Perù: dura poco il golpe delle mafie all’insegna della corruzione
Tuttavia, lo stesso Merino è stato costretto, in breve tempo, a rinunciare all’incarico a seguito di una enorme mobilitazione popolare che ha lasciato sul campo circa venti desaparecidos, secondo la Coordinadora Nacional de Derechos Humanos e due morti di 22 e 24 anni, uccisi dalla polizia durante la protesta contro di lui.
Adesso, il nuovo presidente è Francisco Sagasti, approvato da 96 voti favorevoli al Congresso.
Esponente del Partido Morado (centro), docente universitario, Sagasti è stato presidente del Consejo Consultivo de Ciencia y Tecnologia Onu ed ha ricoperto incarichi sotto le presidenze di Alan García (secondo governo) e Humala.
Autore di numerosi saggi accademici su tecnologia, innovazione e buon governo, in occasione della crisi politica che aveva condotto alla destituzione di Vizcarra aveva votato contro il suo allontanamento.
La prima giornata di Merino da presidente era stata infatti caratterizzata da una violenta repressione, con numerosi feriti e arresti compiuti dalla polizia, oltre a 16 giornalisti aggrediti, secondo quanto riportato dall’Asociación Nacional de Periodistas, tra i quali il fotografo Renzo Salazar, Grace Mora (La República), Juan Zapata (Wayka.pe), Antonio Melgarejo (La República), Iván Escudero (Radio Exitosa), Diego Vertiz (Huku Comunicaciones), Anthony Niño (Grupo El Comercio), Oscar Rosario, Karen Santillán (Radio Exitosa), César Campos (El Comercio), Luis Villanueva (La República) e Hugo Pérez (El Comercio).
La sinistra peruviana aveva fatto sapere che il governo del presidente Merino e del premier Antero Flores era illegittimo, ricordando come l’urgenza principale del paese, travolto dalla pandemia, risiedesse nella necessità di poter contare su una nuova costituzione democratica, sovrana e plurinazionale. Veronika Mendoza, candidata progressista alle prossime presidenziali, aveva evidenziato che le responsabilità di Vizcarra nell’attuale crisi politica del paese erano gravissime e che meritavano di essere chiarite al più presto, ma che la soluzione non consisteva in una sostituzione del presidente imposta dall’alto.
Mirtha Vásquez, presidenta della Comisión de Inclusión social del Congresso e adesso divenuta vicepresidenta di Sagasti, nota per il suo impegno nel campo dei diritti umani, ricordando le responsabilità di un’intera classe politica, e in particolare quelle di Viczarra, di fronte alla popolazione che chiede salute, lavoro ed una vera politica contro la corruzione, si era detta certa che la destituzione dell’ex-presidente fosse avvenuta in maniera ambigua poiché maturato all’interno di un’oligarchia corrotta e legata alle mafie e che avrebbe messo a rischio la transizione democratica del paese.
Del resto, sono state proprio le mafie ed una classe politica in gran parte corrotta ad imporre inizialmente al paese Manuel Merino e Antero Flores. Non a caso, anche Tania Pariona, presidenta della Comisión de la Mujer del Congresso nel 2019, aveva aggiunto che Manuel Merino non aveva alcune legittimità di rivestire il ruolo di presidente del paese in un Congresso con oltre 60 parlamentari indagati per corruzione che lo hanno acclamato, in barba alla Costituzione, alla guida del Perù.
Merino è rimasto aggrappato al potere per pochissimi giorni solo per soddisfare gli interessi della lobby che lo sosteneva e concedere ancora maggiori licenze alle multinazionali per lo sfruttamento minerario, ma soprattutto nel tentativo di ripulire la sua immagine e quella di Antero Flores, entrambe già da tempo screditate.
Proprietario di un enorme fondo agricolo, Manuel Merino riuscì a farsi eleggere al Congresso per la prima volta nel 2001. Proveniente da Tumbes, regione alla frontiera con l’Ecuador infiltrata dal crimine organizzato, l’ex presidente peruviano ha militato in Acción Popular e da allora ha sempre ottenuto un seggio al Congresso.
In qualità di imprenditore agricolo, dal 2010 la Superintendencia Nacional de Fiscalización Laboral (Sunafil) e la Fiscalía de Trata de Personas hanno trovato più volte minori costretti a lavorare in condizioni di schiavitù sui suoi terreni e provenienti dalle zone più povere del paese, dove erano stati caricati su dei furgoni e condotti a prestare servizio nelle sue tenute all’insegna delle peggiori pratiche del caporalato.
Non solo, secondo la Defensoría del Pueblo, i minori, impiegati soprattutto nella semina del riso, lavoravano dalle 7 del mattino alle 5 di pomeriggio senza alcuna tutela, ma risulta anche che Merino abbia licenziato, nel 2017, un suo lavorante in maniera del tutto arbitraria e senza alcuna liquidazione di quanto gli spettava.
Quanto ad Antero Flores, già ex congressista, ex ministro della Difesa, è noto per le sue dichiarazioni razziste che spesso lo hanno visto associare gli indigeni alle bestie. Ad esempio, quando faceva parte del governo aprista di Alan García definì le comunità indios come “perros del hortelano”.
Tutto ciò non sorprende poiché, fin dal suo ingresso in politica, alla fine degli anni Settanta, pretendeva di escludere dal voto le persone che avevano difficoltà a leggere e scrivere, in maggioranza indigeni e afroperuviani.
Le attuali proteste contro Merino e Flores non vanno intese come un appoggio a Martin Vizcarra, ma riflettono il ripudio popolare contro le mafie che hanno permesso all’ormai già ex presidente del paese di divenire capo di stato.
Merino, che non aveva perso tempo nello scatenare la repressione, è già indagato insieme ad Antero Flores dalla magistratura per omicidio doloso a seguito della morte dei giovani Jack Pintado e Inti Sotelo nel corso dei cortei di protesta.
Forse per il Perù il futuro potrebbe riservare sorprese grazie al levantamiento popular che ha cacciato Merino dal palazzo presidenziale di Lima, ma ora spetterà a Sagasti dimostrare di essere all’altezza della situazione.
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