Latina

I docenti messicani dell’Universidad Autónoma Metropolitana (Uam) parlano della presidenza di Amlo

Messico: intervista con Mario Robles e Roberto Escorcia

Andrés Manuel López Obrador rappresenta una reale speranza di cambiamento, ma al tempo stesso alcuni suoi modi di fare politica sono tipici del vecchio priismo.
25 maggio 2019
David Lifodi

Mario Robles e Roberto Escorcia

Mario Robles e Roberto Escorcia sono due docenti messicani dell’Universidad Autónoma Metropolitana (Uam). Saranno per qualche tempo nella mia città, Siena, e per questo ne ho approfittato per chiedere cosa pensassero dell’attuale scenario politico messicano, a partire dai primi mesi della presidenza di Andrés Manuel López Obrador, percepita come una speranza di cambiamento, ma al tempo stesso caratterizzata da alcuni modi di fare politica tipici del vecchio priismo.

di David Lifodi

La storica vittoria di Andrés Manuel López Obrador (avvenuta nelle presidenziali del 2 luglio 2018) a seguito dell’alternanza tra la destra panista e quella priista, ha rappresentato un grande cambiamento politico in Messico. Che giudizio date sui primi mesi di governo del nuovo presidente?

MARIO ROBLES: Dopo 70 anni di governo del Pri (Partido Revolucionario Institucional) ci aspettavamo qualcosa di più dal Pan (Partido Acción Nacional), pur presentandosi anch’esso come partito di destra, ma il panismo non ha saputo cogliere l’occasione. I primi sei anni di governo del Pan sono stati peggiori dei 71 anni di presidenze priiste, ma a sua volta, Enrique Peña Nieto si è rivelato ancora peggiore, se possibile, dei suoi predecessori. Il Pri si è sempre posto a difesa del neoliberismo, distinguendosi per la compravendita dei voti, promettendo spesso delle regalie ai poveri e ricevendo il sostegno delle principali tv del paese, non a caso la moglie del predecessore di López Obrador, Peña Nieto, è un’attrice delle telenovelas maggiormente trasmesse sui più importanti canali televisivi.  Di fronte a questo e ai 120mila morti sotto la presidenza del panista Felipe Calderón (dal 2006 al 2012 alla guida del paese), il governo di Andrés Manuel López Obrador (conosciuto popolarmente come Amlo) è denominato della Cuarta Transformación, tuttavia il suo compito resta arduo. L’apparato burocratico è così complesso che una sua trasformazione appare difficile, mentre i giovani vicini ad Amlo, che pure non sono coinvolti nei processi di corruzione, non hanno esperienza sufficiente. È quasi una prassi la deviazione dei fondi stanziati, ad esempio per l’istruzione, verso altri lidi e inoltre Amlo deve fare i conti con i sindacati corporativi. Quanto alle nuove leve del Pri, sono anch’esse dinosauri (il Pri è denominato il partito dinosauro per aver governato 71 anni).

ROBERTO ESCORCIA: In un paese come il Messico, dove è presente un alto tasso di povertà, Amlo ha deciso di mettere al centro del suo progetto la lotta all’indigenza. Nell’attuale scenario geopolitico latinoamericano, dove in molti paesi la destra è andata di recente al governo, con tratti anche fascisti, come Bolsonaro in Brasile, la posizione di non intervento e mediazione nell’ambito della crisi venezuelana ha suscitato rispetto. Tuttavia, alcuni tratti della politica di Amlo richiamano quelli del vecchio priismo. Pur cercando di debellare la corruzione e il sistema mafioso, vero cancro del paese, la sua impostazione resta fondamentalmente neoliberale, ma al tempo stesso, la presidenza di Amlo va letta come una reale opportunità di cambiamento in un paese dove il 60% della popolazione vive in condizioni di povertà, ma sono anche presenti gli uomini più ricchi del paese, a partire dal magnate Carlos Slim.

Che ne pensate del ruolo degli studenti della vostra università, la Uam, e della Unam (Unversidad Nacional Autónoma de Mèxico), nel’attuale scenario politico del Messico?

