Brasile: Fernando Haddad al posto di Lula?
La cosiddetta "sentenza express", definita dal Partido dos Trabalhadores come un golpe nel golpe, assume, una volta di più, le sembianze di un'autentica farsa per evitare che Lula conquisti il Planalto, mentre nessuno si occupa dei guai giudiziari con cui è costretto a fare i conti il leader dell'estrema destra brasiliana Jair Bolsonaro, che negli ultimi sondaggi sarebbe distanziato di circa 20 punti percentuali rispetto a Lula. Sulla testa dell'ex capitano dell'esercito pende infatti una denuncia per razzismo e un processo per incitazione allo stupro, ma per Bolsonaro, all'orizzonte, non c'è una cella che lo aspetta e che gli impedirebbe di fare propaganda come invece è accaduto a Lula.
A poco più di un mese dalle presidenziali, all'interno del Pt, prende corpo l'idea che possa essere essere Fernando Haddad, ex sindaco di San Paolo, a giocarsi il Planalto contro Bolsonaro e gli altri candidati alla presidenza in una sfida dall'esito imprevedibile, con la giovane Manuela D'Avila, del Partido Comunista do Brasil, in qualità di vicepresidente. Già ministro sotto le presidenze di Lula e Dilma Rousseff, Haddad più volte si è recato in cella non solo per visitare il suo compagno di partito, ma anche per elaborare una strategia elettorale in grado di far breccia tra gli elettori il prima possibile. La prospettiva che Bolsonaro conquisti il Planalto, infatti, non è poi così remota, e ancora più preoccupante è la scelta di quest'ultimo di avere come eventuale vice il generale Antonio Hamilton Mourao, sia per i suoi continui richiami alla dittatura militare sia perché lo scorso anno, in occasione di un incontro promosso dalla Loggia massonica di Brasilia, evocò apertamente la necessità di un intervento militare, una sorta di colpo di stato promosso dalle Forze armate all'interno del golpe di Temer.
Pur di evitare il ritorno al Planalto del "lulopetismo" (così l'opposizione più radicale definisce con disprezzo la linea politica petista), imprese, lobbies, multinazionali e agronegozio sono disposte anche ad appoggiare Bolsonaro, pur di sbarrare la strada al centrosinistra che peraltro, sia all'epoca di Lula sia durante la presidenza di Dilma Rousseff, non ha mai promosso misure particolarmente rivoluzionarie, anzi. Solo per fare un esempio, la riforma agraria è rimasta al palo come durante i governi dei tucanos, la "socialdemocrazia" (leggi destra liberista) che stavolta scommette su Geraldo Alckmin, ex governatore di San Paolo. Dalla sua Alckmin, e la sua vice Ana Amelia, hanno il sostegno di gran parte dell'apparato mediatico brasiliano, mentre sembra difficile che, come già avvenuto in occasione delle ultime presidenziali, Marina Silva possa giocare il ruolo di outsider, nonostante il sostegno di gran parte dell'elettorato evangelico. Difficile ipotizzare anche un exploit di Ciro Gomes, esponente di un centro opportunista più volte rivelatosi però indispensabile per la vita di numerosi governi brasiliani.
Per il Brasile democratico resta inevitabilmente la necessità di appoggiare Lula, pur con tutte le contraddizioni del Pt e la sua politica fin troppo conciliante verso la borghesia. Per questo, intorno al piano per il Brasile proposto da Lula e condiviso da Haddad, se sarà davvero lui a calarsi nell'agone politico, ruotano le tematiche della sovranità territoriale e dell'integrazionismo latinoamericano, che Michel Temer, uno dei presidenti più screditati nella storia del paese, ha praticamente cancellato. Inoltre, il piano di Lula prevede un forte impegno per riaffermare i diritti umani, fermare la crescente criminalizzazione dei movimenti sociali, sostenere di nuovo quei diritti sociali scomparsi dall'agenda politica di Temer. E ancora, se Haddad o, più difficilmente Lula, arriveranno al Planalto, sono già in programma politiche dedicate alla tutela dell'uguaglianza razziale, ai diritti della comunità lgbtqi e dei contadini, ad un maggiore pluralismo dell'informazione e misure legate alla riforma agraria.
Attualmente, nello scenario politico latinoamericano, un programma elettorale di questo tipo non sarebbe semplice da applicare (lo hanno già sperimentato sulla loro stessa pelle Lula e Dilma Rousseff), ma il Brasile non può permettersi di compiere ulteriori passi indietro.
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