Costa Rica, pandemia e sfruttamento del lavoro
Ancora una volta, l'immagine da cartolina del Costa Rica si scontra con la realtà inquietante dello sfruttamento di migliaia di immigrati e della mancanza di misure minime di sicurezza sul lavoro. Ma ciò che le autorità hanno “scoperto” in queste aziende non è che la punta visibile dell'iceberg di una situazione di barbarie ben nota e irresponsabilmente trascurata.
Sono state ispezionate 148 aziende e ne sono state chiuse ben 92. Sono state anche emesse 52 ordinanze sanitarie e applicate 21 sanzioni per violazione del codice del lavoro, ha affermato il ministro della Sicurezza Michael Soto [1].
L'ispezione ha riguardato quasi 6.000 persone, molte delle quali con status migratorio irregolare, sfruttate e senza diritti. Molte di loro con coronavirus.
L'epicentro dei controlli sono state le aziende che producono, confezionano, commercializzano ed esportano ananas, derivati della canna da zucchero, tuberi e agrumi. In queste stesse aree (San Carlos, Upala, Los Chiles, San Ramón, Guatuso, Sarapiquí) è dove nelle ultime settimane si è registrato un forte aumento dei casi Covid-19.
Per nessuno è un segreto che le condizioni di vita e di lavoro disumane di migliaia di lavoratori e lavoratrici sono una bomba a orologeria, che costringe le autorità ad assumersi le proprie responsabilità di fronte all’assenza di interventi strutturali e ai ritardi.
Anni di sfruttamento
“È stato chiuso più del 60% delle aziende ispezionate. Ora si scandalizzano, ma per anni le autorità non hanno fatto nulla e non possono nemmeno dire che erano all’oscuro di ciò che stava avvenendo. Hanno semplicemente preferito guardare da un'altra parte. Nel nord del paese si vive un apartheid di fatto. È una vergogna”, ha detto Frank Ulloa, consulente della Rel UITA durante un'intervista in esclusiva (più sotto).
Per la Federazione costaricana per la conservazione dell'ambiente (Fecon), queste aziende, per lo più legate a capitali multinazionali che operano attraverso intermediari nazionali, sarebbero responsabili di diversi crimini, tra cui inadempimento colposo, diffusione del contagio e tratta di persone.
Quest’importante spazio di lotta ecologica punta il dito soprattutto contro l'espansione delle piantagioni di ananas (piña). “Le aziende produttrici di ananas che sono state chiuse devono essere indagate per stabilire chiaramente le loro responsabilità”, afferma la Fecon in un comunicato [2].
Una di esse, Exportaciones Norteñas S.A., è membro della Camera nazionale dei produttori ed esportatori di ananas (Canapep). Nel 2015 è stata accusata di impiegare centinaia di lavoratori in condizioni di semi schiavitù e per il suo antisindacalismo, avverte l'Unione dei lavoratori del settore privato (Sitrasep). Durante l'ispezione che ha portato alla sua chiusura, il Ministero della sanità ha trovato più di venti lavoratori positivi al Covid-19.
Per Dany Villalobos, presidente della Fecon, questa e altre società avrebbero agito in malafede. “Il settore agroalimentare non solo è stato riluttante a seguire le indicazioni delle autorità sanitarie, ma ha anche insistito affinché il governo rendesse più flessibili le disposizioni. Il suo unico obiettivo è quello di continuare ad accumulare profitti a discapito della salute dei lavoratori e delle popolazioni rurali”.
Lavoratori immigrati e tratta di persone
Non sono nemmeno stati fatti passi in avanti per ciò che riguarda la lotta contro la contrattazione di immigrati indocumentati. In un'indagine condotta dalla pubblicazione online Semanario Universidad [3], si osserva che fino a ora nessuna azienda agricola era stata sanzionata per la contrattazione di persone indocumentate, che ogni giorno attraversano il confine con il Nicaragua per lavorare nelle piantagioni.
“Nove lavoratori su dieci sono immigrati e sette su dieci sono indocumentati”, ha spiegato Gustavo Gatica López, ricercatore del Centro di ricerca cultura e sviluppo (Cicde) a Semanario Universidad.
