Latina

Il Movimiento al Socialismo dovrà guardarsi dalle manovre di destabilizzazione della destra

La Bolivia che verrà

«Abbiamo recuperato la democrazia e la speranza» sono state le prime parole pronunciate da Luis Arce dopo la sua elezione
25 ottobre 2020
David Lifodi

Luis Arce presidente della Bolivia

Luis Arce è divenuto presidente della Bolivia soprattutto grazie ai consensi ottenuti a La Paz (65,3% delle preferenze) e Cochabamba (63%). Potosí, Chuquisaca, Tarija e Beni si sono confermate le roccaforti di Carlos Mesa mentre solo Santa Cruz, come facilmente immaginabile, ha espresso in maggioranza la propria preferenza per Fernando Camacho.

Tutto ciò fa pensare che le destre non si arrenderanno tanto facilmente, nonostante la sconfitta nelle urne. A rilevarlo il giornalista e sociologo boliviano Boris Acosta Reyes, che nella sua analisi del voto compiuta per il Centro Latinoamericano de Análisis Estratégico ha fatto notare che, una volta ufficializzata la vittoria di Arce, il segretario Osa Almagro si è congratulato con il vincitore dopo aver gridato alla frode in occasione delle presidenziali del novembre scorso, a seguito dei risultati che certificavano il successo di Evo Morales.

«Abbiamo recuperato la democrazia e la speranza», ha sottolineato Arce ringraziando il popolo boliviano, ma adesso, sventato almeno momentaneamente il pericolo golpista, occorre dar tempo al nuovo presidente di lavorare senza aspettarsi nell’immediato misure rivoluzionarie.

Ministro dell’Economia per quasi tutta la permanenza di Morales a Palacio Quemado, Luis Arce ha contribuito a ridurre la povertà e l’estrema povertà in Bolivia, grazie anche a politiche economiche che alla fine avevano permesso ad Evo di non essere più visto come il diavolo dalla classe media boliviana. Non è un caso che, dopo i primi anni turbolenti, anche lo stesso Fondo monetario internazionale aveva iniziato a lodare la Bolivia e a non considerare più Morales come un acerrimo nemico.

Ancora Boris Acosta Reyes sottolinea che, in governi composti principalmente da esponenti indigeni e vicini ai movimenti sociali, Luis Arce ricopriva il ruolo del cosiddetto “tecnico”, non a caso, quando Morales lo ha scelto come candidato alle presidenziali, una parte delle organizzazioni popolari non era rimasta del tutto soddisfatta poiché avrebbe preferito una figura più radicale, sebbene già nel 2011, l’allora ministro, spiegando il suo nuovo modello economico, sociale, comunitario e produttivo lo avesse definito come «un modello di transizione verso il socialismo».

David Choquehuanca, designato come vicepresidente, ed esponente di primo piano delle realtà indigene, rappresentava l’ala più radicale e forse preferita dalle organizzazioni sociali.

In ogni caso, la limpida e ampia vittoria di Luis Arce, ottenuta senza particolari disordini in occasione del voto, sarà comunque messa alla prova dai razzisti e dai secessionisti dell’Oriente boliviano. Gli appelli di Arce a risollevare l’economia del paese nel segno di un proceso de cambio senza odio, rischiano però di cadere nel vuoto. L’ex ministro golpista Murillo, da quando ha capito di doversi rassegnare alla bocciatura nelle urne, non ha smesso un attimo di insultare gli osservatori elettorali definendoli dei sovversivi al pari dei militanti del Movimiento al Socialismo, che ha perseguitato per via giudiziaria e poliziesca fin quando ha potuto. Non solo. Sempre Murillo, sostenendo che accompagnerà la presidenta Jeanine Áñez fino all’ultimo giorno di mandato, non intende abbandonare la carica di ministro fin quando il governo del Mas non entrerà ufficialmente in carica e, continuando con le provocazioni, ha affermato di farsi trovare pronto nel caso in cui il nuovo esecutivo voglia perseguitarlo.

Tutto ciò fa capire come Luis Arce, il Mas e le organizzazioni popolari boliviane non possano permettersi distrazioni. Lo ha ricordato la femminista Claudia Korol, sottolineando che «Osa, Stati uniti e corporazioni transnazionali, che hanno goduto di molteplici favori dal governo golpista, già stanno preparando la loro risposta criminale».

Sempre Claudia Korol spiega che, grazie alla vittoria di Arce, «il potere popolare, femminista e anticoloniale può usufruire di una nuova opportunità che deve essere sfruttata nel migliore dei modi». Questa considerazione fa il paio con le parole di una delle più giovani candidate del Mas, Canela Crespo, che pochi giorni prima del voto, auspicava un ritorno del suo partito al governo all’insegna dello slogan Queremos volver, sí, pero queremos volver mejores.

Le sue parole sono particolarmente significative perché, aldilà del golpismo, almeno negli ultimi due anni erano emerse diverse perplessità sulla gestione del Mas e del governo da parte di Morales. La destra aveva approfittato delle contraddizioni di Evo gettando le basi per una situazione di tensione sociale permanente sfociata poi nel colpo di stato.

Volto nuovo del Mas e referente del movimento giovanile Columna Sur, Canela aveva evidenziato che, nonostante la sospensione delle più elementari regole di convivenza democratica protrattasi per quasi un anno di governo golpista, il Mas aveva promosso un processo di rinnovamento e di confronto, come non accadeva da anni, con i movimenti sociali, gli operai, gli indigeni e i contadini.

L’ulteriore sfida del Mas sarà quella di risollevare il paese da una crisi economica generalizzata dovuta anche all’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19, ma il percorso del nuovo Movimiento al Socialismo, se davvero dimostrerà di aver imparato dai suoi errori, sembra ben avviato per permettere alla Bolivia di uscire dal periodo buio dell’ultimo anno.

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