Latina

12 anni e un mese di reclusione per l’ex presidente brasiliano accusato di aver riscosso una presunta tangente

Brasile: contro Lula una condanna già scritta

Per il momento il Partido dos Trabalhadores ha scelto di candidare ugualmente Lula per le presidenziali del prossimo autunno
31 gennaio 2018
David Lifodi

 

internet

“La condanna di Lula, a seguito di un processo fraudolento e senza prove, non fa altro che accentuare lo stato d’assedio e assume una fisionomia fascista”. Il durissimo giudizio espresso da Jeferson Miola, del Centro latinoamericano de Análisis Estratégico, a proposito della condanna a 12 anni e un mese di reclusione inflitta all’ex presidente brasiliano dai giudici João Pedro Gebran Neto, Leandro Paulsen e Victor Luiz dos Santos Laus, riflette lo stato attuale della democratura del più grande paese dell’America latina.

Ancora una volta, nel continente latinoamericano, è andata in scena una farsa che, come le altre, i colpi di stato in Honduras, Brasile e Paraguay e le ultime elezioni sempre in Honduras, può essere denominata con una sola parola: golpe. Un “colpo di stato dentro un colpo di stato” che potrebbe avere delle ripercussioni gravissime sul Brasile democratico. Se il Partido dos Trabalhadores insiste infatti nel candidare Lula, che può fare campagna elettorale fin quando la magistratura non prenderà la sua decisione finale al termine dei ricorsi già presentati dalla difesa dell’ex presidente, è altrettanto evidente che i nomi dei futuri candidati possibili al Planalto mettono i brividi.

Le candidature elettorali possono essere accettate fino al prossimo 15 agosto, ma ciò che potrebbe fermare la corsa di Lula è la Lei da Ficha Limpa, che impedisce di presentarsi alle elezioni a coloro che siano stati condannati da un organo giudiziario collegiale, proprio il caso dell’ex presidente petista. Nonostante siano state decine di migliaia le persone scese in piazza per contestare la condanna di Lula, l’opinione pubblica ha avuto buon gioco nel presentarlo come il ladro colto con le mani nella marmellata e ha insistito molto sul presunto crimine per il quale l’ex presidente rischia di finire in carcere e cioè aver nascosto che un appartamento nella città di Guarujá gli sia stato regalato come tangente da parte dell’impresa edile Oas nell’ambito dell’operazione Lava Jato, che dal 2014 sta scuotendo il paese. Sulla corruzione certa di Lula i tre giudici non hanno avuto alcun dubbio e la pena è stata ripartita in 8 anni e 4 mesi per corruzione passiva e 3 anni e 9 mesi per riciclaggio di denaro sporco.

In realtà, la sentenza era già stata emessa senza bisogno che i giudici si riunissero per ore ed ore prima di pronunciarla pubblicamente e l’ingresso a gamba tesa della magistratura nella campagna elettorale brasiliana non fa altro che accentuare la deriva autoritaria dello Stato, in balia di elites che non vendono l’ora di avere un candidato su cui poter contare. La giornalista Claudia Fanti, sull’agenzia di notizie Adista, ha scritto: “Malgrado due anni di indagini e di intercettazioni, non un singolo documento è stato fornito che dimostri che sia Lula il proprietario dell’appartamento, come neppure è stato individuato il vantaggio che da tale operazione avrebbe tratto l’impresa”. Tuttavia, la cosiddetta delação premiada e il carattere apertamente politico della sentenza hanno fatto poca breccia tra i principali mezzi di comunicazione, storicamente di orientamento conservatore. Il blogger Francesco Giappicchini, esperto brasilianista, ha sottolineato che “la difesa lulista cercherà di evidenziare le criticità della sentenza di secondo grado: in primis, il mancato tracciamento del denaro che sarebbe stato usato per l’ormai noto appartamento. In secondo luogo, non è stato evidenziato come l’imputato avrebbe contraccambiato la presunta tangente”.

Nel frattempo, gli oppositori si fregano le mani, anche perché sono coscienti che il Partido dos Trabalhadores si trova con le spalle al muro. La scelta di insistere con Lula è comunque rischiosa, anche se è fondamentale per lanciare il messaggio che l’ex presidente è innocente, per cui, timidamente, fra i possibili sostituti per le presidenziali si sussurra il nome dell’ex sindaco di San Paolo Fernando Haddad. A far paura, però sono le destre, i cui tre nomi di punta corrispondono a tre persone altrettanto impresentabili. Il peggiore è Jair Bolsonaro, aperto ammiratore della giunta militare e noto per le sue posizioni razziste e omofobe. Inquietante è la figura di Ciro Gomes, ministro sia di Cardoso (presidenza del 1994) sia dello stesso Lula (2003), personaggio del tutto inaffidabile. Quantomeno discutibile anche Marina Silva che, dopo aver abbandonato il Pt, anche a ragione, ha finito per passare dalle battaglie per i diritti condotte a fianco di Chico Mendes alle campagne abortiste, divenendo in breve tempo paladina delle tante sette evangeliche foraggiate per arrestare l’avanzata della Teologia della Liberazione.

Ci sarebbe poi da aprire un capitolo a parte per gli errori e le contraddizioni commessi da Lula, Dilma Rousseff e dallo stesso Pt, che hanno finito per dare fin da subito troppa corda alle multinazionali e alle destre nel tentativo di mantenersi al Planalto senza però poi avere alcun margine reale di azione, ma adesso l’obiettivo principale delle sinistre e dei movimenti sociali brasiliani è quello di candidare Lula e difendersi dalle classi dominanti che da anni stanno conducendo una vera e propria campagna di persecuzione contro l’ex presidente.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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