Per il professor Mauricio Álvarez, ciò che è accaduto in questi giorni ha evidenziato che lo Stato “non ha la capacità, né il desiderio e l’interesse di controllare quello che accade in un settore -quello agroindustriale- che è diventato padrone e signore del Costa Rica”.
Apartheid di fatto nel nord del Costa Rica
La notizia della chiusura di varie aziende agricole nel nord del paese sta suscitando grande scalpore [4]. La confusione si è impossessata delle autorità costaricane, fatto che dimostra lo stato di abbandono in cui versano queste aree geografiche.
Mentre la vicepresidente del Costa Rica assicurava che almeno “l'80% delle aziende ispezionate stanno rispettando i protocolli sanitari”, il ministro della Sicurezza annunciava la chiusura di 92 aziende, cioè il 62% di quelle ispezionate, e quello della Sanità parlava di 22 chiuse per violazione dei protocolli.
-GT: Cosa sta succedendo nel nord del paese?
-Frank Ulloa: la pandemia ha portato allo scoperto il disinteresse delle autorità nei confronti dello sfruttamento di migliaia di lavoratori e lavoratrici, per lo più immigrati nicaraguensi, nelle piantagioni del nord del Paese.
Persone che sono costrette a sopportare interminabili giornate di lavoro, guadagni da miseria e senza contributi. Si tratta sempre di manodopera esternalizzata in modo da lasciare le aziende senza vincoli, né responsabilità dirette.
Vivono in baracche messe a disposizione dai caporali o affittano in coppia stanze di due metri per tre. Una situazione che trasforma questi luoghi in possibili focolai di contagio. Sono condizioni da epoca feudale e il governo è corresponsabile per avere ignorato le tante denunce fatte sia dal movimiento ecologista che dalla Rel UITA.
-GT: Finalmente il governo ha deciso di realizzare delle ispezioni.
-FU: Hanno dovuto farlo a causa della pandemia, non perché ci fosse un reale interesse.
Ora si scandalizzano e sembra che stiano scoprendo l’acqua calda. Sono anni che succedono queste cose e le autorità non hanno mai realizzato controlli, né si sono impegnate per garantire i diritti dei lavoratori immigrati.
Basta pensare che alcune delle aziende chiuse non hanno nemmeno i permessi sanitari, né quelli comunali e, nonostante questo, sono anni che esportano i loro prodotti all’estero.
È vergognoso quello che finalmente sta venendo a galla.
Profonda indignazione
-GT: Di quali aziende stiamo parlando?
-FU: Finora sono state ispezionate quelle di piccole e medie dimensioni, che quasi sempre sono filiali delle grandi aziende multinazionali. Ora vedremo se il governo avrà il coraggio di fare lo stesso con le grandi aziende agricole che sono in mano al capitale internazionale.
È un momento di grande confusione e ci sono già imprenditori che si lamentano e che parlano di “arroganza dei funzionari” quando effettuano le ispezioni. Senza dubbio tutto ciò avrà conseguenze politiche nel Paese.
-GT: Insomma, la situazione è molto grave...
-FU: È una situazione terribile e vergognosa allo stesso tempo. In queste aree si vive un apartheid di fatto e si percepisce l’assenza irresponsabile delle autorità.
Le compagnie multinazionali fanno quello che vogliono e stabiliscono le condizioni di lavoro e di vita di migliaia di esseri umani.
Il governo ha chiuso gli occhi e ha girato la testa da un’altra parte di fronte alla violenza, alla perdita dei diritti, allo sviluppo disomogeneo che esiste nel Paese. È una situazione a cui bisogna porre riparo immediatamente.
[1] https://youtu.be/BzeBgwge0Z4
[2] https://feconcr.com/noticias/ministerio-publico-debe-investigar-a-las-empresas-pineras-clausuradas/
[4]- http://www.rel-uita.org/sociedad/costa-rica-pandemia-y-explotacion-laboral/
Fonti (spagnolo)
http://www.rel-uita.org/sociedad/el-norte-del-pais-vive-un-apartheid-de-hecho/
http://www.rel-uita.org/sociedad/costa-rica-pandemia-y-explotacion-laboral/
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