Latina

Il 7 settembre scorso il Covid-19 ha ucciso il sacerdote salvadoregno

Rutilio Sánchez: in direzione ostinata e contraria

Vicino alla guerriglia e impegnato nelle comunità di base, fino alla fine ha rappresentato una voce libera e critica del suo paese
22 settembre 2021
David Lifodi

Il 7 settembre scorso il Covid-19 ha ucciso il sacerdote salvadoregno Rutilio Sánchez

Il 7 settembre scorso il Covid-19 si è portato via padre Rutilio Sánchez. Padre Tilo, così era conosciuto popolarmente in El Salvador, fino all’ultimo è stato animatore delle comunità ecclesiali di base Sercoba (Equipo de Servicio a Comunidades de Base), convinto sostenitore della Teologia della Liberazione e sempre in prima fila nelle battaglie contro le multinazionali impegnate a depredare il suo paese.

Collaboratore di monsignor Romero, padre Tilo non si è mai fatto alcun problema ad andare controcorrente. In El Salvador, negli anni Ottanta, di fronte alle bande paramilitari che imperversavano nel paese approfittando della compiacenza della dittatura, padre Tilo disse: «Para hacer revoluciones no se necesita creer en Dios, pero sí es necesaria la fe en el pueblo».

Convinto sostenitore del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional («I guerriglieri che ho incontrato sceglievano di lottare senza tante riflessioni intellettuali, poiché per una vita degna, libera, giusta, vale la pena di rischiare il tutto», affermò una volta), padre Tilo era stato invitato più volte in Italia. Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani in America latina, ricorda che Tilo conosceva bene don Alberto Vitali, biografo di monsignor Romero, era legato all’esperienza di Pax Christi, innamorato del pueblo campesino e per tutti rappresentava una voce libera e critica.

Dei suoi 77 anni di vita padre Tilio ne ha trascorsi in gran parte in lotta. A seguito degli accordi di pace del 1992, che servirono soprattutto all’estrema destra arenera per perpetrarsi al governo in maniera formalmente legale, Rutilio Sanchez, insieme al Coordinamento della Chiesa popolare (Conip), scelse di andare nelle comunità contadine per denunciare le stragi di stato e non far perdere la memoria storica al suo paese. Fu in quel contesto che nacque Sercoba, anche grazie al sostegno di alcune parrocchie e di missionari laici italiani.

Partecipazione, coscientizzazione e organizzazione comunitaria furono i tratti distintivi di Sercoba. Nella bella intervista rilasciata a Laura Fantozzi, dal titolo “Un prete nella guerriglia”, don Rutilio Sanchez ricordava che, mentre era parroco di un piccolo paese a pochi chilometri da San Salvador, furono le parole di un vescovo a scuotere la sua anima: «I poveri non ti pagheranno mai, parla ma non mescolarti con loro. Questa fu una violazione interiore, davvero, che mise in discussione tutta la mia esistenza; alla fine, però, conclusi che non erano parole per me, che senza questo sentimento di amore per la libertà e la giustizia sarei stato un uomo morto. In El Salvador, ancora oggi, non hai opzioni: o accetti di essere schiavo, o te ne vai, oppure inizi a lottare. Non ho mai avuto l’anima di uno schiavo, non volevo fuggire, quindi la mia scelta è stata obbligata: restare al fianco del popolo, dei campesinos, con cui vivevo da sempre».

Di fronte alla povertà, alla violenza strutturale dilagante e alla sostanziale impotenza del paese verso la casta politica arenera (almeno fin quando il partito di estrema destra Arena è rimasto al governo, ma anche in questi pochi anni di governo del presidente millennial Bukele, rivelatosi del tutto inadeguato, pur trovandosi subito bene nei panni del caudillo, tanto da essere a più riprese contestato dai suoi concittadini), padre Tilo amava ricordare la sua collaborazione con monsignor Romero e, soprattutto, il suo impegno per El Salvador, dove la tortura e l’uccisione di sacerdoti e catechisti, oltre che di sindacalisti, studenti e militanti sociali, era divenuta una pratica comune. Lo stesso Oscar Romero, all’inizio su posizioni conservatrici, sarà assassinato durante una funzione religiosa, il 24 marzo 1980, dopo aver conosciuto di persona i contadini senza terra, le comunità indigene e un intero popolo ostaggio di una sanguinaria dittatura militare.

Più volte il regime provò ad ucciderlo. Nel 1976 il sacerdote trovò un esplosivo nella sua macchina, ma per fortuna non esplose, poi ignoti spararono contro la sua auto senza colpirlo fino a quando, nel 1977, la Guardia Nazionale circondò la chiesa e la casa parrocchiale di San Martín per catturarlo, ma il suono delle campane dette l’allarme e il religioso fu salvato dall’accorrere della sua gente.

“Gesù non fu un leader religioso, quanto un maestro politico che lottava per il bene comune”, amava ricordare padre Tilo. El Salvador, l’America latina e i teologi della liberazione hanno perso una delle maggiori voci profetiche del continente.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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