Latina

Il 7 febbraio presidenziali in Ecuador

Elezioni in America latina: il 2021 sarà un anno cruciale

Si va alle urne fino a novembre, per presidenziali, amministrative e legislative, anche in Perù, El Salvador, Cile, Messico, Bolivia, Honduras e Nicaragua
14 gennaio 2021
David Lifodi

Elezioni in America latina: il 2021 sarà un anno cruciale

In America latina il 2021 si preannuncia come un anno particolarmente complesso dal punto di vista elettorale, soprattutto perché, come ha segnalato la Comisión Económica para América Latina y el Caribe (Cepal), il continente sudamericano, a livello sanitario, economico e sociale risulta essere tra i più diseguali al mondo.

Gli oltre 500mila morti dovuti al Covid-19 (più di 15 milioni di contagi), insieme ad una delle peggiori crisi economiche mai attraversate, la povertà che attanaglia il 37,3% dei latinoamericani ed una disoccupazione in preoccupante crescita fanno pensare ad un nuovo anno all’insegna di un forte conflitto sociale che inevitabilmente si ripercuoterà anche nelle urne. Le elezioni potrebbero rappresentare quindi l’occasione per esprimere una sorta di “voto di punizione” verso quei governi (e sono la maggioranza) che non si sono dimostrati all’altezza della situazione.

Il 7 febbraio, in Ecuador, si terranno le presidenziali che certificheranno il fallimento di Lenín Moreno, eletto come delfino dell’ex presidente Rafael Correa, ma passato immediatamente alle dipendenze del Fondo monetario internazionale dopo aver scatenato una violenta persecuzione contro il correismo e cercato di stroncare con la violenza le mobilitazioni delle comunità indigene a cui si sono rapidamente aggiunti in sostegno tutti i movimenti sociali.

Ha buone probabilità di farcela Andrés Arauz, il candidato del partito correista Unión por la Esperanza che, secondo i sondaggi, sembra avere maggiori probabilità di insediarsi a Palacio del Carondelet rispetto all’imprenditore Guillermo Lasso, sconfitto sia nelle presidenziali 2013 (da Correa) sia in quelle 2017 (da Lenín Moreno).

Formatosi nell’ambito della Revolución ciudadana, Andrés Arauz ha già indicato come priorità il risanamento di un’economia devastata dalla presidenza Moreno, la ripresa del progetto di Buen Vivir (che peraltro con Correa non aveva visto sempre una coerenza tra le dichiarazioni e i fatti) ed una gestione migliore dell’emergenza sanitaria. Per fare tutto ciò, Arauz auspica un voto per “la dignità del paese” e confida nell’alleanza con le comunità indigene, quelle contadine e i movimenti sociali, che però hanno già dovuto sopportare più di un tradimento da parte di presidenti dichiaratisi vicini alle organizzazioni popolari salvo poi rimangiarsi rapidamente tutti i buoni propositi una volta raggiunto il potere per avvicinarsi alle elites imprenditoriali come ha fatto lo stesso Moreno. Peraltro, tra i candidati alla presidenza vi è anche Yaku Pérez, candidato indigeno per Pachakutik.

In vista delle amministrative di febbraio c’è già preoccupazione in El Salvador per la crescita dei consensi di Nuevas Ideas, il partito dell’ambiguo presidente Nayib Bukele che sta governando il paese in maniera autoritaria ed è riuscito in breve tempo, con discorsi populisti e ondivaghi, a prosciugare il serbatoio di voti del Frente Farabundo Martí.

Il 7 marzo urne aperte anche in Bolivia, dove le elezioni che sanciranno i governatori di 9 stati e i sindaci di oltre 300 municipi rappresentano il primo bando di prova per il Movimiento al Socialismo del presidente Luis Arce.

L’11 aprile sarà la volta delle presidenziali in Perù, dove, a seguito del levantamiento dei mesi finali del 2021, la destituzione di Martín Vizcarra (9 novembre 2020), la cacciata di Manuel Merino (dopo pochi giorni caratterizzati da una violenta repressione delle proteste di piazza) e l’attuale mandato di Francisco Sagasti, può veramente accadere di tutto.

Alcuni attribuiscono buone possibilità di vittoria al candidato di centrodestra George Forsyth, ma la crisi di una reale leadership e la forte indecisione sembrano farla da padrone, soprattutto in un paese dove si è alzato con forza nelle strade e nelle piazze il grido que se vayan todos.

Sempre ad aprile, in Cile si terranno le elezioni per sindaci e governatori, ma l’attenzione è rivolta soprattutto al prossimo 21 novembre, quando molto probabilmente si sfideranno per La Moneda Oscar Jadue (attualmente il sindaco di Recoleta, municipio a nord di Santiago del Cile), del Partito comunista e Joaquín Lavín (recentemente dimessosi dalla carica di sindaco di Los Condos, sobborgo di Santiago del Cile), che punta a vincere presentandosi come indipendente di centrodestra anche se il suo partito di provenienza è quello ancora legato agli ideali pinochettisti. In primavera i cileni saranno inoltre chiamati ad eleggere anche i membri costituenti che dovranno scrivere la nuova costituzione del paese.

Giugno sarà un mese fondamentale per Andrés Manuel López Obrador che, dall’esito delle elezioni legislative, capirà qual è l’indice di gradimento degli elettori nei suoi confronti e in quelli di Morena, il suo partito e, sempre con le legislative, previste in ottobre, si misurerà il presidente argentino Alberto Fernández per misurare la tenuta della sua maggioranza di centrosinistra.

Sono inoltre in programma, a fine 2021, anche le presidenziali in Honduras (il 14 marzo si terranno le primarie per scegliere i candidati alla presidenza e vicepresidenza con la possibilità, a sinistra, che sia candidata per il partito Libre – Libertad y Refundación Xiomara Castro) e Nicaragua, dove Rosario Murillo dovrebbe presentarsi al posto del coniuge Daniel Ortega in cui il sandinismo, che aveva suscitato grandi speranze negli anni Ottanta, sembra esser stato definitivamente sostituito e fagocitato dall’orteguismo, ma fatica ad emergere un’alternativa di sinistra all’attuale coppia presidenziale e almeno una parte dell’opposizione sembra assomigliare a quella poco credibile presente in Venezuela.

Lo stesso Parlamento nicaraguense ha recentemente approvato una legge che vieta le candidature di chi finanzia colpi di Stato, ma che potrebbe escludere anche le candidature di quella parte dell’opposizione che non si riconosce né nella destra legata alle manovre destabilizzatrici degli Stati uniti né nell’attuale forma di sandinismo governativo.

Infine, alle mille variabili da tenere in considerazione nei singoli appuntamenti elettorali, va aggiunta quella relativa alla presidenza Usa di Biden, che, secondo molti analisti politici, terrà verso l’America latina un comportamento simile a quello di Obama.

Può darsi che, rispetto a Trump, le sanzioni economiche contro Cuba o il Venezuela vengano in parte mitigate, ma fu proprio sotto la presidenza Obama che, nel 2009, avvenne il colpo di stato che depose Manuel Zelaya in Honduras e che Miraflores fu inserito nella black list dei governi considerati “terroristi” ed una minaccia per gli Stati uniti.

Inoltre, gli stessi Usa già da tempo guardano con preoccupazione ai vari levantamientos avvenuti a partire dal 2019 in Cile, Ecuador, Colombia, Perù, Guatemala e ad una situazione di crescenti conflitti sociali.

Insomma, il 2021 si preannuncia come un anno cruciale per l’America latina.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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