Venezuela: tutti contro Maduro
Maduro si è rivolto direttamente sia a Papa Francesco sia al popolo statunitense per far capire che il paese è vittima di una vera e propria aggressione (ancora una volta, oggi, Trump ha ripetuto che l’opzione militare non è da scartare), ma su gran parte della stampa la narrazione è un’altra. Giorni fa, il Corriere della Sera ha sottolineato l’ospitalità dell’ambasciata cilena di Caracas, che ha accolto dei dirigenti di Voluntad Popular, senza dire però che questo è un partito parafascista né precisare che l’attuale governo cileno non sia proprio il massimo campione di democrazia, considerando i molti simpatizzanti del presidente Piñera tra le fila del partito pinochettista Udi e le enormi responsabilità del suo ministro degli Interni negli ultimi episodi di repressione ai danni dei mapuche. Per questi fatti, però, nessuno si è mai sognato di invocare un “intervento umanitario” – leggi aggressione militare – contro un presidente democraticamente eletto.
Se una critica va mossa a Maduro è quella di aver tollerato fin troppo la cosiddetta boliborghesia (la borghesia bolivariana), che ha allontanato in parte la popolazione da Miraflores, ha tarpato le ali al processo di potere popolare in corso (a partire dalle comunas) ed ha avuto un certo peso, insieme alle sanzioni imposte dagli Stati uniti, nel far sprofondare l’economia venezuelana. In un’intervista rilasciata al quotidiano il manifesto lo scorso 8 gennaio, alla domanda della giornalista Claudia Fanti sul motivo per cui i governi progressisti avessero in gran parte ceduto, il teologo della Liberazione Frei Betto ha risposto: “I governi progressisti hanno avuto il merito di adottare importanti misure a favore delle fasce più povere, ma non sono riusciti ad approfittare degli alti prezzi delle materie prime sul mercato internazionale per intraprendere le riforme strutturali tanto necessarie all’America latina. Né hanno saputo combattere la corruzione…”, su cui, in Venezuela, la boliborghesia ha prosperato.
Nonostante il paese sia effettivamente spaccato, Guaidó rappresenta in pratica un solo partito di estrema destra, Voluntad Popular, e gode dell’appoggio di “democratici” del calibro di Trump, Bolsonaro, Macri, Duque e di gran parte di coloro che prima si riconoscevano nel puntofijismo (a partire dagli adecos responsabili del Caracazo del 1989) e ora non vedono l’ora di tornare ad essere una colonia Usa. Certo, anche il Parlamento europeo è dalla parte dei golpisti, a grande maggioranza, ignorando, o fingendo di farlo, che le violenze di piazza (addebitate acriticamente sul conto di Maduro) sono state sempre scatenate dall’opposizione e dalle guarimbas, non a caso l’Onu, per il momento, si è guardato bene dal riconoscere Guaidó come presidente legittimo.
Eppure, la campagna di stampa contro il Venezuela bolivariano non perdona. Ormai, quando si parla di Maduro, sembra che sia lui il presidente illegittimo o che, comunque, per colpa sua, il paese abbia due presidenti, ma in realtà Guaidó non ha alcun argomento costituzionale per proclamarsi presidente. La Costituzione venezuelana, a questo proposito, è molto chiara: anche in mancanza del presidente tocca alla vice assumere la presidenza e convocare le elezioni, ma non è questo il caso. E poi, siamo sicuri che Guaidó voglia davvero le elezioni? Se lui, come tutta l’opposizione, avesse voluto sconfiggere Maduro per via elettorale (legittimamente), non avrebbe insistito con le guarimbas, il tentativo della salida per via anticostituzionale e il boicottaggio (di almeno una parte delle destre) delle urne lo scorso 20 maggio.
Anche sulla presunta assenza di democrazia in Venezuela ci sarebbe molto da opinare. Negli ultimi venti anni si sono tenute 23 elezioni (5 presidenziali, 4 parlamentari, 6 regionali, 4 municipali, 4 referendum costituzionali e una consulta nazionale), eppure la comunità internazionale spinge per un intervento umanitario. In Colombia, dove è in corso da anni una guerra sporca contro comunità indigene, sindacalisti, contadini, attivisti per i diritti umani ecc… non risulta che ci sia lo stesso interesse, per non parlare della democratura honduregna o dell’attuale Brasile, solo per fare alcuni degli esempi più eclatanti.
Di fronte alle innegabili difficoltà del governo nel far uscire il Venezuela da una drammatica crisi economica, gli oppositori interni ed esterni al paese hanno buon gioco nel proporsi come i restauratori della democrazia, ma in realtà è evidente che tra i principali interessi per far cadere Maduro figurino le ricchezze petrolifere e minerarie del Venezuela, l’indebolimento dei pochi paesi latinoamericani ancora non allineati a Washington e una politica destinata, una volta di più, alla spoliazione totale delle risorse naturali di cui è ricco lo stato bolivariano.
Pur essendo sostenuto principalmente dalla classe media, Guaidó può contare sull’odio della popolazione contro la boliborghesia e intende sfruttarlo al meglio per far retrocedere il Venezuela ad una situazione pre-chavista. Per questo motivo, Maduro cerca nuove alleanze, dentro e fuori l’America latina, da Uruguay e Messico, che avevano avanzato la proposta di mediare, a Russia e Cina. La salida violenta di Maduro, se il colpo di stato avrà successo, è già stata definita un plan de muerte per quel continente latinoamericano aggrappato con le unghie e con i denti al socialismo del XXI secolo.
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