Brasile tra Covid, bolsonarismo e resistenza dei movimenti sociali
«È essenziale comprendere l’alto livello manipolatorio della figura di Bolsonaro, oltre al suo noto razzismo. La maggioranza dei neri brasiliani vive in condizioni precarie e svolge le mansioni più umili, dove l’homeworking non è perseguibile. Questa popolazione è quindi costretta a spostarsi nelle grandi metropoli con mezzi pubblici affollati e quindi è più esposta al contagio da Covid-19, come dopotutto accade negli USA.
Il 74% della popolazione brasiliana dipende esclusivamente dalla sanità pubblica per curarsi, ma il sistema sanitario pubblico è fermo al palo, soprattutto con Bolsonaro che incentiva la privatizzazione come soluzione ideale e promuove gli assembramenti come parte del suo negazionismo. La pandemia ha soltanto rinviato i suoi piani di smantellamento totale della sanità pubblica, che fatalmente porterà a termine, visto che le sue alleanze in Parlamento sono solide. La popolazione povera e nera, così come gli indigeni, non ha accesso alle diagnosi e cure di malattie oramai debellate in molti paesi sudamericani. Sommato al fatto che una parte significativa della popolazione brasiliana viene colpita ogni anno dalla malaria, dalla dengue, dal virus Zika, dalla febbre gialla, dalla chikungunya e da altre malattie tropicali che indeboliscono fortemente il sistema immunitario, siamo di fronte a un quadro molto grave.
Per giustificare il numero elevato di morti, soprattutto tra la popolazione nera, Bolsonaro rispolvera una delle sue tante teorie razziste: i neri sarebbero geneticamente più predisposti al contagio perché più deboli rispetto ai bianchi. Se gode tuttora di un certo consenso è perché parte della popolazione brasiliana – mi riferisco non soltanto ai bianchi – la pensa esattamente come lui, ovvero, che il mondo appartiene ai più forti, quelli che per “vincere nella vita” sono duri, furbi e spietati. La popolazione povera e nera è quindi poco “smart”, perdente e vittimista, quindi debole. Bolsonaro viene mitizzato dai suoi sostenitori, che lo vedono come un individuo “forte e coraggioso”. È il bianco che sfida la morte andando in giro senza mascherina per il bene dell’economia del Paese che governa. La sua propaganda, finanziata con soldi sottratti alla cultura, alla sanità e alle risorse destinate ai programmi sociali è potentissima e per ora ha la meglio sulla realtà».
Pochi giorni fa Brasil de Fato ha scritto che il Brasile continua a registrare la più alta media di decessi dovuti al Covid-19 dall’inizio della pandemia. In questa situazione, qual è la posizione della destra tradizionale, a partire dai tucanos, verso Bolsonaro? Il Centrão e gli stessi tucanos finiranno per soppiantare il bolsonarismo?
«Ciò che caratterizza il Centrão, partiti politici oramai noti per il loro trasformismo cinico, è l’assoluta assenza di etica e di ideologia politica. Va da sé che quando questi partiti opportunisti avvertiranno il declino di Bolsonaro, non esiteranno ad abbandonarlo velocemente per rifarsi un nuovo lifting agli occhi dell’elettorato. Il deputato Arthur Lira del PP (Progressistas), membro eminente del Centrão, appena eletto alla carica di Presidente della Camera, organizzò una festa con oltre 300 invitati, tutti rigorosamente senza mascherina e appartenenti ai partiti che sostennero la sua vittoria. Perché venne organizzato un incontro con queste modalità, nonostante gli oltre mille morti che il Brasile stava registrando in quei giorni? La risposta è che se la visione di Bolsonaro è quella del sacrificio umano, vuoi come decimazione della popolazione debole o per salvare l’economia, allora la stessa visione viene adottata dal Centrão, che ha ampiamente sfruttato una propaganda contraria alle misure di distanziamento e isolamento sociale, vincendo alle ultime elezioni amministrative in più di 2.000 municipi.
