Latina

Colpo di stato promosso da fondamentalisti religiosi, esponenti dell’ultradestra e comitati civici

I golpisti si impadroniscono della Bolivia

Riflessioni di Javier Tolcachier, Gennaro Carotenuto, El Tiempo Argentino e El Desconcierto
11 novembre 2019
David Lifodi

Ore di rabbia e tristezza per il golpe in Bolivia

di Javier Tolcachier (*)

golpe in Bolivia

La cronologia dirà che il 10 novembre 2019, Evo Morales Ayma, presidente costituzionale della Bolivia, ha rassegnato le dimissioni.

La storia raccontata dagli apparati di destra di fabbricazione del buon senso comune, i media privati dominanti, non insisterà sul fatto che Evo ha dovuto lasciare la presidenza per cercare di fermare il massacro che le orde fasciste stavano eseguendo contro funzionari governativi e loro parenti, militanti di partito e donne in abito andino.

Il falso racconto ometterà il fatto che, in realtà, il primo presidente indigeno della Bolivia è stato rovesciato da un colpo di stato. Un presidente che ha realizzato progressi sociali impressionanti, che ha permesso agli oppressi della Bolivia, per la prima volta nella loro lunga storia, di avere la dignità di cittadini con pari diritti. Un colpo di stato che non solo si rivolge a un solo leader ma a un intero movimento sociale, nel migliore stile repressivo delle dittature del secolo scorso.

La storia distorta non dirà che Evo è un vero rappresentante delle organizzazioni contadine, un uomo che ha lavorato instancabilmente ogni giorno fin dalle prime ore del mattino, un leader al quale non si poteva attribuire la corruzione o l’arricchimento personale. I giornalisti mercenari, invece, racconteranno che voleva “stare eternamente al potere”.

Questi tiranni della comunicazione daranno voce a coloro che definiscono la “fine della tirannia” un colpo di stato consumato contro un governo istituzionale. Nelle loro storie avvelenate glorificheranno i vandali che hanno bruciato urne, tribunali, sedi di partito, che hanno attaccato donne indifese a causa del loro aspetto e della loro identità.

Chiameranno “coraggiosi” coloro che per denaro o confusione hanno agito come una forza d’urto negli episodi iniziali del colpo di stato, quando il conteggio dei voti non era ancora finito. Anche se in seguito, per prendersi cura delle forme, quando la caccia alle streghe sarà scatenata dopo il colpo di stato,chiameranno “eccessi” la loro pianificata strategia.

I media del colpo di stato elogieranno la posizione “conciliante” di Mesa – che sarà una debole marionetta degli Stati Uniti, se gli verrà finalmente assegnato il seggio presidenziale – e la “fermezza”, “coraggio” e “integrità morale” della versione di Santa Cruz del Ku Klux Klan, Luis Fernando Camacho. Chiederanno “unità” e “pacificazione”, per cui gli attuali governanti dovranno essere esclusi dai futuri concorsi elettorali. Eviteranno accuratamente di parlare di “proscrizione”, anche se questo è il termine appropriato per le loro intenzioni.

Qualsiasi precedente dichiarazione di tinta fascista e razzista sarà cancellata o sfumata per nascondere il carattere manifesto del colpo di stato. I lupi indosseranno la pelle d’agnello, per piacere agli occhi del Signore. O i signori delle multinazionali, sempre pronti a demolire le aziende di risorse naturali nazionalizzate a beneficio di anonimi azionisti.

La manipolazione delle informazioni indicherà l’enorme “contributo” dell’Organizzazione degli Stati americani (OAS) per “denunciare le frodi elettorali”. Nessuno oserà riordare che il rapporto di questa istituzione – finanziato al 60% dagli Stati Uniti – non parla nemmeno di frode, ma che certamente e secondo quanto era prevedibile, diffonde un manto di sospetto segnalando “irregolarità”.

Nessuno dirà in questi media che è stata una svista (forse forzata) del governo  mettere questa organizzazione di cospiratori come garante della democrazia. Un’organizzazione che, se vince chi non è funzionale ai disegni geopolitici del malvagio vicino del Nord, collabora pubblicamente per rovesciare il giusto vincitore e incoronare il perdente.

