Latina

In entrambi i paesi prosegue la mobilitazione contro classi politiche corrotte

Un unico grido dal Perù al Guatemala: que se vayan todos

Si tratta di levantamientos simili a quelli dell’autunno 2019 in Cile, Ecuador e Colombia
21 dicembre 2020
David Lifodi

Un unico grido dal Perù al Guatemala: que se vayan todos

L’anno che sta per concludersi, in America latina sarà ricordato per il levantamiento peruviano e quello guatemalteco all’insegna del que se vayan todos sull’esempio delle enormi mobilitazioni popolari che avevano caratterizzato l’autunno 2019 in Cile, Ecuador e Colombia.

In Guatemala, da ormai molte settimane, si susseguono le proteste affinché il presidente Giammattei si dimetta. L’attuale mandatario è solo l’ultimo alfiere di quel pacto de corruptos che da troppo tempo rappresenta le strette connivenze tra classe politica, oligarchia e narcotraffico. Sono 115 i deputati sotto accusa per corruzione sistematica, colpevoli inoltre di aver approvato una legge di bilancio che ha stanziato nuovi fondi per il business privato, ma ha tagliato ancora di più le spese nel settore sanitario e in quello dell’istruzione pubblica, senza prendere alcun provvedimento significativo per far fronte all’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19.


Anche il Perù, per anni vittima degli aggiustamenti strutturali neoliberisti e stufo di una classe politica altrettanto corrotta, ha visto una mobilitazione di piazza che non si registrava da anni.

In entrambi i paesi, la repressione poliziesca non si è fatta attendere: il sangue di morti e feriti ha bagnato le strade e le piazze di Lima e di Città del Guatemala, dove si chiede, sul modello cileno, un’assemblea costituente plurinazionale che riscriva la carta costituzionale in un paese in cui gli indigeni, ampia maggioranza nel paese, sono trattati da sempre alla stregua delle bestie, come dimostra l’operazione Tierra arrasada che, all’inizio degli anni Ottanta, all’epoca delle presidenze di Montt e Lucas García, si rese responsabile del genocidio del popolo maya.


Il paradosso del presidente guatemalteco Alejandro Giammattei, come quello del peruviano Martín Vizcarra (alla fine costretto alle dimissioni da una maggioranza che aveva semplicemente deciso di preferirgli un altro personaggio, Manuel Merino, altrettanto poco credibile ed equivoco, il quale dopo pochi giorni, all’insegna della violenza di stato, ha dovuto cedere a Francisco Sagasti), è stato che entrambi avevano giurato di voler debellare la corruzione di cui si erano nutriti ad esempio, la bancada fujimorista e gli ultranazionalisti di Unión por el Perú, alla cui guida vi è Antauro Humala, fratello di un altro ex presidente dal comportamento quantomento ambiguo, Ollanta Humala.

Quest’ultimo, giunto alla presidenza dopo aver promesso di riscattare i diritti delle comunità indigene, si trova a sua volta in carcere dal 2004.

Se tutti gli ultimi presidenti del Perù, da Alberto Fujimori (responsabile della guerra spietata alle guerriglie, giustificata con una repressione e violenza spropositata contro le comunità indigene e contadine) ad Alejandro Toledo, da Ollanta Humala, ad Alan García (che fin dal suo primo mandato aprì al neoliberismo) fino a Pedro Pablo Kuczynski e Martín Vizcarra, sono stati coinvolti in episodi di corruzione, la situazione non è migliore in Guatemala, dove all’epoca della presidenza di Jimmy Morales, l’ex comico legato all’estrema destra e alla lobby dei veterani che ha combattuto la guerra sporca contro le comunità indigene, è stata cacciata la Comisión Internacional Contra la Impunidad en Guatemala (Cicig), patrocinata dall’Onu, grazie anche all’attuale vicepresidente del Congresso, Felipe Alejos.

Secondo la Cicig, negli ultimi undici anni sono stati più di 600 i politici guatemaltechi coinvolti in episodi di corruzione e Giammattei, che è proprio il successore di Morales, considerato uno dei peggiori presidenti nella storia del paese, è stato eletto con una percentuale di astensionisti superiore al 60%.

Circondato, in campagna elettorale, da uno staff di persone a loro volta legate a personaggi molto vicini alla criminalità, Giammattei ha promesso nel paese l’utilizzo della mano dura, come del resto anche Otto Pérez Molina, costretto a sua volta ad abbandonare, solo pochi anni fa, la presidenza del paese a seguito dello scandalo denominato La Línea.


Dal Perù al Guatemala, gli slogan urlati nelle piazze sono stati gli stessi: “No más corrupción”, “Fuera Giammattei” e “Se metieron con la generación equivocada”.

In entrambi i paesi, dove oltre il 60% della popolazione vive in una situazione di estrema povertà e la sopravvivenza quotidiana è ulteriormente peggiorata a seguito dell’inazione dei rispettivi governi di fronte alla pandemia, le politiche neoliberali hanno aumentato le disuguaglianze sociali, accresciuto la disoccupazione e provocato un’ulteriore sterzata delle classi politiche verso le privatizzazioni.

C’è da scommettere che in Guatemala e il Perù anche il 2021 inizierà sulle barricate.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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