Colombia: attentato contro il leader paramilitare Carlos Castaño
Cinque guardie del corpo sono rimaste uccise falciate dalla raffiche di mitra di ignoti aggressori. Lui, Carlos Castaño, il 38enne capo delle milizie di destra colombiane (AUC), è riuscito a sfuggire all'attacco che avrebbe dovuto mettere fine a suoi giorni.
La notizia, rilanciata dall'agenzia Reuters, scuote i già traballanti negoziati di pace tra paramilitari e governo. C'è ancora molta confusione sulla dinamica dell'attentato: alcuni paramilitari giurano che si tratta di una faida tra bodyguards, altri sostengono la tesi del regolamento di conti per questioni di narcotraffico e qualcuno crede che il leader delle Auc sia negli Usa per curare la figlia malata.
Resta il fatto che Castaño, considerato dagli Stati Uniti a capo di un gruppo terrotistico sul cui capo pende un mandato di estradizione per traffici illeciti, ha disertato venerdì 16 aprile il tavolo dei colloqui con il governo.
E seduti a negoziare, venerdì c'erano proprio tutti. Tutti tranne Castaño. A mediare le trattative fra i capi delle Auc (comandanti del Magdalena Medio, Central Bolivar, Los Llanos, Casanare), rappresentanti del governo c'erano monsignor Julio César Vidal Ortiz, vescovo di Monteria, Sergio Caramagna, delegato dell'OEA e Luis Carlos Restrepo, l'alto commissario per il processo di pace in Colombia.
Carlos Castaño e suo fratello Fidel fondarono le Auc negli anni 80 in funzione anti-Farc. Secondo le organizzazione dei diritti umani i paramilitari di destra sarebbero i maggiori responsabili degli abusi sui civili (Foto: Selvas.org)
Come riferisce El Tiempo è stata la prima volta dall'inizio dei contatti per accordi di pace tra governo Uribe e Auc (giugno 2003) che tutti - o quasi - gli attori del conflitto si trovavano a discutere. Oltre alla vistosa assenza di Castaño, spicca l'ennesimo fallimento nel trovare una zona di smobilitazione delle Auc, che invece (come nel sud Bolivar) continuare a reclutare miliziani e a combattere i guerriglieri delle Farc.
Un caos sul terreno che riflette la tempesta giudiziaria che si sta abbattendo sul governo e sull'esercito. In un dossier pubblicato dalla rivista Cambio si rendono note le accuse dell'ex generale Alberto Uscátegui, sotto processo per il massacro di Mapiripàn del 1997.
L'ex alto ufficiale denuncia connivenze tra esercito e paramilitari. Ma non solo. Infatti sembra spingersi ben oltre promettendo nuove rivelazioni documentate all'interno di un personal computer in suo possesso, sul quale l'intelligence colombiana avrebbe registrato i rapporti con i paramilitari, vero e proprio braccio operativo per i lavori "sporchi" di Bogotà.
Un brutto colpo per il presidente Uribe, che sul dialogo con le Auc e il pugno di ferro con i guerriglieri delle Farc, si sta giocando la rielezione. Anche se il governo ha rotto il silenzio pronunciandosi a favore di un secondo mandato dell'ex governatore di Antioquia ottenibile con alcuni emendamenti della costituzione, l'onda d'urto delle rivelazioni di Uscátegu potrebbero spaccare "gli uribisti".
Infatti la democrazia colombiana non prevede il doppio mandato presidenziale.
Gli Stati Uniti fecero già sapere, a febbraio, per bocca dell'ambasciatore Usa a Bogotà, di essere favorevoli alla rielezione di Uribe. "Le Farc combattono da 40anni, il presidente della colombia ha solo 4 anni di tempo per sconfiggerle. Troppo poco", così si espresse William Wood, la feluca americana a Bogotà, facendo saltare su tutte le furie anche qualche editorialista del Tiempo.
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