Latina

In Colombia la resistenza continua nonostante la repressione di Stato e una situazione allarmante

Le Ande in rivolta

In Cile le elezioni del 15-16 maggio hanno dimostrato che il pinochettismo può essere sconfitto e in Perù, in vista del ballottaggio presidenziale del 6 giugno, l’oligarchia trema per i sondaggi che assegnano la vittoria al maestro rurale Pedro Castillo.
26 maggio 2021
David Lifodi

Le Ande in rivolta

Il vento della rivoluzione, seppure con modalità diverse, soffia in Colombia, Cile e Perù insieme ai timori delle elites neoliberiste e ai loro apparati repressivi.

In Colombia, la forte presenza di un movimento sociale già presente almeno dall’autunno 2019, dal 28 aprile scorso ha dato vita a qualcosa in più di un semplice sciopero, ma ad un paro a tempo indefinito che ha costretto Duque a dover fare i conti con quei settori popolari che tanto disprezza. Il presidente uribista, lungi dal cercare almeno il dialogo, ha scatenato contro le organizzazioni sociali (sindacati, studenti, indigeni) una violenta repressione poliziesca caratterizzata da morti, feriti e desaparecidos in tutto il paese.

La riforma tributaria contro la quale il paese era sceso in piazza è stata per il momento accantonata, ma ad un prezzo altissimo. Secondo l’Observatorio de Conflictividades del Instituto de Estudios para el Desarrollo y la Paz (INDEPAZ), fino a pochi giorni si contavano 49 persone uccise da paramilitari, polizia e Escuadrón Móvil Antidisturbios (ESMAD) insieme a 1388 arresti, 165 feriti da colpi di arma da fuoco, 22 casi di violenza sessuale e 955 episodi di violenza ai danni di chi era sceso in piazza da parte delle forze dell’ordine colombiane, decise a stroncare la resistenza dei grupos de defensa popular nati spontaneamente nelle città di Cali, Bogotá, Barranquilla, Bucaramanga e Popayán, tra le altre.

In Cile, le elezioni del 15 e 16 maggio hanno colto alla sprovvista le destre latinoamericane e gli stessi Stati uniti. In primo luogo, tra i 155 delegati che lavoreranno per una nuova Costituzione sono stati eletti 17 rappresentanti dei popoli indigeni, tra cui i mapuche. 37 sono stati i costituenti di destra, 28 quelli del Partito comunista e 25 i socialisti in un contesto in cui hanno ottenuto un grande successo i candidati indipendenti eletti nei partiti di sinistra. La militante femminista Irací Hassler, 31 anni, sarà la prima donna del Partito comunista cileno a governare la capitale Santiago del Cile dopo aver sconfitto nelle urne il destrissimo Felipe Alessandri, noto per la sua misoginia. Il terremoto politico in seno alla destra cilena, dovuto all’elezione simultanea di sindaci, consiglieri comunali, governatori e costituenti, ha rappresentato un duro colpo alla casta politica, come dimostrato anche dalle vittorie dell’attivista ambientalista Rodrigo Mundaca e di Jorge Sharp a Valparaíso.

In Perù, il maestro rurale di orientamento marxista Pedro Castillo, secondo i sondaggi, sembra godere di un vantaggio di almeno dieci punti percentuali su Keiko Fujimori, la figlia di Alberto “el Chino Fujimori”, condannato a 25 anni per crimini di lesa umanità. Al netto delle posizioni fortemente conservatrici in tema di diritti civili, Castillo deve guardarsi dalle fake news della destra, da Mario Vargas Llosa, che prefigura uno scenario apocalittico in caso di una sua vittoria e dalla stessa Keiko Fujimori, la quale non ha gradito la presenza di Avelino Guillén nello staff del suo avversario poiché si tratta del magistrato a cui è dovuta la condanna del padre Alberto.

Divenuto suo malgrado nemico dell’estabilishment, Castillo avrà contro non solo l’oligarchia peruviana, ma anche la presenza ingombrante degli Stati uniti, che faranno di tutto per scongiurare una sua vittoria.

Ciò che sta accadendo nei tre paesi andini non è frutto del caso, ma rappresenta un processo derivato dalla rabbia covata per anni contro l’uribismo e il pinochettismo, mai del tutto scomparsi da Colombia e Cile, e dallo strapotere dell’oligarchia terrateniente in Perù.

La situazione attualmente più preoccupante resta tuttavia quella colombiana. Esmad e polizia nazionale reprimono senza pietà. Impossibile citare tutti gli episodi in cui sono stati uccise, ferite o arrestate persone che hanno partecipato allo sciopero a tempo indefinito, ma ha suscitato comunque grande impressione l’utilizzo dei locali della catena della grande distribuzione Éxito come centro di repressione e tortura all’insegna delle peggiori pratiche del terrorismo di stato.

Nel solo periodo 28 aprile – 7 maggio, la Unidad de Búsqueda ha denunciato la scomparsa di 379 persone, di cui ben 206 nella città di Cali. Inoltre, i corpi di alcuni giovani arrestati dalla polizia il 28 aprile scorso sono stati rinvenuti nel fiume Cauca, destino comune anche alla maestra e sindacalista Beatriz Moreno Mosquera, sul cui corpo sono evidenti i segni di tortura.

Colombia llora, Colombia sufre, pero no se rinde, certo, ma quel popolo che protesta contro la riforma fiscale, la svendita del paese alle multinazionali e chiede il rispetto dei diritti umani chiedendo semplicemente delle condizioni di vita degne continua ad essere perseguitato e ucciso dal suo stesso Stato.

A queste condizioni difficilmente l’incendio nelle Ande si spegnerà, ma il prossimo 6 giugno in Perù e nel 2022 in Colombia il risultato delle urne potrebbe cambiare il corso della storia.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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