La vera debolezza e vulnerabilità dei tucanos (partito PSDB – Partido da Social Democracia Brasileira) è invece la frammentarietà interna, che si ricompatta a volte solo per contrastare qualche figura politica, come nel caso del governatore di São Paulo João Doria il quale, nonostante goda di vasta popolarità per avere affrontato il no-vax Bolsonaro, rivendicando di fatto di averlo “sconfitto” nella battaglia per l’approvazione del vaccino Coronavac, è comunque contrastato dai colleghi di partito per le sue “tendenze autoritarie”, come la richiesta di farsi assegnare la presidenza del Partito per poter meglio sostenere la sua candidatura alla Presidenza nel 2022. Le guerre intestine dei tucanos hanno portato metà del PSDB a votare Arthur Lira che era, appunto, il candidato di Bolsonaro alla Presidenza della Camera. Direi che per ora il bolsonarismo regna assoluto tanto nel Centrão quanto per i tucanos».
Recentemente l’Assemblea Legislativa del Paraíba, grazie alla deputata del Partido Socialista Brasileiro (Psb) Estela Bezerra, ha approvato il “Dia Marielle Franco – Dia de enfrentamento às violências contra as mulheres negras” per ricordare la consigliera comunale del Psol uccisa il 14 marzo 2018. Qual è il ruolo delle donne, in particolare delle afrodiscendenti, penso ad esempio alla Marcha das Mulheres Negras, nella battaglia per contrastare il linguaggio e le pratiche machiste del bolsonarismo?
«Marielle Franco, nata in una favela, nera, madre single e lesbica nella visione stereotipata dell’élite conservatrice bianca, come anche di una buona fetta della classe media brasiliana, poteva aspirare ad essere una collaboratrice domestica, una baby sitter o una casalinga. La forbice sociale che può essere concessa alle donne nere nate in condizioni sfavorevoli in Brasile è al gradino massimo quello della segretaria, sempre se hai una “buona presenza”, quando non quello della prostituta.
Che Marielle Franco potesse diventare un simbolo, un’icona, una voce alta e rispettata, era inaccettabile per certi segmenti della società. Marielle aveva oltrepassato il recinto diventando una sociologa, una donna politica di rilievo e un’attivista per i diritti umani rispettata a livello internazionale. Come poteva permettersi di puntare l’indice contro l’efferatezza della polizia carioca, denunciando le connessioni con i narcotrafficanti e i gruppi di sterminio (milizie), questi ultimi ancora tanto ben visti da Bolsonaro e i suoi figli, ma non solo? La sua competenza, il suo coraggio e la sua giovinezza erano un affronto al clan Bolsonaro e all’estrema destra, che infierì particolarmente sulla sua persona da viva come da morta, cercando di offuscare la sua reputazione e credibilità sulle reti sociali immediatamente dopo l’omicidio.
Le afrodiscendenti, sia appartenenti ai movimenti sociali, come anche alla sola semplice società, hanno dimostrato sempre uno spirito combattivo. Le collaboratrici domestiche sono perlopiù donne nere. In Brasile contano 6,7 milioni di donne e superano in numero i lavoratori domestici presenti in India, secondo l’Organizzazione Mondiale del Lavoro e l’ONU. La totalità delle famiglie brasiliane di classe alta, come anche quelle di classe media, hanno una o più collaboratrici domestiche. Spesso hanno una bassa scolarità e mantengono da sole le loro famiglie. Soltanto nel 2013 fu riconosciuto a queste lavoratrici il diritto ad uno stipendio minimo, il diritto al riposo settimanale e la pensione. L’ex presidente Dilma Rousseff è stata bersaglio di feroci critiche per aver voluto fortemente questa riforma. La prima Marcha das Mulheres Negras venne ideata nel 2015 come reazione all’ipocrisia imperante nell’intera società brasiliana quando si tratta di riconoscere dei diritti ai più poveri. Fa effetto pensare che milioni di donne appartenenti alla classe media ed alta brasiliana ritenessero giusto sfruttare un’altra donna privandola dei diritti minimi pur di avere la casa pulita e i figli portati a scuola.
Bolsonaro non viene sostenuto e mitizzato unicamente da uomini violenti, machisti e grezzi nel linguaggio, ma è stato eletto e si mantiene al potere grazie a una certa mentalità, purtroppo appartenente a uomini e donne che amano svegliarsi sentendosi privilegiati rispetto al prossimo. La Marcha das Mulheres Negras dà conto di questa spaccatura, anche tra donne».
