Commissione parlamentare presenta nuovo rapporto sulla crisi in Nicaragua
- Leggi e scarica qui il terzo rapporto della CVJP
Secondo il documento, “dopo un rigoroso percorso di ricerca, analisi e verifica” si è in grado di determinare che il numero di persone decedute è di 253, in prevalenza uomini (243) e minori di 35 anni (175). Dei decessi totali, 220 sono direttamente collegati al conflitto, 27 a seguito del fuoco incrociato e 6 non hanno a che fare in modo diretto con esso.
Almeno 9 delle persone che appaiono nelle liste pubblicate dalle organizzazioni per i diritti umani, tra cui il Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti (GIEI) dell’Organizzazione degli stati americani (OSA), non esistono. C'è anche una differenza di 14 morti tra i due elenchi (CVJP e GIEI /OEA).
Un altro dato importante che smantella in parte la teoria del “massacro di oppositori pacifici e disarmati”, diffusa dai gruppi dell’opposizione, dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani e ripresa sia dall’OSA che dall’Ufficio dell’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (UNHCHR) e dai media mainstream, è quello relativo al totale delle morti: 31 appartengono a “gruppi di autoconvocati” (opposizione), 48 sono presunti affiliati sandinisti, 22 sono poliziotti e per i restanti 152 non ci sono informazioni certe (pag 6 del rapporto CVJP).
I tranques della morte
140 persone sono morte a causa dei tranques (barricate) - centinaia in tutto il paese - eretti dai gruppi di opposizione, 31 durante le proteste per la riforma della previdenza sociale, 27 a causa del fuoco incrociato, 13 sono stati uccisi per cause indipendenti dalla protesta (assalti, rapine) e 11 tutelando la proprietà pubblica e privata.
Il 56% dei decessi (141) si è verificato tra maggio e giugno 2018, dopo l’annuncio dell’apertura del tavolo di dialogo tra governo e opposizione e l’immediato proliferare di tranques in tutto il Paese “come forma di coercizione contro il governo”.
La stragrande maggioranza dei morti erano operai (60), lavoratori autonomi (57) e disoccupati (40). Sono morti anche 7 studenti delle scuole superiori e 8 studenti universitari.
Questo ultimo dato - 8 studenti universitari deceduti - contraddice la notizia fatta circolare insistentemente sia dai media mainstream che dai ‘media indipendenti’ dell’opposizione, secondo la quale in Nicaragua ci sarebbe stata una massiccia rivolta studentesca “pacifica, autoconvocata e disarmata”, che è stata poi repressa nel sangue dalla polizia e da forze paramilitari, causando una vera e propria “strage di studenti”.
Arresti e detenzioni
La stessa logica di disinformazione è stata usata per il tema dei detenuti. Dopo le visite realizzate alle principali carceri del paese (dicembre 2018), la CVJP ha rilevato la presenza di 438 detenuti dirrettamente vincolati agli eventi violenti dello scorso anno. Nuove visite realizzate lo scorso gennaio hanno permesso di aggiornare tali dati: 76 persone sono già state rilasciate e 362 restano in carcere, alcune in attesa di processo e altre con condanne in in primo grado (pag. 15).
Il rapporto fornisce anche i dettagli in materia di accesso alla comunicazione e alle relazioni con la famiglia, cure mediche e altri servizi offerti, come attività culturali e sportive.
“Tra i prigionieri non abbiamo riscontrato evidenze di lesioni personali, nè testimonianze circa l’essere stati sottoposti a tortura, trattamenti crudeli o disumani”, si legge nel documento.
Anche in questo caso, il rapporto contraddice sia le informazioni fornite dalle organizzazioni dei diritti umani nazionali e internazionali che le cifre che circolano sui social circa la presenza in Nicaragua di migliaia di detenuti, considerati dall’opposizione ‘prigionieri politici’. Non si evidenzia nemmeno l'esistenza di desaparecidos (scomparsi), altro tema polemico -e politico- ai primi posti delle denunce fatte dall’opposizione attraverso i social e durante interviste concesse ad agenzie informative internazionali.
Rapimenti, torture e abusi
La Commissione, con la quale, vale la pena ricordare, nessuna delle organizzazioni internazionali dei diritti umani che hanno visitato e hanno organizzato missioni in Nicaragua ha voluto riunirsi per confrontare nomi delle vittime, dati e cifre, si è detta estremamente preoccupata per le numerose denunce di cittadini che sono stati vittime di sequestri, torture, vessazioni, trattamenti inumani durante la crisi socio-politica.
