Papa Francesco riabilita Ernesto Cardenal
Ad averlo ridotto allo stato laicale era stato Giovanni Paolo II. L’allora pontefice lo aveva umiliato il 4 marzo 1983, quando Cardenal era andato a riceverlo all’aeroporto di Managua per una visita che già si sapeva essere molto tesa e che il governo sandinista considerava come una vera e propria provocazione. All’arrivo a Managua, Giovanni Paolo II fu accolto dall’eloquente striscione “Benvenuto nel Nicaragua libero, grazie a Dio e alla rivoluzione”. Non appena scese dall’aereo, Wojtyla disse a Cardenal in maniera sprezzante: “Lei deve regolarizzare la sua posizione”. Inoltre, il Pontefice evitò per due volte che Cardenal gli baciasse l’anello dopo essersi genuflesso. La sospensione a divinis, imposta dal papa polacco nel 1984 per “incompatibilità tra l’incarico sacerdotale e quello di ministro della Cultura”, si rifaceva al codice del diritto canonico che vieta ai religiosi di rivestire incarichi politici o partitici. Ad essere sospesi, insieme al fondatore della comunità monastica di Solentiname (nel solco del monaco trappista Thomas Merton), suo fratello Fernando, allora ministro dell’Istruzione, Edgardo Parrales, ambasciatore del Nicaragua sandinista presso l’Organizzazione degli stati americani e ministro della Famiglia e Miguel D’Escoto, ministro degli Esteri.
In precedenza, papa Francesco aveva concesso a Miguel D’Escoto, in punto di morte, di poter riprendere le funzioni sacerdotali. La riabilitazione di Cardenal era attesa soprattutto a seguito della dichiarazione del 18 febbraio scorso dell’arcivescovo e nunzio del Vaticano in Nicaragua Waldemar Sommertag, che aveva anticipato l’intenzione di Bergoglio di “concedere l’assoluzione da tutte le censure canoniche”. Era lo slogan Entre cristianismo y revolución ad inquietare Wojtyla, che non si capacitava del motivo per cui la rivoluzione sandinista fosse appoggiata anche da buona parte dei cristiani.
Sulla sospensione di Cardenal e degli altri religiosi-ministri pesarono anche i tumulti che avvennero in occasione della messa celebrata da Giovanni Paolo II a Managua, caratterizzata da una vera e propria dichiarazione di guerra al sandinismo durante l’omelia. La folla lo contestò apertamente e ricordò al Pontefice che aveva taciuto di fronte all’uccisione di monsignor Romero, colpevolmente lasciato solo da buona parte delle gerarchie vaticane di fronte agli squadroni della morte, oltre ad evidenziare come lo stesso Papa non avesse detto nemmeno una parola sui 17 ragazzi uccisi dalla contra solo 24 ore prima del suo arrivo in Nicaragua.
“Rivendico di essere stato poeta, sacerdote e rivoluzionario”, aveva ribadito solo pochi mesi fa Ernesto Cardenal, rimarcando che non avrebbe mai chiesto personalmente la sua riabilitazione. Ricordando quanto era accaduto in occasione di quel 4 marzo 1983, Cardenal aveva più volte precisato: “L’atto del Papa era stato ingiusto dato che la mia situazione con la Chiesa era già stata regolarizzata. Il vescovo locale mi aveva già dato l’autorizzazione ad avere incarichi pubblici e così anche gli altri sacerdoti che avevano questi tipi di incarichi e questa autorizzazione era stata resa pubblica. Fu solo dopo che il Vaticano ce lo proibì”.
Se Ernesto Cardenal riuscisse a lasciare l’ospedale di Managua, dove è ricoverato in rianimazione in condizioni molto serie, il vescovo della capitale Baez e il nunzio Waldemar Sommerteg hanno già dichiarato di voler celebrare messa insieme a lui. Tra gli esponenti principali della Teologia della Liberazione, fedele al pensiero di San Basilio (“Una società perfetta è quella che esclude tutte le proprietà private”), Cardenal era inviso al Vaticano ben prima del trionfo della rivoluzione sandinista, ma almeno fin dal 1977, quando pubblicò il volume Il Vangelo a Solentiname.
Perseguitato dal somozismo, che più volte cercò di mettere a tacere l’esperienza della comunità di Solentiname attraverso azioni apertamente squadriste e l’uccisione di alcuni suoi militanti, da tempo Cardenal aveva preso le distanze dagli attuali vertici del sandinismo, denunciando in più occasioni l’ambiguità della presidenza Ortega, che non ha mai digerito, tra le altre cose, il suo mancato invito da parte di Fernando Lugo, all’epoca in cui era presidente del Paraguay, in occasione della cerimonia di insediamento. In qualità di ex monsignore, Lugo aveva preferito di gran lunga la presenza di Ernesto Cardenal. Una volta, lo stesso Cardenal ebbe a ricordare che “l’attivismo come ministro della Cultura fu un’esperienza difficile perché contraria alla mia vocazione, votata alla meditazione e al silenzio, ma sviluppato per il fatto che avevo intuito come tutto fosse un disegno della volontà di Dio”.
La sua riabilitazione rappresenta, in un certo senso, un riconoscimento del lavoro militante condotto da tanti sacerdoti latinoamericani vicini alla Teologia della liberazione e che spesso hanno pagato, anche con la loro vita, la militanza per gli ideali di giustizia e libertà in un continente ancora oggi caratterizzato da fortissime disuguaglianze sociali.
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