In occasione delle elezioni municipali dello scorso autunno, il Partido Socialismo e Liberdade è riuscito a conquistare Belém, capitale del Pará, mentre Guilherme Boulos (Psol e leader dei Sem teto) e Manuela D’Avila (Partido Comunista do Brasil) pur non riuscendo a vincere a San Paolo e a Porto Alegre, hanno comunque ottenuto numerosi consensi. Al contrario, il Partido dos Trabalhadores non è andato bene. In vista delle prossime presidenziali, in programma nel 2022, potrebbe esserci un candidato del Psol a contendere il Planalto alla destra con l’appoggio dei movimenti sociali, dai Sem terra ai Sem teto? Qual è la percezione che hanno attualmente gli elettori di sinistra del Pt, del ruolo di Lula e della sinistra sociale del Psol e del Pcb?
«Boulos e D’Avila sono i principali sostenitori di un ampio fronte di sinistra per contrastare le candidature del Centrão, dei tucanos, come anche di Bolsonaro, che vorrebbe fondare un proprio partito per concorrere alla Presidenza nel 2022.
Con l’annuncio della candidatura di Fernando Haddad alle prossime presidenziali per volere di Lula, l’idea della coalizione di sinistra sembra al momento naufragata. La base elettorale del PSOL preferisce restare alla larga da qualsiasi tipo di alleanza con il PT, è ciò che si evince dai loro gruppi di discussione. Per quanto riguarda gli elettori del PT, penso che non sappiano più quale sia l’identità del partito, basti pensare che nelle ultime amministrative vennero formate coalizioni con il Partido Social Liberal (PSL), l’ex partito di Bolsonaro, in ben 136 municipi, come salta agli occhi che il candidato alla Presidenza della Camera dei Deputati scelto dal PT sia quel Baleia Rossi, del Movimento Democrático Brasileiro (MDB), che non solo aveva votato a favore dell’impeachment di Dilma Rousseff, ma è anche stato uno degli autori del cosiddetto “pacchetto anticrimine”, un insieme di norme volute da Bolsonaro al fine di garantire agli agenti di polizia l’esclusione della responsabilità in caso di uccisioni di civili sotto “violenta emozione, sorpresa o paura”.
Lula ha ancora un nocciolo duro di elettori nostalgici del suo primo mandato, ma non fa più presa sui giovani, al contrario di Boulos e D’Avila, che rappresentano per le nuove generazioni l’unica vera speranza di vedere accolte le richieste dei movimenti sociali e delle fasce più deboli. Tanto il PSOL quanto il PcB sostengono candidature indigene, femminili, afrodiscendenti, LGBT+ e di intellettuali preparati, provenienti dalle migliori università brasiliane. Sono partiti politici che hanno capito l’urgenza di lanciare un messaggio importante alla società: se vogliamo porre fine alla violenza, alla depredazione della terra e dell’ambiente, all’oscurantismo, alle disuguaglianze sociali, al razzismo e al classismo imperante, è necessario imparare a votare meglio e smettere di abdicare ai propri principi pur di restare aggrappati al potere.
Lula per gli europei rimane tuttora il “papà dei poveri”, quello che ha permesso alla povera gente di avere più cibo nel piatto e di acquistare un frigorifero o una tv in trenta rate. Non è stato, però, tradito dal suo elettorato da un giorno all’altro come si può pensare, ma a seguito di una serie di scelte politiche molto precise che hanno distrutto il Partito e in breve tempo allontanato la base».
Gran parte delle Chiese evangeliche ha giocato un ruolo di primo piano, a livello di sostegno economico e diffusione delle fake news, nell’elezione di Bolsonaro al Planalto. Il passo successivo è stato promuovere una violenta campagna contro la questione di genere all’insegna dei peggiori luoghi comuni. Qual è la risposta delle donne e, più in generale, della società brasiliana?
«Da quando le “chiese evangeliche” hanno scoperto la politica, e qui metto tutte le virgolette del caso, riferendomi esclusivamente a quelle che predicano la cosiddetta Teologia della Prosperità, la messa al bando delle altre religioni, la sottomissione delle donne, la conversione degli indigeni al loro presunto “cristianesimo” e la persecuzione degli omosessuali, il volto del Brasile da paese laico, accogliente e relativamente tollerante nei confronti dei “diversi” è stato completamente stravolto.