Nessuna di queste testimonianze e denunce è stata presa in considerazione, nè inserita nei voluminosi rapporti sui diritti umani in Nicaragua pubblicati da organizzazioni nazionali e internazionali. Quegli stessi rapporti che sono stati poi usati come base per avviare ritorsioni internazionali e imporre sanzioni contro il governo nicaraguense e alcuni dei suoi funzionari.
Il documento contiene un'analisi completa di questi eventi (pag. 17), testimonianze di sopravvissuti alle violenze di cui sono stati vittime, l'impatto dei tranques sulla vita della gente e di come si siano velocemente trasformati in luoghi violenti utilizzati per attività illegali e per “ferire, abusare, rubare, umiliare, oltraggiare, dominare, torturare, distruggere o uccidere” (pag. 21).
Danni materiali, social network e impatto psicosociale
Il 55% dei municipi (84 su 153) ha subito gravi danni alle infrastrutture pubbliche (pag. 31) per un totale di quasi 28 milioni di dollari. I municipi più colpiti da gruppi criminali sono stati Masaya (27% del danno totale), Managua (19%) e Matagalpa (17%). Anche in questo caso, i rapporti diffusi da ONG internazionali glissano su questi dati e mantengono la versione dell’opposizione “pacifica e indifesa”.
Per quanto riguarda le reti sociali (pag. 40), anche se solo il 10% dei nicaraguensi possiede un computer, oltre l'80% ha accesso a internet, soprattutto attraverso i dispositivi mobili. Le applicazioni più utilizzate sono Whatsapp (88%), Facebook (86,4%), Instagram (68%), YouTube (63%) e Twitter (55%).
"Il comportamento dei social network durante le proteste di aprile (2018) è stato decisivo per rendere virale, attraverso applicazioni come Facebook e Twitter, contenuti creati con premeditazione, il cui obiettivo era quello di toccare i sentimenti e le emozioni delle persone per generare comportamenti di rabbia e violenza non solo contro il governo, ma anche verso i sostenitori del partito al potere. Persino chi ha cercato di mantenere una posizione neutrale è stato attaccato e condannato con forza sui social”, scrive la CVJP.
“Le notizie false e la loro rapida diffusione attraverso le reti sociali hanno favorito l’espandersi della protesta (...) favorita tra l’altro dalla notizia completamente falsa di uno studente assassinato la notte del 18 aprile davanti all’Università Centroamericana (UCA) (...). Il risultato è stato il consolidamento di sentimenti (e comportamenti) negativi estremi”, prosegue.
Lo studio rivela anche l’esistenza in Nicaragua di organizzazioni che si sono dedicate per anni a formare centinaia di giovani di diversi settori della società nell’uso e gestione di social network, nella promozione di campagne contro il partito al governo, membri e simpatizzanti sandinisti e contro le autorità e attività governative.
Tutti questi ‘programmi’, ‘corsi’ e ‘media indipendenti’ sono poi stati finanziati per anni (e continuano a esserlo) con progetti milionari sia da agenzie governative e private statunitensi che da ONG europee (leggi QUI).
È stato anche analizzato l’impatto traumatico sulla popolazione e le conseguenze psicosociali (pag. 47) e il ruolo della Chiesa cattolica (pag. 54).
“Fin dall'inizio, la partecipazione della conferenza episcopale (nicaraguense) è stata caratterizzata dalla gestione ambigua di due concetti e realtà: chiesa cattolica / vescovi della chiesa e la mancanza di una rigorosa definizione tra dialogo nazionale e il ruolo di mediazione”.
A questo proposito viene analizzata la mancanza di condizioni minime (gravi limitazioni, ambiguità e confusioni) affinchè il dialogo nazionale, in cui i vescovi erano “mediatori e testimoni”, potesse garantire una sorta di risultato (pag. 57).
“Durante il periodo in cui è funzionato il tavolo del dialogo, alcuni vescovi hanno sostenuto che potevano svolgere due funzioni allo stesso tempo: quella di mediatori e quella di sostenitori di settori dell’opposizione al governo (...) Questo errore ha avuto gravi conseguenze. Il linguaggio di alcuni vescovi ha radicalizzato gli animi (...) e ha anche provocato forti contraddizioni all’interno della comunità cattolica ", affermail rapporto.
Per la CVJP, vi è un consenso nazionale e universale sul fatto che la crisi in Nicaragua debba essere risolta attraverso il dialogo.
“Abbiamo appena vissuto un tentativo fallito di golpe. L'unica conclusione è che noi tutti dobbiamo rivedere il nostro comportamento, per trovare le strategie migliori per superare la crisi e prevenire danni immensi e irreparabili per i nicaraguensi" conclude la Commissione parlamentare il cui mandato è stato prolungato per altri sei mesi.
Fonte: LINyM
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