Colombia: una parte delle Farc riprende le armi
Il ritorno delle Farc, o di una parte di esse, alla guerra, come sottolineano in molti, non poteva che essere la logica conseguenza del terrorismo di stato condotto in maniera mirata contro i leader dei movimenti sociali, gli stessi guerriglieri che avevano partecipato alla smobilitazione a seguito del trattato de L’Avana, gli attivisti per i diritti umani, le comunità indigene, studenti, sindacalisti ecc… . Il paramilitarismo non è mai stato completamente debellato e da alcuni anni è tornato a fare la voce grossa, lo Stato ha negato qualsiasi minima protezione sia ai guerriglieri che avevano deposto le armi sia ai familiari delle vittime dei paras, fino al totale naufragio di un debole processo di pace al quale, comunque, Farc e istituzioni politiche avevano lavorato per almeno 5 anni.
Duque, con il beneplacito dell’ex presidente Uribe, ha volutamente boicottato gli accordi di pace, rifiutando di rafforzare la protezione per quei circa 12.000 ex combattenti delle Farc e accentuando una crisi umanitaria causata dallo sfollamento di numerose comunità. In un solo anno di presidenza, Duque, come promesso, ha fatto a pezzi gli accordi di pace, fingendo di applicarli, ma promuovendo in realtà il dialogo con il paramilitarismo, militarizzando il territorio e cercando di subordinare autorità civili e organizzazioni sociali al potere militare, a partire dall’attivazione delle Fuerzas de Tarea Conjunta e dall’istituzione delle Fuerzas Unificadas de Despliegue Rápido.
Paradossalmente, le zone maggiormente militarizzate sono quelle dove prosperano economie illegali e gli stessi paras, ma agli occhi dell’opinione pubblica viene fatto credere che si tratta dell’applicazione della cosiddetta “politica di sicurezza democratica”, imponendo inoltre una sola versione del conflitto armato colombiano, secondo la quale sono state esclusivamente le Farc a violare i diritti umani. In realtà, sotto la presidenza Duque sono stati uccisi 226 leader sociali e 55 ex guerriglieri delle Farc che avevano accettato di partecipare al progetto di smobilitazione, per non parlare dei familiari degli oppositori politici uccisi. L’attuale contesto politico-sociale colombiano sembra ricordare i primi anni Ottanta: anche allora la pace sembrava ad un passo, ma poi furono sterminate migliaia di militanti di Unión Patriótica, il partito che avrebbe dovuto fare politica in maniera legale nato per rappresentare le istanze della guerriglia in Parlamento. Per non parlare, tornando all’oggi, degli omicidi mirati contro i leader delle comunità indigene.
Per questi motivi, dalla zona del fiume Inírida, al confine con le frontiere di Brasile e Venezuela, una parte delle Farc è tornata a dichiarare guerra allo stato colombiano, promettendo inoltre di stringere un’alleanza con l’Ejército de Liberación Nacional, l’altra guerriglia del paese che aveva provato anch’essa a dare avvio a dei negoziati di pace. Nel video Mientras haya voluta de lucha habrá esperanza de vencer, Iván Márquez attacca pesantemente anche Santos, accusandolo di essersi adoperato per far deporre le armi alle Farc senza però possedere alcuna garanzia di pace, come dimostra il dilagare del neoparamilitarismo delle Águilas Negras, legate a Uribe. Insieme a Márquez compaiono nel video altri comandanti delle Farc che da tempo avevano capito come ormai il processo di pace fosse stato tradito, poiché ravvisavano la mancanza di garanzie fisiche e giuridiche.
Eppure, dalla Colombia all’Europa, sono molte le organizzazioni della società civile che insistono affinché si riaprano i negoziati di pace, nonostante la scarsa affidabilità dell’attuale presidente Duque, anche se la guerra e la violenza politica rischiano di avere una volta di più conseguenze tragiche per il paese.
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