MARIO ROBLES: Fin dal 1968 la Unam è stata l’università più politicizzata del paese, si è mobilitata per chiedere verità e giustizia per il massacro dei 43 studenti di Ayotzinapa (avvenuto il 26 settembre 2014 a Iguala, quando 43 studenti della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos furono sequestrati dalla polizia mentre stavano recandosi a Città del Messico e fatti sparire, risultando tuttora desaparecidos) ed ha partecipato al movimento Yo Soy 132, nato nel 2012 per contestare la campagna elettorale di Peña Nieto e che pure ebbe inizio in un’università privata, la Iberoamericana. Oggi il messaggio di Amlo, l’istruzione pubblica come diritto, rappresenta un buon punto di partenza, anche se non è detto che raggiunga l’obiettivo.

ROBERTO ESCORCIA: Sulla strage di Ayotzinapa la verità ufficiale, quella di stato, era talmente incredibile che gli studenti hanno avuto gioco facile nello smascherare le bugie del panismo e del priismo. Va comunque sottolineato che, se all’epoca del movimento Yo Soy 132 gli studenti di tutte le università erano scesi in piazza, quelli delle private chiedevano maggior democrazia, mentre quelli delle pubbliche (alcuni dei quali avevano viaggiato anche 4 ore per giungere a manifestare a Città del Messico), avevano messo al centro della loro mobilitazione la difesa dell’istruzione pubblica, al grido di Autonomia y gratuitad. Anche Amlo ha sottolineato l’importanza della pubblica istruzione e questo rappresenta un messaggio significativo, soprattutto se lo confrontiamo con l’attacco del presidente brasiliano Bolsonaro alle università pubbliche.

Nel corso della campagna elettorale gli zapatisti dissero che Amlo non rappresentava il cambiamento, ma, al contrario, molte organizzazioni popolari sostennero il futuro presidente. Un’altra accusa ad Amlo riguarda il suo appoggio ai megaprogetti, come la termoelectrica nello stato del Morelos, il Tren Maya o l’intenzione di costruire un nuovo aeroporto vicino al lago di Texcoco. Per questi motivi Obrador è stato accusato di essere un traditore. Qual è la vostra opinione?

MARIO ROBLES: Se è vero che il movimento zapatista ha un ruolo molto importante, come del resto lo è la visione delle comunità indigene e contadine, la contraddizione tra i progetti di sviluppo di Amlo e le esigenze delle comunità resta difficile da sanare. Da un lato l’inevitabile tentativo di sviluppo del presidente per creare sviluppo nel paese, dall’altro gli ideali di indigeni e contadini.

ROBERTO ESCORCIA: In campagna elettorale Amlo si era distinto per aver ricevuto il bastone del comando da alcune comunità indigene. La politica è spesso caratterizzata da atti simbolici e l’intento di Amlo era quello di mostrare che c’era una relazione tra lui e le comunità indigene e contadine. Al tempo stesso, con questo atto Amlo intendeva far capire agli zapatisti che, nonostante le loro critiche, manteneva un legame con il Messico indigeno e contadino. Il Messico è un paese dove alle grandi imprese, a partire da quelle minerarie, è stato sempre concesso tutto, grazie ad una politica di deliberata distruzione ambientale. Tuttavia, nelle stesse comunità, non tutti sono contrari alle politiche di sviluppo. Il rapporto di Amlo con le comunità indigene è reso difficile anche dal fatto che quest’ultime intendono la povertà non tanto dal punto di vista economico, quanto di tutela del territorio. Lo stesso Tren Maya da un lato significa impiego, infrastrutture, turismo e commercio, dall’altro rappresenta una evidente violazione del territorio delle comunità indigene. Si tratta di due visioni del mondo distinte e per questo inconciliabili: da una parte un modello di sviluppo capitalista, dall’altra il buen vivir.

Qual è, in Messico, l’opinione sui migranti che cercano di oltrepassare la frontiera per raggiungere il sogno americano? C’è un Messico solidale, fatto dagli albergues per i migranti e da esperienze come quelle di padre Solalinde, incentrate sull’accoglienza, ma anche un’ostilità crescente ed un razzismo diffuso.

MARIO ROBLES e ROBERTO ESCORCIA: I migranti rappresentano un affare per la delinquenza. Come da voi in Italia, si è diffusa la paura per il diverso e il timore che i migranti intenzionati a rimanere in Messico senza provare a raggiungere gli Stati uniti rubino il lavoro in un eterno conflitto tra poveri. Amlo ha provato a creare la Guardia nazionale che, per quanto sia stata molto criticata perché sinonimo di militarizzazione, potrebbe rappresentare un argine rispetto alla polizia corrotta.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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