Nicaragua: Monsignor Silvio Báez sarà trasferito a Roma
Per nessuno è un segreto che all’interno della CEN (Conferenza episcopale nicaraguense) ci siano anime e visioni diverse circa quanto è accaduto a partire da aprile 2018 e il modo per uscire dalla crisi politica e sociale in cui è sprofondato il Nicaragua.
All’interno dell’assemblea permanente dei vescovi nicaraguensi spiccano tre figure che incarnano l’anima più conservatrice e profondamente antisandinista: Abelardo Mata vescovo di Estelí, Rolando Álvarez vescovo di Matagalpa e per l’appunto Silvio Báez.
I tre hanno giocato un ruolo determinante durante il primo e fallimentare tentativo di dialogo dello scorso anno, schierandosi apertamente a favore di una delle due parti sedute al tavolo - l’Allenza civica per la giustizia e la democrazia (Acjd) - e difendendo a spada tratta le barricate (tranques) sorte un po’ in tutto il Paese come strumento di pressione contro il governo. Uno strumento diventato ben presto fonte e luogo di violenza, ricatto e morte.
Non si può nemmeno dimenticare che in quei giorni Báez e il resto della CEN cercarono in tutti i modi di costringere il governo ad accettare una ‘tabella di marcia’ totalmente incostituzionale, che prevedeva, tra l’altro, la rinuncia immediata del governo e di tutte le cariche dello Stato, la nomina di un non ben definito ‘governo di transizione’, la convocazione di un’assemblea costituente ed elezioni generali entro il 2018.
Il tutto in un contesto politico e sociale già di per sè estremamente polarizzato e violento, dove i settori più estremisti dell’opposizione, quelli per intenderci che non hanno mai voluto cercare un’uscita negoziata alla crisi ma solo la rinuncia ipso facto del governo Ortega e la fine del sandinismo, hanno trovato nei tre vescovi e buona parte della CEN, in varie organizzazioni nazionali e internazionali per i diritti umani e in spezzoni di comunità internazionali, con in testa gli USA, l’Osa e l’Unione europea, i principali alleati di questa strategia golpista.
Registrazioni filtrate alla stampa in cui monsignor Báez si schiera chiaramente a favore di misure, anche violente, per defenestrare il presidente Ortega, dimostrano la veridicità delle principali accuse mosse contro il vescovo ausiliare di Managua.
Con questa prassi, Báez e la CEN stravolsero l’essenza e i principi di neutralità e imparzialità che caratterizzano il ruolo di un mediatore, contribuendo in modo determinante al fallimento di quel primo tentativo di cercare una soluzione pacifica a una crisi che ha fatto centinaia di vittime e ha diviso ulteriormente la società nicaraguense.
Non c’è da stupirsi, quindi, se in questa seconda fase del dialogo tra governo e opposizione, la CEN non sia stata presa in considerazione -l’offerta, poi rifiutata, è stata estesa solo al cardinale Brenes- come possibile ‘testimone e accompagnante’ insieme al rappresentante dell’Osa Angel Luis Rosadilla, al nunzio apostolico Waldemar Stanislaw Sommertag e a un rappresentante della chiesa evangelica.
Duri attacchi contro il nunzio
Chi ha contribuito a riportare speranza per una soluzione pacifica e rispettosa delle leggi è stato proprio il nunzio Sommertag. Questo suo atteggiamento, che non dovrebbe stupire visto che sta semplicemente rispettando i criteri della mediazione che, alla fine, ha come unico obiettivo quello di facilitare l’incontro tra parti in conflitto sulla via della pace e la giustizia, ha scatenato le ire dei settori più intransigenti dell’opposizione.
La decisione della Santa Sede di richiamare monsignor Báez a Roma ha scatenato nuovamente la reazione di questi stessi settori. In un documento pubblicato sui social, l’autodenominata Articolazione dei movimenti sociali e organizzazioni della società civile -che non si capisce mai bene chi rappresenti e in nome di chi parli e prenda posizione- ha attaccato il nunzio Sommertag e il suo lavoro durante la negoziazione, chiedendone l’immediato ritiro.
Monsignor Silvio Baez non viene richiamato a Roma per presunte minacce di morte come, disperatamente, stanno cercando di far credere le opposizioni, i loro media ‘indipendenti’ e l’ambasciata degli Stati Uniti. Non è nemmeno un 'esilio forzato', come vaneggiano certi intellettuali della dissidenza sandinista.
A pochi giorni dall'anniversario del fallito golpe, viene richiamato perché è un fedele alleato del settore più radicale e anti-dialogo dell'opposizione e perché ha dimostrato di essere un serio ostacolo sulla via della pacificazione. Tutto il resto sono chiacchiere.
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