Honduras sommerso
Domenica 1 novembre, le autorità nicaraguensi hanno decretato allerta gialla per la Regione autonoma della costa caraibica settentrionale (Racn) e per l’intera area del triangulo minero (Siuna, Bonanza, Rosita), e hanno attivato immediatamente i piani d’emergenza e di prevenzione per la salvaguardia e protezione della popolazione e per l'invio di beni alimentari di prima necessità.
La notte del 2 novembre, Eta si è trasformato in uragano e si è rafforzato fino a raggiungere categoria 4. Più di 30 mila persone sono state evacuate prima che toccasse suolo a sud di Bilwi/Puerto Cabezas (Mosquitia) la mattina del 3 novembre, con venti fino a 240 km/h.
Il giorno successivo, mentre attraversava il territorio nicaraguense lasciando dietro di sé una scia di distruzione, Eta ha cominciato a indebolirsi ed è stato declassato a tempesta tropicale. L’immediata attivazione di un efficiente ed efficace sistema di prevenzione dei disastri ha permesso che in Nicaragua non ci fossero vittime come conseguenza diretta dell'uragano.
Secondo gli ultimi dati forniti dalla Protezione civile (Sistema di prevenzione dei disastri – Sinapred) sono state evacuate più di 71 mila persone, delle quali 47 mila sono state sistemate in 325 rifugi temporanei. Sono 1.890 le case distrutte e più di 8 mila quelle danneggiate. Danni anche a strutture pubbliche come l’ospedale e il molo di Bilwi, 45 scuole, 66 ponti e 900 km di vie di comunicazione. 50 mila case sono rimaste momentaneamente senza energia elettrica. I danni ammonterebbero per il momento a 172 milioni di dollari.
Honduras
Una volta in Honduras, Eta si è declassato a depressione tropicale. Seppur indebolito, il fenomeno atmosferico ha però trovato nell'inazione governativa un valido alleato che gli ha facilitato il compito di devastare il nord del paese, in particolare la Valle di Sula dove sono esondati i fiumi Ulúa e Chamelecón.
Secondo l'ultimo rapporto della Commissione permanente di emergenza (Copeco), la tormenta Eta ha finora causato la morte di 63 morti e 8 persone risultano ancora scomparse. Sono 267 mila le famiglie (2,1 milioni di persone) che hanno subito danni, 88 mila le persone evacuate e più di 9 mila le famiglie nei rifugi (50 mila persone). Ci sarebbero inoltre più di 100 mila persone ancora isolate in 68 comunità.
A livello di infrastrutture sono state danneggiate più di 14 mila case (52 quelle distrutte), 113 tratti di strada e 29 ponti. Altri 21 ponti sono crollati.
I dati sono comunque preliminari e molto probabilmente sottostimati, soprattutto per quanto riguarda il numero di persone che hanno perso la vita. Quando le acque defluiranno e le squadre di riscatto potranno raggiungere le tante comunità ancora isolate, potrebbero emergere nuove vittime.
Martedí 10 novembre, a sei giorni dal disastro, un dirigente sindacale del settore dell’agroindustria denunciava la lentezza dei soccorsi. “Ci sono almeno 120 lavoratori del settore della palma africana intrappolati con le loro famiglie in una comunità a 20 km dalla città di El Progreso. Sto cercando di recuperare qualche barca per portargli almeno acqua e cibo. La situazione è disastrosa”.
Secondo i dati della Centrale nazionale dei lavoratori agricoli (Cntc), piogge e alluvioni hanno lasciato circa 8 mila contadini e contadine di 125 comunità rurali senza più nulla. Circa mille case hanno sofferto gravi danni e almeno 3.500 ettari di terre coltivate sono andate distrutte.
Un governo assente
Una tragedia che aggrava una situazione già drammatica a causa della pandemia di coronavirus. Attualmente in Honduras si è raggiunta la cifra di 102 mila casi e più di 2.750 morti per Covid-19. Se a questo aggiungiamo che circa il 65 per cento della popolazione vive in povertà e che durante la pandemia almeno 300 mila persone hanno perso o sono state sospese dal lavoro, il quadro che ne esce appare davvero allarmante.
“Il governo si è concentrato sulla promozione di quella che qui si conosce come 'settimana morazanica', un’invenzione dell’attuale governo per fomentare il turismo e che era prevista per la prima settimana di novembre. Una decisione già di per sé contraddittoria visto che siamo ancora in piena pandemia, ma che si spiega per le forti pressioni esercitate sul governo dai magnati del turismo e dalle multinazionali”, ha spiegato Gilberto Ríos Munguía, analista politico e dirigente del partito di opposizione Libertad y Refundación (Libre).
