Latina

Fondamentalisti religiosi come Jeanine Añez e Luis Fernando Camacho alla guida del golpe

Bolivia: lo scempio

L’ultradestra sfrutta nel modo migliore le enormi contraddizioni di Morales e quelle del Movimiento al Socialismo per dare vita ad un colpo di stato apertamente programmato
16 novembre 2019
David Lifodi

golpe in Bolivia

Evo Morales non avrebbe dovuto ignorare il cosiddetto 21 F, il referendum del febbraio 2016 che aveva sancito il “no” della maggioranza degli elettori alla sua candidatura per un nuovo mandato, il quarto. Probabilmente, per lui e per il Movimiento al Socialismo, quello è stato l’inizio della fine. Successivamente, nel 2017, le manovre affinché la Corte Costituzionale non considerasse gli articoli della Costituzione che concedono la possibilità, ad un candidato, di essere rieletto per una sola volta, hanno destato molteplici perplessità. Al tempo stesso, da tempo era evidente che Morales non fosse più quello che tanti anni fa rappresentava una spina nel fianco degli Stati uniti. La politica di cooptazione dei movimenti sociali e il pasticcio della questione del Parco Nazionale Isiboro-Sécure (Tipnis), in precedenza, avevano già rappresentato degli scempi rispetto alle aspettative riposte nel Mas, in Evo e in García Linera.

Tuttavia, è altrettanto innegabile che, aldilà delle diverse opinioni sull’esito delle elezioni dell’ottobre scorso e sulle modalità del conteggio che, tra mille contestazioni, hanno assegnato a Morales la vittoria, scatenando poi la crisi che ha costretto Evo prima alle dimissioni e poi alla fuga in Messico, siamo di fronte ad un colpo di stato. La destra, in particolare quella composta da fondamentalisti religiosi, ha sfruttato nel migliore dei modi le contraddizioni e gli errori del presidente indio, prendendo all’istante la guida della protesta. Sotto certi aspetti lo schema è stato quello della manifestazioni di anni fa contro Dilma Rousseff in Brasile, nate inizialmente dal Movimento Passe Livre, di origine libertaria, contro l’aumento del prezzo del trasporto pubblico e le grandi opere in vista di Olimpiadi e mondiali di calcio, e poi monopolizzate da gruppi di ispirazione fascista, nazionalista ed evangelica.

La situazione è assai complessa e il futuro della Bolivia non si prospetta roseo. La faccia spiritata di Luis Fernando Camacho, picchiatore dei comitati civici di Santa Cruz, unita alla rapidità con cui la senatrice Jeanine Añez si è impadronita della presidenza ad interim prendendosi il Palacio Quemado di La Paz grazie ad un Parlamento dove erano presenti soltanto gli oppositori di Morales e del Mas, e quindi in aperta violazione costituzionale, fanno presagire che il paese non vedrà presto una pacificazione. Va inoltre sottolineato che il colpo di stato è stato contrassegnato dalla destra religiosa. L’attuale presidenta della Bolivia è quella che solo alcuni fa sognava “un paese libero dai riti satanici degli indios”.

La minaccia dello stesso Camacho, “la Bibbia tornerà al Palazzo di governo”, non sorprende e Jeanine Añez l’ha messa subito in pratica. Ben prima che si tenessero le presidenziali, nell’Oriente boliviano era già pronto un piano per accusare Morales di frode elettorale. La provenienza di Camacho, del resto era nota: suo padre e il suo fratellastro agirono come paramilitari in occasione del colpo di stato di Hugo Banzer all’inizio degli anni Settanta. Luis Fernando Camacho, come Bolsonaro, più volte ha parlato in pubblico circondato da pastori evangelici, con la Bibbia, il rosario ed un’immagine della Madonna, presentando le elezioni come una guerra tra il bene e il male, alternando dei ragionamenti politici e a dichiarazioni apocalittiche. Tra i suoi alleati spicca il vescovo ausiliare di Santa Cruz, quell’Estanislao Dowlaszewicz che l’11 novembre scorso, presiedendo una funzione religiosa, parlava di “resurrezione di una nuova Bolivia” e ringraziava la polizia per aver rimosso con violenza i blocchi stradali di protesta contro il colpo di stato.

In questa fase del golpe merita anche una breve riflessione l’atteggiamento della polizia, che proprio ieri ha represso senza pietà una manifestazione pro-Evo. Nel 2008 fu di nuovo la polizia a rifiutare di riconoscere Morales, mentre le Forze armate, dopo i primi giorni di silenzio, hanno chiesto la rinuncia dell’ormai ex presidente del paese il quale, dal Messico, continua, almeno a parole, ad insistere con una narrazione antifascista ed antimperialista che però, da anni, non corrisponde ad una pratica fatta di stretti rapporti con le elites imprenditoriali del paese. A questo proposito Raul Zibechi, che non è mai stato tenero con la presidenza Morales, ha scritto: “i principali movimenti hanno chiesto le dimissioni prima che lo facessero le forze armate e la polizia. La situazione critica in Bolivia è iniziata con l’attacco sistematico del governo di Evo Morales e Álvaro García Linera ai movimenti popolari che li hanno portati al Palacio Quemado. La mobilitazione sociale e il rifiuto dei movimenti di difendere quello che consideravano il “loro” governo è stato ciò che ha provocato le dimissioni. Lo attestano le dichiarazioni della Central Obrera Boliviana, dei docenti e delle autorità dell’Università Pubblica di El Alto, di decine di organizzazioni e di Mujeres Creando, forse la più chiara di tutte. La dichiarazione della storica Federación Sindical de Trabajadores Mineros de Bolivia (FSTMB), vicina al governo, è l’esempio più evidente del sentimento di molti movimenti: “Presidente Evo hai già fatto molto per la Bolivia, hai migliorato l’istruzione, la salute, hai dato dignità a molti poveri. Presidente, non lasciare che il tuo popolo bruci e non fare altri morti. Tutte le persone ti apprezzeranno per la posizione che devi ricoprire e le dimissioni sono inevitabili, compagno Presidente. Dobbiamo lasciare il governo nazionale nelle mani del popolo”.

Al tempo stesso, la situazione boliviana resta difficile da decifrare e assai diverse sono le opinioni su quanto sta accadendo. Da una parte, gli errori di Morales e le sue ambiguità, dalle posizione apertamente pro estrattivismo alle politiche clientelari che hanno finito per svuotare i movimenti, dall’altra le azioni squadriste dei paramilitari, che da tempo attendevano di poter incendiare impunemente la wiphala, la storica bandiera che rappresenta le popolazioni indigene latinoamericane, e dare l’assalto alle abitazioni di numerosi esponenti del governo del Mas.

Qualsiasi interpretazione si possa dare dell’attuale situazione boliviana, non si può far altro che constatare lo scempio in corso e pensare che, nel breve periodo, sarà difficile vedere la piccola Bolivia come esempio di resistenza, ora che si trova nelle mani di tanti piccoli Guaidó e Bolsonaro.

 

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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