Paraguay: assolti gran parte dei contadini accusati per il massacro di Curuguaty
Finalmente, lo scorso 26 luglio, la Sala Penal de la Corte Suprema de Justicia ha assolto gran parte dei contadini, accusati paradossalmente di essere i responsabili del cosiddetto “massacro di Curuguaty”, grazie ad una campagna diffamatoria a mezzo stampa, costruita ad arte nei loro confronti con il sostegno del grande latifondo e delle transnazionali dell’agronegozio. Tuttavia, la notizia dell’assoluzione dei campesinos, inaspettata in un paese come il Paraguay, nelle mani di politici e imprenditori senza scrupoli, non consente comunque di festeggiare fino in fondo. La farsa giudiziaria prosegue per quattro contadini, che più volte hanno dato vita anche a dei coraggiosi scioperi della fame. Restano infatti in carcere, con accuse spropositate (senza alcuna prova), Rubén Villalba (30 anni di reclusione), Luis Olmedo Paredes (20), Néstor Castro ed Arnaldo Quintana (entrambi con 18): per loro le porte del carcere di Tacumbú non si apriranno.
È stato il giudice Emiliano Rolón a pronunciare la storica frase Tienen que salir libres, grazie alla quale gran parte dei contadini ha recuperato quella libertà negata da irregolarità di vario tipo, dall’alterazione della scena del crimine alla produzione di prove false, fino alle minacce contro gli avvocati che li difendevano. In particolare, lo Stato aveva cercato di fare in modo che ai campesinos fossero assegnati difensori d’ufficio, facendo capire ai loro avvocati che sarebbero stati sospesi dall’Ordine se avessero continuato ad occuparsi del caso di Marina Kue. Terratenientes e stampa per anni hanno continuato a sostenere in maniera compatta che i campesinos erano “invasori della terra”, a partire da Jalil Rachid, all’epoca viceministro della sicurezza dell’allora presidente Horacio Cartes. In particolare, risultava del tutto inverosimile la tesi che avrebbe visto oltre 300 agenti del Grupo Especial de Operaciones, la polizia antisommossa, presentarsi nella finca disarmata per sgomberare i contadini, tra i quali erano presenti anche molte donne, anziani e bambini.
Ad impossessarsi di Marina Kue, era stata l’impresa Campos Morombí, il cui proprietario, Blas N. Riquelme, era stato presidente del Partido Colorado all’epoca del regime stronista e, già nel 2008, la Commissione verità e giustizia lo aveva accusato di aver usurpato illegalmente la finca, destinata, fin dal 2004, alla riforma agraria. In Paraguay l’1% dei proprietari terrieri possiede l’80% della terra e questo dato, da solo, fa capire facilmente il motivo per cui il processo nei confronti dei contadini sia stato trasformato in farsa e i colorados si siano serviti del massacro di Curuguaty come casus belli per promuovere il golpe contro Lugo. Peraltro, nonostante la sentenza del Tribunal de primera instancia sia stata annullata, va detto anche che gli imputati Dolores López, Lucía Agüero, María Fani Olmedo (condannati a 6 anni di carcere), Adalberto Castro, Alcides Ramírez, Felipe Benítez Balmori e Juan Carlos Tillería (condannati a 4 anni), nel frattempo avevano già scontato le loro pene.
Resta comunque la soddisfazione per un caso che, già nel 2013, necessitava secondo l’Onu di un’investigazione imparziale e indipendente. Considerato come uno degli episodi più tragici nel breve periodo di permanenza della democrazia in Paraguay, il massacro di Curuguaty è passato alla storia anche perché nessuno dei poliziotti coinvolti nella strage è stato mai incriminato.
Adesso restano da liberare Rubén Villalba (coinvolto anche in un’occupazione della terra contro la monocoltura della soia nel 2009), Luis Olmedo Paredes, Néstor Castro ed Arnaldo Quintana. Solo quando saranno liberati anche gli ultimi quattro prigionieri politici sarà fatta veramente giustizia.
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