Nessun editorialista nei media concentrati criticherà il silenzio dei governi di destra solitamente “interessati” ai diritti umani e alla democrazia. Al massimo, alcune cancellerie esorteranno a riprendere i buoni costumi repubblicani, cioè quelli che favoriscono il potere stabilito.

La stampa disonesta ringrazierà la polizia e l’esercito per essersi schierati dalla “giusta causa del popolo oppresso”. Questa stampa metterà a tacere qualsiasi tentativo di indagare sui motivi dell’alto comando delle forze di sicurezza per non adempiere al loro dovere di proteggere i cittadini e di salvaguardare un governo eletto per volontà popolare. Abbonderanno per difetto le analisi che facciano riferimento allo spirito di colpo di stato delle loro azioni.

Non c’è dubbio che nessuno di questi media oserà inserire nei loro testi riferimenti a possibili piani e intrighi con interferenze esterne prima delle elezioni, che hanno posto come obiettivo preciso il rovesciamento di Evo Morales.

Lungi dal contestualizzare il colpo di stato come una mossa geopolitica per minare la sovranità e la possibilità di integrazione dei popoli dell’America Latina e dei Caraibi, qualche esaltato cronista, con il desiderio di un aumento  del suo stipendio – parlerà del passo importante per rompere la “nefasta influenza” di Cuba e Venezuela nella regione.

Come al solito, la vera storia si svelerà, poco dopo, come ha fatto in passato.

La verità è che oggi i potenti, la destra, i fascisti, i retrogradi e i violenti si strofinano le mani e celebrano la caduta di un governo popolare.

I poveri della terra piangono con angoscia e rabbia. E noi con loro.

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«Togliete di mezzo l’Indio»: il golpe in corso e il razzismo in Bolivia

Cronistoria dalle alture di La Paz per analizzare il torrido conflitto nel paese andino-amazzonico governato da Evo Morales in seguito alle elezioni presidenziali dello scorso 20 ottobre. I dubbi delle opposizioni e le loro marce dalle componenti razziste, il ruolo dell’Organizzazione degli Stati Americani e il fantasma della polarizzazione che ricorda i decenni passati.

Nelle ultime ore la situazione in Bolivia è precipitata: l’ammutinamento di diversi corpi di polizia a Cochabamba e a Santa Cruz segnala l’avanzata di un tentativo di golpe contro il presidente Evo Morales. Le proteste, che vanno avanti dalle elezioni del 20 ottobre, si sono intensificate in questi giorni, con un significativo aumento della violenza, come il sequestro e la violenza di gruppi paramilitari dell’opposizione contro Patricia Arce Guzmán, sindaca di Vinto, appartenente al MAS (Movimiento al Socialismo, il partito di governo). Dopo questi ultimi fatti, il presidente Evo Morales ha lanciato un appello chiamando alla resistenza e convocando alla mobilitazione pacifica in difesa della democrazia e della pace, denunciando un golpe in corso in Bolivia.

Negli ultimi giorni in aumento anche scontri tra sostenitori di Evo e gruppi legati al leader razzista di estrema destra Camacho, dei Comitati Civici di Santa Cruz, che ha preso il sopravvento nella leadership delle proteste e del tentativo di golpe contro Evo rispetto al candidato più votato dopo Morales, l’ex presidente Carlos Mesa. Le forze armate hanno dichiarato ieri che non interverranno né reprimeranno il popolo boliviano, in attesa di una soluzione politica, mentre l’opposizione ha lanciato per martedì la mobilitazione contro il governo, disconoscendo il voto e chiedendo che Morales abbandoni il potere, nonostante il riconteggio dei voti in corso. L’obiettivo delle destre, con un certo appoggio popolare nelle aree ricche del paese, a Santa Cruz e Cochabamba in particolare, è destituire Morales, non attendendo nemmeno il riconteggio dei voti.

La polarizzazione è estrema e sindacati, movimenti e organizzazioni legate al MAS stanno presidiando parti della città di La Paz e di El Alto e diverse aree del territorio nazionale. Continueremo a seguire nelle prossime ore e nei prossimi giorni l’evolversi della drammatica situazione boliviana. Pubblichiamo intanto un contributo di Pablo Mardones da La Paz (nota della redazione).

