Perù: l’estrema destra spinge per il golpe
Keiko Fujimori voleva vincere ad ogni costo per poter così sfuggire ai suoi guai giudiziari, non ci è riuscita e ha preferito percorrere la strada più semplice, con buona pace dei suoi proclami dove si autodipingeva come la paladina del paese, contribuendo all’ulteriore polarizzazione di un Perù già diviso tra i molti che non hanno niente e i pochi che hanno tutto.
Ne è derivata una vera e propria crisi democratica in cui Keiko Fujimori e il suo partito, Fuerza Popular, prima si sono appellati all’Osa che, per quanto ambigua e con a capo personaggi non certo progressisti, non è riuscita a rilevare alcuna frode, e poi hanno cercato di provocare una sollevazione del paese all’insegna dello slogan Keiko o rojos o nada rivolgendosi alle Forze Armate affinché prendessero posizione contro il “caos politico” peraltro provocato dagli stessi fujimoristi, i quali non aspettavano altro che la sollevazione militare contro Castillo dichiarata, ma per fortuna non messa in atto, da una parte di militari legati all’estrema destra e a Manuel Merino, presidente del paese per pochi giorni prima di essere cacciato dai movimenti sociali nel novembre 2020.
A Lima è stato avvistato anche il terrorista venezuelano Leopoldo López, ma preoccupa l’alleanza stretta tra l’ultradestra peruviana e quella spagnola. Fuerza Popular ha infatti sottoscritto con gli spagnoli di Vox la cosiddetta Carta de Madrid, un documento che afferma testualmente: “El avance del comunismo supone una seria amenaza para la prosperidad y el desarrollo de nuestras naciones, así como para las libertades y los derechos de nuestros compatriotas”. Tra i peruviani che hanno sottoscritto il documento vi sono Gustavo Nakamura, portavoce di Fuerza Popular, e Francisco Tudela, ex vicepresidente di Alberto Fujimori. Da parte sua Víctor Gonzáles, vicepresidente di Vox, ha ribadito il sostegno dell’estrema destra spagnola a Keiko Fujimori considerando legittime le sue accuse di frode e sostenendo l’ideologia razzista e fascista di Fuerza Popular.
Di fronte all’opinione dei Jurados Electorales Especiales, che hanno ritenuto nulli tutti i ricorsi presentati da Keiko Fujimori, Fuerza Popular ha comunque chiesto nuove elezioni insieme a Rafael López Aliaga, definito il “Bolsonaro brasiliano” ed ex candidato presidenziale di Renovación Popular al primo turno.
Sconfitta per la terza volta consecutiva dopo il 2011 ed il 2016, Keiko Fujimori sa bene che solo il sostegno proveniente da oligarchia e Forze Armate potrebbe aiutarla a sovvertire in maniera antidemocratica il risultato delle urne, per questo si è appellata allo scrittore Vargas Llosa (da tempo a rimorchio delle peggiori destre dell’intero continente latinoamericano) e addirittura a Vladimiro Montesinos, l’ex capo dei servizi segreti di Alberto Fujimori, adesso in carcere, ma uno degli ideatori dell’operazione che portò alla strage dei militanti tupamaros che, all’epoca della presidenza di “el Chino”, avevano preso centinaia di ostaggi all’ambasciata giapponese di Lima e furono uccisi a sangue freddo.
Infine, Keiko Fujimori ha cercato di dimostrare, senza successo, il legame tra Pedro Castillo e la guerriglia di Sendero Luminoso, ormai quasi del tutto inesistente da anni.
Se il 28 luglio Pedro Castillo riuscirà ad insediarsi, dovrà fare inoltre i conti con un parlamento dove le sinistre non hanno la maggioranza e, anche per questo motivo, è concreto il rischio di un colpo di stato per far cadere subito il maestro rurale o per metterlo di fronte quasi quotidianamente ad un vero e proprio percorso a ostacoli.
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