America latina: arrestato il volo del condor
Il processo era iniziato nel lontano 1999 grazie ad un’inchiesta del pm Giancarlo Capaldo a seguito delle denunce di una donna italo-argentina e di cinque italo-uruguayane i cui familiari erano stato uccisi nell’ambito del Plan Condor, la macchina di morte creata dalle dittature di Argentina, Uruguay, Brasile, Bolivia, Paraguay e Cile per sterminare gli oppositori politici. Tra i protagonisti di questa caparbia battaglia per la verità e per la giustizia Maria Paz Venturelli, figlia di Omar, il sacerdote che fu sospeso per la sua militanza nella sinistra rivoluzionaria cilena del Mir, Nila Heredia, il cui marito Luis aveva aderito alla guerriglia in Bolivia fin quando non fu catturato e ucciso, nel 1976, dopo esser stato trasferito dal paese andino ad un campo di tortura segreto di Buenos Aires e Nestor Gomez Rosano, la cui sorella Célica cadde anch’essa nelle grinfie del Plan Condor.
Gli avvocati dei familiari dei desaparecidos hanno concordato sul fatto che la Prima Corte d’assise d’Appello bis abbia modificato radicalmente la sentenza precedente poiché gli omicidi delle vittime sono legati e unificati dall’evento finale, quel Plan Condor pianificato negli ultimi mesi del 1975 (ma già funzionante fin dal 1974) che voleva cancellare dal continente latinoamericano tutti coloro che militavano per i diritti e per la giustizia sociale. A questo proposito, è significativa la dichiarazione rilasciata oggi da Nestor Gomez Rosano al quotidiano il manifesto: “Mia madre ha aspettato per 20 anni il ritorno di sua figlia Célica. È morta senza avere una risposta, ma oggi la mia famiglia festeggia”.
A fare festa sono anche il governo boliviano e quello uruguayano. Diego Ernesto Jiménez, viceministro boliviano della Giustizia, e Miguel Ángel Toma, sottosegretario alla presidenza dell’Uruguay, erano presenti in aula, a Roma, proprio per una sentenza che assume un significato particolare non solo in Italia, ma anche in America latina. Nel corso degli anni, anche all’epoca in cui nel continente prevalevano governi di centro sinistra, con la quasi unica eccezione dell’Argentina kirchnerista, i fedelissimi delle dittature militari avevano costruito una rete che in più di una circostanza era riuscita a proteggere i torturatori di allora. In Brasile, la Commissione per la verità all’epoca della presidenza Rousseff si era dovuta scontrare contro ostacoli insormontabili. In Uruguay, nel segno della pacificazione sociale, la cancellazione della Ley de Caducidad fino al 2011 non era stata approvata addirittura con il voto contrario di un esponente del Frente Amplio, nella stessa Argentina kirchnerista era scomparso per la seconda volta, ed è tuttora desaparecido, Julio López (una sorta di macabro avvertimento, insieme alle continue intimidazioni contro le Madres de la Plaza de Mayo) e in Cile, il presidente Piñera, al suo secondo mandato (non consecutivo), ha vinto grazie anche al sostegno di gran parte dei simpatizzanti pinochettisti in un contesto in cui numerosi gruppi di estrema destra hanno ripreso piede nel paese.
Nel processo di Roma ha giocato invece un ruolo chiave il governo uruguayano, che si è costituito parte civile e si è attivato nel fornire prove utili per far condannare alcuni dei militari Torturatori. Eppure, anche in Uruguay i nostalgici della dittatura ancora oggi sembrano non mancare, come ha sperimentato sulla propria pelle la ricercatrice italiana Francesca Lessa.
Adesso, nell’attesa che la sentenza di condanna sia confermata dalla Cassazione, per i promotori del terrore di Stato questa è una bella lezione. Una volta tanto, coloro che sono, ed erano, dalla parte del torto hanno vinto, anche se ad oltre 40 anni da quei fatti.
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