Manifestazione delle destre contro Evo Morale.Domenica 20 ottobre si sono svolte le elezioni presidenziali in Bolivia. Secondo il Tribunal Supremo Electoral (TSE) [Corte Suprema Elettorale – ndt], Evo Morales, presidente in carica dal 2006, ha vinto con il 47,08% dei voti contro il candidato Carlos Mesa che ha ottenuto il 36,51%. Mesa era già stato al governo nel 2003, dopo che Gonzalo Sánchez de Lozada aveva lasciato il paese. Si dimise appena 20 mesi dopo, dal suo esilio negli Stati Uniti.

Nonostante secondo la legge boliviana questa differenza del 10,57% dia a Morales la vittoria al primo turno, una parte importante dell’opposizione sostiene che ci siano stati dei brogli. È stata quindi scatenata una violenta crisi politica e sociale che ha risvegliato i fantasmi di un’epoca considerata già superata nel paese andino-amazzonico.

Giovedì 31 ottobre sono giunto a La Paz dal turbolento nord del Cile. Ospitato in pieno centro città, ho incrociato piccole manifestazioni a favore del governo e diverse contro. Le prime ripetevano lo slogan: «Evo non è solo»; le seconde, diversi cori allusivi di una Bolivia che non vuole una dittatura.

Mi ha colpito il fatto che due tassisti, sottolineando che non ci fossero dubbi sui brogli, hanno usato la parola “matrimonio” per riferirsi a una presunta rottura definitiva tra il popolo e il governo.

Nel pomeriggio sono andato fino a El Alto [comune limitrofo di La Paz, luogo delle proteste e della repressione per la Guerra del Gas che portò alle dimissioni del Governo nel 2003 – ndt] e poi in alcune comunità rurali del popolo Aymara vicino al lago Titicaca. Lì, diversi abitanti mi hanno detto che è tutto un complotto dell’opposizione.

La domenica delle elezioni, la trasmissione del conteggio rapido è stata interrotta per un certo tempo dal Consiglio Plenario del TSE, generando logicamente molta sfiducia.

Secondo il vicepresidente del TSE, Antonio Costas, questa situazione è stata la conseguenza di un errore mentre si cercava di controllare le informazioni dopo l’allarme di un possibile attacco informatico. Costas mente o dice la verità? Finora, le perizie non sono state in grado di determinare se questa interruzione fosse volta a cambiare o cancellare voti. Quello su cui c’è certezza – basta googlare “brogli in Bolivia” per averne conferma–  è che l’idea dei brogli fosse già presente nell’opinione pubblica da molto tempo.

In questo momento, l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) è responsabile di una revisione integrale basata sulla verifica del conteggio (compresi i verbali, le schede elettorali e i voti), sulla verifica del processo informatico, della componente statistica delle proiezioni e della catena di custodia delle urne. Bisogna sperare che dopo tutto questo si arrivi a un verdetto su cosa sia realmente successo.

Fino a sabato 2 ottobre la situazione in Bolivia era tesa ma controllabile: c’erano manifestazioni da entrambe le parti, in maggioranza dell’opposizione. Quella notte, in un accesissimo intervento, Fernando Camacho, leader del Comitato Civico di Santa Cruz, esortava il Presidente Morales a dimettersi entro 48 ore e annunciava che avrebbe inviato una lettera alle Forze Armate affinché si unissero all’opposizione.

Da qui è iniziata una polarizzazione che riporta alla mente eventi vissuti in Bolivia nel decennio passato. Diversi settori, minatori, funzionari e comunità indigene sono usciti a sostegno del governo, mentre l’opposizione ha mantenuto e continuato le manifestazioni contrarie.

Sono costretto a tornare in Cile, dove – per ragioni molto diverse – è presente lì anche una grande rivolta. Approfitto del viaggio per leggere tutti i giornali che sono riuscito a comprare, integrando con quanto sentito dai colleghi di zone diverse della città e della campagna, giungendo alla modesta conclusione che non ci sono stati brogli. Piuttosto, Evo Morales e il MAS [Movimento Al Socialismo, il partito di governo – ndt] sembrano pagare oggi i peccati di 13 anni di governo: accuse di essere attaccati alle poltrone e di corruzione, clientelismo e culto eccessivo della personalità.

