El Salvador: la “democratura” di Nayib Bukele
Dopo esser stato eletto nel 2019 all’insegna dell’antipolitica e cavalcando il disincanto degli elettori del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional - Fmln, nel giro di pochi mesi Bukele ha mostrato il suo vero volto.
A far temere il peggio, solo per rimanere a quanto accaduto nell’ultimo mese, la discussa Ley de la Carrera Judicial, l’attacco scatenato contro il mondo del lavoro, all’insegna di un’ondata di licenziamenti, una riforma della Costituzione non condivisa e, infine, il conseguente pasticcio che ha coinvolto il giudice titolare del massacro di El Mozote, quando, tra il 10 e il 13 dicembre 1981, un migliaio di civili furono uccisi dai militari del battaglione Atlacatl scatenato dalla dittatura arenera e giustificato dalla necessità di condurre un’operazione di contro-guerriglia.
In questa situazione, come facilmente immaginabile, è cresciuto il numero dei salvadoregni in fuga verso gli Stati uniti. Il dipartimento di Sicurezza Usa, in 11 mesi, ha fermato ben 88.000 migranti che, da El Salvador, cercavano di raggiungere il sogno americano. I dati si riferiscono al periodo 1°ottobre 2020 – 31 agosto 2021.
La fuga è comprensibile soprattutto se fosse confermata la notizia, diffusa da Resumen Latinoamericano, che sul proprio account twitter Bukele, il quale prima si identificava come presidente di El Salvador o papá de Layla, adesso si presenta come “dittatore”. Non si sa se l’account @nayibbukele sia un profilo fake, ma di certo l’esecutivo non si è nemmeno dato da fare per smentirlo.
Tuttavia, aldilà della forma, dopo aver celebrato il bicentenario dell’Indipendenza centroamericana dalla Spagna asserragliato all’interno del palazzo presidenziale, mentre la popolazione manifestava nelle piazze, Bukele aveva cercato di risollevarsi sottolineando la costruzione di due nuove ospedali, che saranno si edificati, ma con i fondi di uno degli ex presidenti efemelistas, Salvador Sánchez Cerén, non ha reso noto come intende migliorare la riforma delle pensioni, ma soprattutto, a preoccupare del bukelismo è ciò che il presidente intende fare nel breve periodo.
A questo proposito, fa riflettere il passo indietro di Jorge Guzmán, a cui inizialmente era stato tolto di mano il caso relativo al massacro di El Mozote a seguito della riforma della Ley de la Carrera Judicial. Per difendere l’indipendenza della magistratura, Guzmán, insieme ad altri colleghi, aveva rassegnato le dimissioni.
La Ley de la Carrera Judicial prevede, tra le altre cose, il pensionamento obbligatorio dei magistrati con oltre 60 anni di età, sostituiti nel giro di un fine settimana secondo modalità ritenute anticostituzionali poiché i magistrati avrebbero dovuto essere nominati su proposta del Consejo Nacional de la Judicatura e non in maniera diretta dalla maggioranza che sostiene il presidente in carica.
Dopo aver definito i giudici ribelli come corrotti, Bukele ha ordinato all’esercito di bloccare a Guzmán l’accesso agli archivi relativi al massacro di El Mozote
Presentata dal partito di Bukele Nuevas Ideas come una legge per combattere la corruzione, in realtà la Ley de la Carrera Judicial non fa nemmeno riferimento al clientelismo o a pratiche corruttive, quanto, piuttosto, sembra una risposta del bukelismo allo stesso giudice Guzmán che, nel 2020, aveva chiesto di mettere sotto processo il presidente perché non avrebbe permesso l’apertura degli archivi nelle mani dell’esercito a proposito del caso di El Mozote.
Il relatore speciale Onu sull’indipendenza di magistrati e avvocati, Diego García-Sayán,ha accusato Bukele di voler smantellare la magistratura e forse è stato anche questo a spingere il governo ad assegnare di nuovo l’incarico su El Mozote a Guzmán, il quale ha risposto che avrebbe accettato solo se fosse stato ripristinato l’ordine costituzionale.
La riapertura del caso di El Mozote era avvenuta nel 2016, a seguito dell’annullamento di una legge di amnistia per una dozzina di militari accusati di crimini di lesa umanità, ma la strada intrapresa da Bukele fa capire che quella di El Salvador, se non proprio una dittatura, è comunque una democratura o un regime autoritario, come dimostra la repressione dei cortei di protesta del 15 settembre scorso, tra i più imponenti nella storia del paese.
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