Colombia: cresce il numero di morti, feriti e desaparecidos
Cresce quotidianamente il numero dei morti, dei feriti e dei desaparecidos. “¡Nos está matando la policía!” non è uno slogan, quanto, piuttosto, un grido disperato che, almeno qui in Europa, non riesce a far notizia, se non per il fatto che, a seguito dell'estallido social il paese non ospiterà più la Coppa America, la massima competizione calcistica tra le nazionali latinoamericane in programma a partire da metà giugno.
Ha fatto scalpore, tra i molteplici episodi di violenza poliziesca, quello che è costato la vita allo studente Camilo Arango a Tuluá, così come l'espulsione, da parte del governo di Iván Duque, di Juan Grabois esponente dei movimenti sociali argentini giunto nel paese nell'ambito della Misión Internacional de Solidaridad y Observación de Derechos Humanos, ma bloccato all'aeroporto di Bogotá perché ritenuto “una minaccia per la sicurezza nazionale dello stato colombiano”.
Membro del Movimiento de Trabajadores Excluidos, Grabois è stato aggredito con violenza dalla polizia migratoria colombiana, probabilmente a conoscenza della Convocatoria de la red de Solidaridad Internacional con el Pueblo Colombiano che avrebbe portato nel paese una delegazione argentina promossa, tra gli altri, dal deputato del Frente de Todos, Federico Fagioli, dal dirigente dell'Asamblea Permanente por los Derechos Humanos (APDH) di La Matanza, Pablo Pimentel e dal rappresentante della Coordinadora contra la Represión Policial e Institucional (Correpi), Ismael Jalil.
Ciò che risulta evidente è l'intento del governo colombiano di utilizzare lo sciopero del 28 aprile scorso come casus belli per farla finita, una volta per tutte, con i movimenti sociali urbani, con le lotte per la terra e con le comunità indigene e contadine. Non si contano più le sparizioni forzate e gli abusi di ogni tipo commessi dalla polizia e, se quanto sta accadendo oggi in Colombia fosse successo in Venezuela, molto probabilmente ne parlerebbero tutti i giornali del pianeta.
La mobilitazione contro la riforma fiscale, poi ritirata, è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso di fronte ad una serie di governi, l'ultimo dei quali quello di Duque, che non si sono fatti alcun problema nello svendere lo Stato colombiano e le sue risorse e nell'arricchire ancora di più l'oligarchia terrateniente, oltre a fallire bruscamente di fronte all'avanzata del Covid-19, soprattutto a causa della precedente privatizzazione del sistema sanitario. In questo scenario Duque ha imposto al paese una militarizzazione permanente a cui la società civile ha risposto ribellandosi.
Una delle risposte più originali e coraggiose è venuta dagli studenti caucanos che hanno dato vita al campamento humanitario, social y popular a Popayán, ben raccontato dalla comunicatrice sociale, giornalista e avvocata J. Fernanda Sánchez Jaramillo.
Nel dipartimento del Cauca, e in particolare nella capitale Popayán, la repressione contro il movimento studentesco è stata particolarmente pesante non solo adesso, ma da almeno un secolo, in un paese messo costantemente in ginocchio dalle forti disuguaglianze sociali. Una delle prime vittime fu Gonzalo Bravo Pérez, studente di diritto assassinato l'8 giugno 1929 a seguito delle proteste contro La Masacre de las Bananeras, avvenuto durante la presidenza di Miguel Abadía Méndez. E ancora, l'8 giugno 1954 la dittatura del generale Gustavo Rojas Pinilla assassinò lo studente Uriel Gutiérrez.
Ogni giorno l'Instituto de Estudios para el Desarrollo y la Paz (Indepaz) è costretto ad aggiornare gli episodi di violenza nei confronti degli studenti, ma, più in generale, di tutta la popolazione colombiana che si oppone al duqueuribismo.
Prima della militarizzazione delle città vi era stata quella delle campagne, in corso da tempo allo scopo di privare della terra milioni di contadini per far posto alle multinazionali utilizzando la solita scusa di dover debellare quella parte delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc) che aveva scelto di riprendere la strada della lotta armata dopo essersi resa conto che lo Stato aveva del tutto disatteso quegli accordi di pace che peraltro, come immaginabile, non avrebbe inteso mai rispettare, ma che sono valsi un immeritato Nobel per la pace a Juan Manuel Santos, il presidente che li aveva fortemente voluti probabilmente soltanto pro domo sua.
La cosiddetta “Operación Artemisa”, iniziata nel 2019, è servita in realtà soltanto per cacciare i campesinos e accrescere il numero degli sfollati ambientali facendo sfoggio di una potenza militare servita più per arrestare o intimorire le comunità allo scopo di buttarle fuori dall'Amazzonia, che peraltro sarebbe tutelata dalla Costituzione colombiana. Imprese come le canadesi Cosigo Resources Ltd. E Auxico Resources, insieme a molte altre, hanno ringraziato Duque ed i suoi predecessori per il lavoro di pulizia sociale condotto così bene.
Lo scenario di oggi è quello di un paese assediato, da Cali a Bogotà. 13 città del paese e 8 dipartimenti su 32 sono militarizzati. “Ci sono denunce di torture a studenti, abusi sessuali sulle donne, detenzioni arbitrarie ed un a situazione complessa che che richiede la maggior copertura internazionale”, ha sottolineato una delegata del Fronte delle organizzazioni in lotta nell'ambito della delegazione che si è recata in Colombia per verificare il rispetto e la tutela dei diritti umani, ma la presenza di fosse comuni e centri di detenzione clandestini nel silenzio generale danno l'idea di un paese che purtroppo è stato abbandonato a se stesso.
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