Dovremo aspettare quello che dice la revisione dell’OSA. Quel che non lascia dubbi, è che con una forte componente razzista, le storture di questa opposizione promettono di essere molto peggio.

Pubblicato il 7 novembre 2019 su Tiempo Argentino, giornale recuperato ed autogestito dai propri lavoratori.

Traduzione a cura di Michele Fazioli per DINAMOpress

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Chi è Luis Camacho, il fondamentalista religioso che guida il golpe in Bolivia?

A capo dell’ala più dura del golpisti dei golpisti boliviani c’è un personaggio forse poco conosciuto alle nostre latitudini, quanto cinico e inquietante. Parliamo di Luis Camacho. Cattolico però anche molto vicino alle chiese evangeliche, l’estremista che ha promesso di «riportare Dio nel Palacio Quemado».

Presidente del Comité Cívico della città di Santa Cruz, Camacho è stato il primo a convocare uno sciopero regionale, basato su quella che considerava una “enorme frode” nelle elezioni, ma le sue iniziative hanno iniziato rapidamente a svolgersi a livello nazionale.

Camacho è il proprietario del Grupo Empresarial Nacional Vida S.A., che possiede investimenti diretti o indiretti in società come Conecta, Tecorp, Xperience, Fenix ??Seguros, nonché Nacional Seguros Vida, della Metropolitan Clinic of the Americas project. È stato documentato che alcuni di quegli investimenti sono coinvolti nello scandalo dei cosiddetti “Panama Papers”, dove sono raccolti i dati sull’evasione valutaria nei paradisi fiscali centroamericani.

Oltre ad essere un uomo d’affari e un leader politico, è anche un avvocato, ha 40 anni e si vanta del suo fondamentalismo religioso. Sembra voler imitare il presidente brasiliano Jair Bolsonaro – fascioliberista come lui – un cattolico che è riuscito a stringere un’alleanza con i settori evangelici fondamentalisti – infatti, ha avuto un incontro a maggio di quest’anno con il ministro degli esteri brasiliano Ernesto Araújo a Brasilia, secondo quanto racconta il magazine brasiliano Revista Fórum.

I Camacho hanno legami politici con il fuggitivo Branko Marinkovic, che si rifugiò in Brasile nel 2010, dopo aver ricevuto accuse di sedizione e separatismo a Santa Cruz per aver organizzato e finanziato una banda armata che cercava l’indipendenza dei dipartimenti di Santa Cruz, Beni, Pando e Tarija.

Comandata da un altro croato-boliviano: Eduardo Rózsa Flores.Camacho rappresenta quei settori che vogliono aumentare i loro privilegi in Bolivia e sono andati troppo oltre. Il colpo di Stato contro Evo Morales è un viaggio di sola andata nel peggio del passato, in quei tempi, che si sperava superati, della dottrina della sicurezza nazionale emisferica.

Le sue dichiarazioni denotano sete di vendetta, incitando a «annotare i nomi dei traditori del popolo perché vogliamo che vadano in galera ma non per il risentimento e l’odio, per la giustizia».

Anche se dice che non c’è risentimento e odio, le pratiche dei suoi seguaci lo negano, come è stato visto nell’azione barbara contro il sindaco Patricia Arce, della città di Vinto, che è stata attaccata e umiliata in una piazza pubblica.

Vi sono anche testimonianze di attacchi simili contro la gente comune, come una donna che è stata costretta a scusarsi in ginocchio per aver espresso il proprio disaccordo con lo sciopero indetto dal leader di destra.

Azioni che abbiamo già visto in Venezuela, dove l’opposizione fascioliberista ha mostrato al pari della destra venezuelana di essere mossa da razzismo e classismo, un vero odio contro le classi più umili.

Infine, ama definirsi “Macho Camacho”, un soprannome che viene anche usato dai suoi seguaci.

Fonte: Pagina 12 – El Desconcierto (ripreso in italiano dal sito web L’Antidiplomatico)

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