Tra la notte di lunedì 2 novembre e le prime ore di martedì 3 novembre, mentre Eta entrava in territorio nicaraguense come uragano categoria 4, in Honduras si registravano le prime inondazioni nel nord del paese.
Nonostante ciò, il governo ha aspettato fino a lunedì pomeriggio per sospendere le attività turistiche (non senza prima invitare la popolazione a non rinunciare alle proprie ferie) e fino a mercoledì 4 novembre, mentre Eta entrava in Honduras e sommergeva centinaia di case, per annunciare allerta rossa in tutto il territorio nazionale.
“L'Honduras è il terzo paese più vulnerabile ai cambiamenti climatici a livello mondiale. Abbiamo inoltre la tragica esperienza di 22 anni fa con l’uragano Mitch che ha devastato il paese, ma sembra che questa gente non impari mai nulla.
Nessun avvertimento, nessuna azione preventiva. La popolazione era tranquilla perché nessuno l’aveva avvertita del pericolo che incombeva. Quando le famiglie hanno cominciato a vedere che i fiumi esondavano era già troppo tardi e avevano l’acqua al collo”, ha spiegato Ríos.
La gente, disperata, è salita sui tetti delle case, si è arrampicata sugli alberi. Sono migliaia le persone che sono ancora lì perché nessuno è andato a salvarle.
“Solo il popolo salva il popolo”
“Di fronte all'indifferenza del governo, la popolazione si è organizzata e ha cominciato a cercare barche, a raccogliere viveri, acqua, indumenti, a fare ciò che poteva per salvare vite umane. Gli aiuti che stanno arrivando in questi giorni sono quasi esclusivamente frutto della solidarietà di persone e organizzazioni.
Con tutto ciò che sta accadendo, il governo è arrivato all’assurdo di voler canalizzare tutti gli aiuti attraverso enti pubblici che non godono della fiducia della gente”.
Per l'analista politico, ciò che sta accadendo in Honduras (e Guatemala) è anche il risultato dell’applicazione sempre più selvaggia di un modello economico neoliberista che promuove la privatizzazione dei servizi pubblici, la deregolamentazione e la precarizzazione del mercato del lavoro e la svendita di territori e beni comuni.
Esiste una disconnessione profonda tra i governi neoliberisti e fasce immense di popolazione. La mancanza di interesse per le condizioni in cui vivono milioni di persone è il risultato più tangibile di questo modello.
“Contrariamente a paesi come Cuba, Nicaragua o Venezuela dove l'essere umano è al centro delle politiche pubbliche e la popolazione è coinvolta nella gestione dello Stato, in Honduras e negli altri paesi in cui regna il modello neoliberista l'asse centrale delle politiche governative è la massimizzazione del profitto per pochi e il disinteresse nei confronti di tutti gli altri.
Salvare il prossimo durante un’emergenza nazionale o gestire in modo adeguato una pandemia per salvare vite umane non generano profitti. Molto meglio approfittare delle tragedie per accaparrarsi gli aiuti internazionali e saccheggiare l’erario pubblico. Stiamo ancora aspettando di vedere gli ospedali mobili che sono costati circa 47 milioni di dollari e che non sono mai arrivati“, ha detto Ríos.
Il Foro sociale sul debito estero e lo sviluppo (Fosdeh) stima che l’Honduras perda ogni anno per la corruzione più di 2,5 miliardi di dollari.
“La responsabilità di questa tragedia e della perdita di vite umane ricade sul regime di Juan Orlando Hernández e sul gruppo di avidi affaristi che lo sostengono (...). La tragedia che ha colpito il popolo honduregno non è il risultato di un fenomeno naturale, bensí di una politica premeditata e criminale della narco-dittatura”, afferma la Convergenza contro il continuismo in un comunicato.
- Cosa accadrà adesso?
- Con la pandemia, l'indebitamento è salito a quasi 18,5 miliardi di dollari, e questa tragedia indebiterà ulteriormente il paese. Ci sarà anche una contrazione compresa tra il 10 e il 15 per cento del Pil. Più del 50 per cento del bilancio nazionale sarà destinato al pagamento del debito estero.
Ci saranno anche livelli più elevati di polarizzazione economica, che potrebbero tradursi in una maggiore polarizzazione politica e sociale, più violenza, più fenomeni migratori e un'accelerazione della decomposizione sociale. L'anno scorso ci sono stati 73 massacri. Quest'anno, nonostante la quarantena per la pandemia, ne abbiamo già 37.
Purtroppo continua a esserci divisione all’interno dell’opposizione politica divisa e non si è ancora riusciti a consolidare un'unica proposta contro la dittatura. Senza questo passo, difficilmente ci sarà un'opportunità di cambiamento politico e sociale nel paese.
Fonte: LINyM (spagnolo)
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