze vanno di pari passo e confermano l’ipocrisia che ha contraddistinto la relazione tra i due paesi fin dai tempi del colpo di Stato del 2009.

Nei giorni scorsi, facendo riferimento al secondo rapporto della missione d’osservazione elettorale dell’Organizzazione degli stati americani, il segretario generale di questo forum multilaterale, Luis Almagro, aveva sostenuto che non c’erano sufficienti elementi per assicurare chi fosse il vincitore e che sarebbe stato opportuno ripetere le elezioni.

Deludente invece il comportamento della missione d’osservazione dell’Unione Europea che di fatto ha avallato la decisione dei magistrati elettorali.

La prima reazione di Juan Orlando Hernández dopo l’annuncio del Tse è stata di chiedere pubblicamente all’opposizione di riconoscere la sua vittoria e di partecipare a una “dialogo nazionale”. Per il momento sia l’Alleanza che il Partito liberale hanno rifiutato un invito che ricorda troppo vecchi stratagemmi per calmare le piazze e dividere l’opposizione.

Nonostante l’annuncio di ieri di Salvador Nasralla di considerare giunta al termine la sua esperienza con l’alleanza elettorale che l’aveva scelto como candidato alla presidenza, migliaia di persone continuano a riversarsi nelle strade di tutto il paese, protestando contro i brogli, chiedendo che si riconosca la vittoria di Nasralla e sfidando la repressione dei militari. Secondo le organizzazioni che difendono i diritti umani il drammatico bilancio sarebbe già di oltre 30 morti e decine di feriti, tra cui molti minori.

L’Alleanza d’opposizione ha invece reagito con forza alla decisione del governo Trump di riconoscere la discussa vittoria di Hernández. L’ex presidente Zelaya ha assicurato che continueranno a difendere nelle piazze il respetto del voto della maggioranza degli elettori.

Intanto da più parti negli Stati Uniti si alzano voci contro la decisione del Dipartimento di Stato. Congressisti, cattedratici, organizzazioni dei diritti umani, media di tutte le tendenze hanno chiesto a gran voce che non si riconoscano i risultati del Tse e che si svolgano nuove elezioni.

Sui possibili scenari futuri, La Rel ha parlato con Ismael Moreno Coto, conosciuto come Padre Melo, sacerdote gesuita e direttore di Radio Progreso, media indipendente che ha denunciato i brogli e la dittatura e che nei giorni scorsi è stato vittima di un vergognoso sabotaggio.

-Qual è la sua analisi della situazione a quasi un mese dalle elezioni del 26 novembre?

-Ci troviamo davanti a tre scenari possibili. Il primo è caratterizzato dal riconoscimento e dall'accettazione del progetto dittatoriale di Juan Orlando Hernández. Ciò può essere ottenuto solo investendo molto denaro per il voto di scambio e il sequestro delle coscienze, in modo da garantirsi il sostegno dei gruppi di potere economico e politico, dell'apparato mediatico, delle forze di sicurezza e dei militari.

Il secondo scenario prevede l’annullamento di quanto accaduto il 26 novembre e lo svolgimento di nuove elezioni gestite con la supervisione di organismi internazionali. Ciò presupporrebbe l'esistenza di una correlazione di forze interne ed esterne al paese che consentisse il recupero di una certo grado di democrazia.

C'è anche un terzo scenario, forse il meno probabile, che considera la possibilità di una ribellione interna al regime che porti alle dimissioni di un oramai politicamente molto debole Hernández.

-Quale pensa sia lo scenario più probabile?

-Purtroppo credo si vada verso il consolidamento del progetto dittatoriale di Juan Orlando Hernández. A farne le spese sarà la popolazione con altre vite spezzate e con l’annientamento del poco che resta dello Stato di diritto.

-Che cosa ci vorrebbe per evitare questo scenario?

-Uno degli elementi più importanti è la decisione del governo degli Stati Uniti di riconoscere la vittoria dell'attuale presidente. Il rafforzamento di Juan Orlando Hernández conduce il paese verso l'ingovernabilità. Vedremo cosa accadrà ora con la posizione espressa da Almagro e l’Osa e la proposta di indire nuove elezioni.

-Esistono evidenti contraddizioni tra la posizione ufficiale del governo statunitense e l’Osa, organizzazione controllata dagli stessi Usa. Da cosa dipende?

-E’ il risultato di contraddizioni interne al governo in termini di politica estera. Luis Almagro gode del sostegno di esponenti del Partito democratico, mentre il Dipartimento di Stato e il Comando Sud degli Stati Uniti, entrambi controllati dai repubblicani di Trump, continuano a sostenere Juan Orlando Hernandez.

È un loro fedele alleato e gli serve per continuare le proprie politiche di sicurezza in America Centrale e più in generale in America Latina. L'ambasciata statunitense in Honduras vive queste stesse contraddizioni: i democratici tacciono e i repubblicani ripetono il discorso del Dipartimento di Stato.

-Hernández comunque esce indebolito da queste elezioni.

-Senza dubbio è così. Anche se la sua posizione si rafforzerà grazie al sostegno Usa, Juan Orlando Hernández e il suo progetto sono i grandi sconfitti. Potranno durare ancora un po’ grazie all’uso delle armi, al populismo economico, alla corruzione e al sostegno Usa, ma il loro destino è segnato.

-La mobilitazione della popolazione sarà un fattore decisivo in ciascuno dei tre scenari.

-L'indignazione di importanti settori della società honduregna, in particolare dei giovani, è stata latente e aveva bisogno di un fattore per esplodere con tutta la sua forza. La frode elettorale è stata la causa scatenante.

La mobilitazione sociale va oltre le capacità delle organizzazioni tradizionalmente stabilite in Honduras e va ben oltre i calcoli politici dei partiti. Più Juan Orlando Hernández e l'apparato statale cercano di legittimare i brogli e il loro progetto e più cresce la rabbia e l’indignazione della gente e delle nuove generazioni, dei giovani. C'è una rinascita inaspettata che segnerà il futuro dell’Honduras.

-Cosa dobbiamo aspettarci nelle prossime settimane?

-Viene una fase d’ingovernabilità caratterizzata dalla protesta sociale e da episodi di violenza incontrollata. Ciò scatenerà una repressione ancora più forte da parte del governo. La sfida sarà riuscire a canalizzare tutta questa rabbia e indignazione verso un progetto politico-organizzativo e, soprattutto, evitare le infiltrazioni della criminalità organizzata.

Quello di cui sono certo è che un nuovo governo di Juan Orlando Hernández difficilmente sarà in grado di arrivare alla fine dei quattro anni.

 

Fonte originale: Rel-UITA | LINyM

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