Colombia: la presidenza di Iván Duque affossa le speranze di pace
Con il 53,9% dei consensi, Iván Duque non passerà alla storia soltanto come il nuovo presidente della Colombia, ma come colui che affosserà definitivamente il già traballante processo di pace. Gustavo Petro, il candidato di Colombia Humana e delle sinistre, già sindaco di Bogotá, ha conquistato comunque una percentuale ragguardevole di voti, ben oltre le aspettative, con un 41,8% che gli permette di sperare con ragionevolezza di poter concorrere per la vittoria nelle presidenziali del 2022.
Se Petro ha avuto il merito di risvegliare ed unire la frammentata sinistra colombiana ed è stato votato soprattutto dai giovani, l’attuale contesto politico-sociale nel breve e nel medio periodo non lascia presagire nulla di buono. Negli ultimi giorni della sua presidenza Santos è riuscito a far ammettere la Colombia nella Nato, offrendo così agli Stati uniti la possibilità di rafforzare la propria presenza militare in America latina e subordinare una volta di più il paese alle mire espansionistiche della Casa bianca. In questo scenario, con la solita scusa di combattere il narcotraffico (il paese rimane uno tra i principali fornitori del mercato statunitense della droga), pare che sia allo studio una riproposizione, sotto altre vesti, del Plan Colombia, a cui già aveva dato impulso l’allora presidente Pastrana all’epoca della sua permanenza a Palacio Nariño. Inoltre, preoccupa la crescita costante del numero di omicidi mirati nei confronti di leader dei movimenti sociali, contadini e attivisti impegnati ad opporsi ai progetti di estrattivismo minerario condotti dalle multinazionali e dall’oligarchia terrateniente. Sotto questo punto di vista Iván Duque, il più giovane presidente alla guida del paese, non farà altro che provocare maggiori conflitti sociali all’interno della Colombia e proseguirà con le scaramucce militari al confine con il Venezuela nell’evidente ricerca di un casus belli con il governo bolivariano. Con Duque, inutile dirlo, l’elite colombiana continuerà ad arricchirsi a dispetto di una popolazione in gran parte impoverita e percorrerà la strada del neoliberismo selvaggio.
La strada per quello che sarebbe stato un cambiamento storico in Colombia, la vittoria di Petro, sembrava tracciata solo pochi giorni prima del ballottaggio, quando il leader di Colombia Humana secondo i sondaggi pareva essere distante soltanto pochi punti percentuali da Duque, che, fiutata l’aria, è riuscito a compattare tutto lo schieramento politico del paese, dal Centro Democrático dell’ex presidente guerrafondaio e amico dei paramilitari Álvaro Uribe al delfino di Juan Manuel Santos, Germán Vargas Llera, estromesso al primo turno delle presidenziali di fine maggio con un numero di voti ben al di sotto delle aspettative, fino ai gruppi evangelici, al Partido de la U, al Partido Conservador e a Cambio Radical, senza dimenticare il potere economico e l’apparato militare del paese. A schierarsi contro Gustavo Petro anche l’ex procuratore generale Alejandro Ordoñez.
Gustavo Petro ha fatto tutto il possibile per raggiungere Palacio Nariño, grazie all’appoggio incondizionato delle centrali sindacali, dei movimenti sociali, degli studenti, delle organizzazioni contadine, del Movimiento Alternativo Indígena y Social e dell’Organización Nacional Indígena. Il rifiuto al ritorno di Álvaro Uribe al potere, perché Duque non sarà altro che un burattino nelle mani dell’ex presidente colombiano, che non poteva presentarsi di nuovo dopo aver governato per due mandati consecutivi, è stato espresso da tutti coloro che sono consapevoli del duro colpo che riceveranno i negoziati di pace con la guerriglia delle Farc, a cui l’uribismo si è sempre dichiarato ostile. Uribe, con oltre duecento processi a suo carico per corruzione e rapporti con il narcotraffico e il paramilitarismo, responsabile, insieme all’ex delfino Juan Manuel Santos di migliaia di falsos positivos quando quest’ultimo era ministro dell’Interno, spingerà Duque a privatizzare ulteriormente la sanità pubblica, l’istruzione e a dare la spallata definitiva ai diritti civili, politici e sociali.
La scarsa affluenza alle urne, solo il 44% degli elettori si è recato alle urne, ha favorito Duque, nonostante Petro avesse dichiarato che la sua candidatura sarebbe stata all’insegna della pace, non solo per preservare gli accordi con le Farc, ma anche per dare impulso all’altrettanto difficile dialogo con la guerriglia degli eleños. Nel migliore dei casi, Duque modificherà i termini degli accordi di pace, ma potrebbe anche annullarli del tutto. Per Gustavo Petro l’orizzonte è il 2022, ma la Colombia nell’immediato è attesa da anni durissimi in cui il paese potrebbe compiere ulteriori passi indietro nel campo della riconciliazione nazionale.
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