Buenos días México!
Inutile dire che per il Messico si tratta di un risultato storico. Per la prima volta la sinistra ha conquistato la presidenza di un paese occupato ininterrottamente dal partito dinosauro Partido Revolucionario Institucional (Pri) e dal Partido Acción Nacional (Pan). La chiusura della campagna elettorale di Amlo, in uno stadio Azteca stracolmo, aveva rafforzato le speranze di vittoria di una sinistra che torna ad alzare la testa nel continente, dopo una lunga serie di sconfitte elettorali (ad eccezione del Venezuela chavista) e colpi di stato. All’estabilishment non è bastato negare lo Zócalo di Città del Messico al futuro presidente, mentre Anaya e Meade erano costretti a terminare il loro tour elettorale in luoghi chiusi, segno del forte distacco rispetto alla grande maggioranza dei messicani e del ripudio della società civile verso quel Pacto por México ratificato tra le elites imprenditoriali del Pri, del Pan e dell’altrettanto screditato Prd.
Il voto di punizione ai partiti tradizionali, trasformatosi in un plebiscito per Morena (Movimiento Regeneración Nacional), la creatura politica a cui ha dato impulso Amlo, si è basato soprattutto sull’impegno di quest’ultimo a dare battaglia alla corruzione, ormai diventata da anni pratica comune di panismo, perredismo e priismo. Addirittura pare che Cambridge Analytica, nota per aver utilizzato informazioni personali degli utenti di facebook per influenzare il risultato delle elezioni negli Stati uniti a vantaggio di Trump, abbia offerto oltre sette milioni di dollari al Partido Revolucionario Institucional per creare le condizioni propizie per favorire Meade e screditare in tutti i modi Amlo. Queste informazioni provengono dal New York Times, che ha avuto accesso ad un documento riservato, e non da qualche organo di controinformazione o militante.
Obrador, che aveva sfiorato la presidenza nel 2006 (quando Calderon si appropriò in maniera fraudolenta di Los Pinos) e nel 2012 (in quell’occasione Peña Nieto era diventato il nuovo mandatario del paese), in realtà è dovuto scendere ad alcuni patti per giungere alla guida del paese, come del resto era stato costretto a fare Lula in Brasile nel 2002, non a caso ha utilizzato per la sua campagna elettorale lo slogan Amor y Paz, lo stesso su cui era stata incentrata la vittoria dell’ex inquilino del Planalto in occasione del suo primo mandato. Ad esempio Valeriano Suárez, presidente della confindustriale Confederación Patronal, si è compiaciuto delle dichiarazioni anticorruzione di Amlo e lo stesso Financial Times ha scritto che il nuovo presidente non è così pericoloso come molti immaginano. Inoltre, il Partido Encuentro Social, di ispirazione evangelica, si è tranquillizzato per la contrarietà di Amlo all’aborto, così come ad una parte dell’oligarchia non è dispiaciuta la promessa di Obrador di non mettere in discussione la contestata Ley de Seguridad Nacional, approvata nel 2017 e volta a mantenere la presenza dei militari nelle strade aumentando i poteri e le prerogative in loro possesso.
Eppure, in un paese dove lo scorso 10 giugno il numero di omicidi di dirigenti politici aveva raggiunto quota 112 in una delle campagna elettorali più violente del Messico, il successo elettorale di Obrador rappresenta comunque una ventata di freschezza e di novità. Le aspettative su di lui sono alte, anche perché Amlo ha preso pubblicamente posizione, più volte, contro le stragi più recenti della storia del paese (Ayotzinapa, Tlatlaya e Nochistlán) e la vasta rete di corruzione apertasi intorno alla multinazionale Odebrecht, ha espresso la propria contrarietà alla costruzione del nuovo aeroporto di Città del Messico e a favore della cancellazione della riforma dell’energia e di quella dell’istruzione. Al tempo stesso, occorre che tutta la sinistra, anche quella che si era identificata nella candidata anticapitalista e zapatista Marichuy, esclusa dalla competizione elettorale per il mancato raggiungimento del numero minimo di firme ottenute invece in maniera fraudolenta da altri partecipanti alle presidenziali, sostenga e appoggi Amlo affinché possa mettere in pratica un programma politico radicale. Scendere a patti con le elites, infatti, non è una garanzia per il mantenimento della presidenza, si pensi ad esempio alle manovre di Claudio X Gonzalez, del Consejo Mexicano de Negocios e di Juan Pablo Castañón, del Consejo Coordinador Empresarial, che hanno fatto di tutto per delegittimare in tutti i modi Amlo.
Per Amlo e Morena adesso comincia un’altra sfida, quella di restituire dignità ad un paese nelle mani del narcotraffico e di una grande imprenditoria divisa, ma comunque fortemente pericolosa. Se Obrador non porterà a termine la sua rivoluzione, lo scenario politico potrebbe pendere verso un estallido social dagli sviluppi imprevedibili.
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