Se oggi ai vertici della politica abbiamo personaggi razzisti, misogini e omofobi, è perché certi “pastori” hanno goduto del diritto di fare campagna elettorale dai loro pulpiti in forma permanente. L’Igreja Universal do Reino de Deus e l’Assembléia de Deus, due delle formazioni più coinvolte nelle campagne di odio sui social e nell’ideazione di fake news sugli uomini e donne politiche che non corrispondono ai loro piani di potere, sommano oltre venti milioni di seguaci in Brasile. Voglio far notare che neanche il PT ha mai costituito una minaccia per loro, anzi, è stato proprio durante i mandati di Lula e Dilma che queste sette hanno ricevuto il maggior numero di concessioni radiotelevisive, formato partiti politici, come i Republicanos, arrivando a ricevere incarichi ministeriali e godere, le loro leadership, di passaporti diplomatici.
Per farsi sostenere dall’elettorato “evangelico” Dilma Rousseff fu costretta dal PT a frequentare i loro templi e a rinnegare molte delle sue battaglie femministe, come il diritto all’aborto, sconfessandosi più volte. Per i leader di queste sette apparterrebbe ai piani di Dio il loro ingresso in politica. I fedeli vengono invitati, nei loro culti, a votare coloro che meglio rappresentano questi presunti piani divini, che possono essere rappresentati da politici appartenenti tanto alla destra quanto alla “sinistra”. Basta che i politici concedano “qualcosa” in cambio dell’appoggio assicurato. Spesso le leadership religiose chiedono più concessioni radiotelevisive, incarichi politici o la cancellazione dei loro debiti con lo Stato.
Nonostante godano del diritto costituzionalmente garantito di non pagare le tasse quando svolgono attività filantropiche e/o educative, la maggior parte di loro è dedita unicamente alla costruzione di templi lussuosi e al mantenimento dell’elevato stile di vita dei pastori. Le concessioni radiotelevisive permettono a queste sette di estendere i loro tentacoli sull’intero territorio nazionale. Non a caso, quelle date agli evangelici si concentrano maggiormente dal Centro verso il Nord del Paese. Riescono così a drenare sempre più anime e quindi più donazioni e offerte dai più poveri e meno istruiti, concentrati più a Nord che a Sud del Brasile.
Gli studiosi fanno risalire l’inizio di questo fenomeno con l’elezione di Fernando Collor alla Presidenza nel 1989, quando fece da garante all’acquisto della rete televisiva Record, oggi di proprietà di Edir Macedo, il fondatore dell’Igreja Universal do Reino de Deus. Sono circa 183 i parlamentari brasiliani che si dichiarano “evangelici”, ovvero un terzo del Parlamento. Il 99% appartiene al centrodestra, a partiti capitanati da “pastori” dell’Igreja Universal, dell’Assembléia de Deus o da sette minori fondate da individui che ruppero con queste due formazioni religiose per fondare la loro.
Le donne, purtroppo, sono il bersaglio principale di queste sette eppure, secondo una ricerca del Datafolha del 2020, costituiscono il 58% del totale dei fedeli. Questo accade perché sono più esposte alle campagne di marketing dei pastori, finendo per acquistare prodotti “miracolosi” pubblicizzati in tv o alla radio col fine di contrastare ogni problema di salute, economico o affettivo, sempre che la fede sia “autentica”. Si tratta di una truffa bella e buona, ma molte donne finiscono per recarsi nei templi, sedotte dalla propaganda persuasiva e molto ben studiata.
Ogni brasiliano è cresciuto assistendo al mattino presto, oppure durante la notte, a culti evangelici nel quale donne scelte in platea “a caso” venivano “esorcizzate” dai loro demoni grazie a pastori con modalità spesso violente. Immagini forti in cui a volte queste donne venivano prese per i capelli dai pastori e umiliate, poiché possedute dal diavolo o da legioni di demoni, sono state il pane quotidiano di intere generazioni. Inginocchiate davanti agli “uomini di Dio” piangevano e confessavano i loro peccati e, siccome “accettavano Gesù”, venivano applaudite, abbracciate e sostenute dal resto dei fedeli. La violenza sulle donne e la discriminazione veniva così normalizzata con lo zampino delle sette. Essere prese per i capelli da un uomo, essere offese e accusate di portarsi dentro “legioni di demoni” era parte integrante dello show. Tutto ciò contribuì alla sopraffazione delle donne nella società brasiliana, perché sono le più umili ad ascoltare maggiormente la radio o a guardare TV.
