Brasile: le cucine comunitarie dei Sem terra
È in questo contesto che centinaia di famiglie si sono trovate a far fronte alle difficoltà di sopravvivere ogni giorno, con la maggioranza dei loro componenti già senza lavoro, in abitazioni di fortuna e, spesso, con bambini piccoli. A venir loro incontro è stato il Movimento Sem terra che ha deciso di sostenere la lotta delle famiglie brasiliane per avere almeno due pasti al giorno garantiti tramite la cozinha comunitária che, ad esempio, nell’occupazione Vila União, quartiere Tatuquara, all’estrema periferia di Curitiba (capitale del Paraná), è stata denominata Olga Vive per ricordare una lottatrice sociale uccisa dal Covid-19.
In Brasile il problema della denutrizione è tornato in primo piano a causa sia del crescente costo della vita sia per le difficoltà a guadagnare quel minimo che permette almeno un’alimentazione di base, per tutti coloro che svolgono lavori informali in cui sono impiegate le fasce sociali più povere del paese.
Un bel reportage a cura di Brasil de Fato ha raccontato l’organizzazione delle cozinhas comunitárias da parte dei Sem terra e degli altri movimenti sociali.
Attualmente, in Brasile, si stima che circa 33 milioni di persone siano disoccupate o sottoccupate. Inizialmente, il Movimento Sem terra si era fatto promotore di campagne di raccolta fondi all’insegna del motto Trabalhadores ajudam trabalhadores, fin quando il progetto delle “cucine comunitarie” ha trovato un grande sostegno soprattutto nel lavoro volontario dei militanti, che lo hanno ritenuto un sistema utile non solo a sfamare le famiglie più indigenti, ma anche un mezzo per ascoltare, raccogliere e comprendere i problemi della comunità, a partire dalla necessità di alfabetizzazione, come ha rilevato anche il Movimento de Trabalhadoras e Trabalhadores por Direitos.
Senza alcun sostegno, le famiglie senza casa, oltre ad essere costrette ad abitare nelle baracche, dovrebbero fare i conti anche con la mancanza di cibo presente sulla tavola. I Sem terra sono intervenuti nelle occupazioni di aree sorte ai margini delle metropoli e delle megalopoli brasiliane soprattutto a seguito della pandemia, quando alcuni lavori informali quali la raccolta di materiali riciclabili, specialmente la carta, hanno iniziato a perdere valore sul mercato. Contemporaneamente, la crescita del prezzo degli alimenti, a partire dai prodotti basici, ha fatto si che la fame diventasse una minaccia quotidiana per moltissime famiglie, a partire da quelle dei catadores, che recuperano, rovistando tra la spazzatura, alluminio, vetro, plastica e carta.
In Brasile quasi 20 milioni di persone soffrono la fame secondo i dati della Rede Brasileira de Pesquisa em Soberania e Segurança Alimentar, divulgati all’inizio del 2021. L’estrema povertà è triplicata, passando dal 4,5% della popolazione al 12,8%.
Dati simili sono stati raccolti anche anche dall’Instituto Brasileiro de Economia da Fundação Getúlio Vargas, che ha sollevato l’attenzione sull’aumento del numero di persone costrette a vivere per strada. Newton Gomes, professore specializzato in servizio sociale all’Universidade de Brasília, ha sottolineato che l’estrema miseria ha spinto molte persone a raggiungere le grandi città dall’interno del Brasile, costituendo così il fenomeno dei cosiddetti refugiados da pobreza ai bordi delle megalopoli del paese: si tratta di persone spesso disoccupate che il capitale costringe ad un permanente movimento e ad una costante migrazione per poi sfruttarli sulla base delle necessità contingenti.
Il lockdown ha letteralmente messo in crisi tutti coloro che si guadagnavano, in qualche modo, da vivere, o con la vendita ambulante o tramite altri piccoli servizi, ma sono stati costretti a perdere quel minimo salario per il quale ogni giorno dovevano sudare.
Per venire incontro ai settori più vulnerabili del paese, i Sem terra hanno unito i loro sforzi, almeno nella capitale Brasilia, con il Projeto Dividir, un’organizzazione non governativa che cerca di sviluppare una rete solidale e di sostegno alimentare alle famiglie che vivono per strada, in particolare per quelle che fanno parte di occupazioni e sulle quali pende il rischio quotidiano di sgombero, come accaduto mesi fa alla catadora Ivânia Souza Santos, cacciata insieme ad altre 24 famiglie da un’occupazione sorta a pochi chilometri dal centro della capitale.
La Bolsa Familia ideata dal lulismo, pur con tutte le contraddizioni e i casi di clientelismo dilagati negli ultimi anni del governo petista, rappresentava una fonte di sostegno su cui poter contare per le organizzazioni che si battono per il diritto all’abitare.
Guilherme Boulos, tra gli esponenti principali del Movimento Sem Teto, ha ricordato che le cucine comunitarie rappresentano un simbolo di resistenza e sono un seme di speranza in un paese in cui la presenza dei movimenti in ambito sociale serve a sopperire le evidenti carenze di uno Stato che non fa il suo dovere.
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