Oggi un quarto dei programmi televisivi in Brasile è destinato al pubblico evangelico. La Rete Record è diventata un colosso, tant’è che Dilma Rousseff, appena eletta alla Presidenza della Repubblica, decise di rilasciare un’intervista esclusiva a questa rete “evangelica”. Secondo la ricerca Millennials (Banca Interamericana dello Sviluppo), il 28% delle donne brasiliane tra i 15 e i 24 anni non studia né lavora e questo la dice lunga sulla battaglia per l’emancipazione femminile che c’è da fare. Se da una parte ci sono 30 milioni di donne che mantengono da sole le loro famiglie (dati dell’IBGE – Instituto Brasileiro de Geografia e Estatística) svolgendo le più svariate mansioni, da un’altra la popolazione femminile resta intrappolata in un meccanismo psicologico perverso e machista, molto difficile da disinnescare con discorsi razionali che invocano una maggior consapevolezza politica e che si appellano alla sorellanza».
Le comunità indigene si sono sempre dovute difendere dalle politiche estrattiviste, dalla costruzione delle centrali idroelettriche e da politiche ambigue di demarcazione della terra, anche all’epoca dei governi petisti. Qual è l’attuale situazione delle comunità dopo un anno di pandemia?
«Si è decisamente aggravata non solo a causa dell’arrivo della “variante brasiliana” del Covid-19, ma anche per la campagna negazionista di Bolsonaro, che si sposa alla perfezione con quella di molti pastori evangelici: il COVID-19 colpirebbe persone già predestinate da Dio a morire, oppure persone sprovviste di abbastanza fede nel Creatore. La politica non avrebbe alcun tipo di responsabilità in questo senso.
La popolazione indigena viene quindi invitata a non vaccinarsi sui canali radiotelevisivi e nei culti che avvengono all’interno delle missioni evangeliche localizzate nelle reservas, minando gli sforzi delle ong e anche della Chiesa Cattolica che, a onor del vero, invita gli indigeni a fidarsi della scienza. L’APIB (Articulação dos Povos Indígenas do Brasil), la maggior organizzazione indigena brasiliana, denuncia le responsabilità dei fondamentalisti religiosi in molte delle aggressioni avvenute ultimamente contro il personale sanitario. Anche l’Associazione Brasiliana di Antropologia ha accertato gravissimi atti di sabotaggio nel comportamento dei pastori evangelici che lavorano in Amazzonia.
Gli oltre 800 mila indigeni sul territorio nazionale vengono bersagliati da fake news e notizie fuorvianti, ad esempio quelle che dicono che gli indigeni sarebbero le cavie prescelte dai bianchi per sottoporsi a vaccini tuttora sperimentali, che sarebbero fatali per loro o che porterebbero a deformità corporee. Circa mille indigeni sono stati uccisi dal Covid-19 sin dall’inizio della pandemia, tuttavia, venendo conteggiati solo quelli che vivono all’interno delle “reservas”, il numero reale potrebbe essere decisamente maggiore.
Sonia Guajajara, parlamentare eletta per il PSOL e coordinatrice dell’APIB ha messo in allerta sui pericoli dell’ultima norma emanata dal governo Bolsonaro il 22 febbraio 2021, nella quale vengono autorizzate partnership tra proprietari terrieri e comunità indigene al fine di sfruttare le ricchezze delle loro aree protette. Ciò protegge legalmente i colossi dell’industria mineraria, del legname e i proprietari terrieri, oramai abituati ad uccidere le leadership e terrorizzare queste comunità affinché si pieghino alla loro stessa avidità economica. Per Guajajara la reale intenzione della norma è consegnare i territori indigeni allo sfruttamento indiscriminato, dando un colpo di grazia all’Amazzonia. La pandemia oscura le azioni anti ambientali di Bolsonaro, ma non zittisce i popoli indigeni che, purtroppo, hanno perso interamente il barlume di protezione che avevano prima, giacché la magistratura non dà seguito alle loro denunce, rendendosi complice di un genocidio perpetrato sotto gli occhi di tutti».
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