Managua - Pechino, la nuova rotta
Gli Stati Uniti hanno reagito condannando la decisione che, a loro dire, sarebbe contraria agli interessi nicaraguensi (che loro tutelano con sanzioni) ma evidentemente non hanno chiesto il parere dei loro impiegati locali, che gli avrebbero spiegato come la stessa impresa privata nicaraguense aveva sempre chiesto al governo sandinista di ristabilire le relazioni con Pechino. Alcuni osservatori hanno definito singolare che gli USA si preoccupino della fine delle relazioni con Taiwan quando così non fu nel caso di tutti gli altri paesi latinoamericani. Ma ciò si deve ad una considerazione ovvia: se con gli altri paesi latini Pechino è affare commerciale, nel caso del Nicaragua non sfugge a Washington l’elemento politico di vicinanza che sostiene e rafforza l’area potenziale della collaborazione; un elemento propedeutico a terreni di iniziativa politica condivisa sulla scena internazionale.
Con la chiusura delle relazioni con Managua, Taiwan perde anche l’ultimo lembo di associazione politico-commerciale con l’America Centrale, giacché ora Nicaragua, Panama, El Salvador e Costa Rica, insieme alla Repubblica Dominicana hanno interlocuzione unica con la Cina e l’Honduras prevede, nel programma elettorale della nuova Presidente, Xiomara Castro, l’apertura delle relazioni con Pechino e la fine di quelle con Taipei.
La decisione nicaraguense obbedisce tanto a questioni di principio come di ordine pratico. Sul piano del principio c’è un riconoscimento pieno della realtà storico-territoriale della Cina che comprende Taiwan come territorio cinese a tutti gli effetti e non come paese indipendente e il pieno, totale esercizio di sovranità cinese sia su Taiwan che sul Mar della Cina. L’adesione stretta del Nicaragua a quanto previsto dal Diritto Internazionale circa il rispetto dello spazio territoriale terrestre, acqueo e dei cieli è stato del resto l'asse anche dei ricorsi contro Colombia e Honduras; dunque ovvio che anche quando si tratti di altri Paesi il rispetto nicaraguense per l'integrità territoriale piena non può essere subordinato a contesti politici successivamente intervenuti e che abbiano modificato gli assetti in forma unilaterale.
La riapertura delle relazioni tra Managua e Pechino ed il reciproco riconoscimento politico era del resto inevitabile e, da parte cinese, era stato sottolineato in questi mesi con la difesa del Nicaragua operata in sede ONU e con l’immediato riconoscimento del risultato elettorale di novembre. Gesti di valore politico importante e unilaterale che sono arrivati pur in assenza di relazioni diplomatiche formali e, per questo, ancor più meritorie. Il nuovo corso riporta le relazioni cino-nicaraguensi agli anni della prima tappa della Rivoluzione Sandinista; erano infatti state interrotte dal governo di Violeta Chamorro, che su ordine USA aveva rotto i rapporti con Pechino e aperto agli affari con Taipei.
Le conseguenze su USA e OEA
Ovviamente, insieme alle considerazioni politiche sul rispetto del diritto internazionale, nella decisione intervenuta vi sono anche valutazioni di ordine strettamente politico e, conseguentemente, commerciale. L’aspetto politico risulta prevalente, nel senso che la pressione pesantissima degli Stati Uniti e della OEA (le due sigle sono quasi un sinonimo) sul Nicaragua, ben rappresentata dall’ossessione fobica del suo Segretario generale Almagro, che recita a soggetto il copione che gli viene scritto a Washington, viene regolarmente condita con minacce di applicazione della Carta Democratica dell’organismo continentale (dal quale però Managua è uscita). Il che potrebbe portare, secondo alcune interpretazioni giornalistiche circolanti, addirittura alla sospensione di Managua dal TLC (Tratado de Libre Comercio) che comporterebbe una difficoltà nel proseguimento degli scambi politici, diplomatici e commerciali tra il Nicaragua e una parte dell’America latina.
Interpretazioni ben più ferrate giuridicamente giudicano l’eventualità di applicazione della Carta Democratica non semplice, perché Almagro, che ne ha fatto una ossessione personale in vista dalla sua carriera all’ombra di Washington, rischia politicamente molto. I paesi che si sono astenuti nell’ultima votazione, infatti, sono paesi di peso politico rilevante e, se confermassero (come quasi certo) la loro opposizione a misure unilaterali, sancirebbero una spaccatura in due dell’organismo che diventerebbe lo scivolo di Almagro verso la porta.
Peraltro, prudenza vorrebbe un supplemento di ragionamento: ottenere 24 voti in una mozione di intenti è un conto, ottenerne gli stessi in una misura durissima che aprirebbe un precedente di facile replica per molti di quelli che dovrebbero votarla, appare molto meno semplice. E, se non si raggiungesse il quorum necessario, la permanenza di Almagro al vertice della OEA diverrebbe una barzelletta.
Ad ogni modo l’applicazione di quanto previsto sul piano sanzionatorio risulterebbe di difficilissima applicazione, se non altro per via dell’intreccio di relazioni commerciali che, al venir meno degli accordi in essere con Managua, obbligherebbero i paesi coinvolti alla ricerca di mercati diversi e certamente meno convenienti. Insomma, come sempre, il costo della furia criminale degli USA lo dovrebbero pagano i suoi alleati obbedienti.
I reciproci interessi
Con l’apertura del mercato cinese, l’allocazione delle esportazioni nicaraguensi è assicurata e la minaccia di bloccare l’export a Managua se non si piega al dominio dell’impero diventa d’un tratto, un momento di comicità involontaria.
La chiusura delle relazioni con Taiwan e la riapertura di quelle con la Cina, in questo quadro assume un valore assoluto, giacché contempla sia il passaggio tattico che quello strategico. Quello tattico nel limitare enormemente l’impatto delle sanzioni commerciali eventualmente decise sia dalla OEA che dagli USA con la Legge Renacer, sia dalla Unione Europea. Sul piano strategico perché la Cina, oltre a fornire una copertura politica di primissimo livello, un peso internazionale che compete con quello occidentale ed una intesa politico-militare con la Russia, alleato di primo piano del Nicaragua, ha nella decisione di investire in Nicaragua un interesse decisamente rilevante.
In primo luogo la Cina, per poter continuare a sostenere il tasso di sviluppo ai livelli ai quali è proiettata la sua economia, ha bisogno di cibo ed energia e il Nicaragua, nel suo piccolo, può certamente svolgere una funzione adatta ai bisogni cinesi. In secondo luogo la possibilità di riaprire il discorso sul canale interoceanico proietterebbe il ruolo del Nicaragua a leader della Regione centroamericana e, con sé, quello della Cina come potenza mondiale in grado di avere un percorso privilegiato nella via di comunicazione tra due Oceani, Pacifico e Atlantico. Da un punto di vista strategico è un aspetto di straordinaria importanza per entrambi.
La scelta di ritrovarsi con Pechino è, sotto ogni possibile punto di vista, un deciso upgrade del Nicaragua e la scelta dei tempi appare perfetta, a conferma della abilità tattica del suo presidente, il Comandante Daniel Ortega. Ritenendo erroneamente che il governo sandinista potesse essere preso per la gola e costretto alla resa, alla vigilia dell’insediamento del nuovo governo Stati Uniti e OEA si preparavano a minarne peso e autonomia attraverso nuove sanzioni e nuove minacce, ma sono stati resi innocui.
L’apertura al Nicaragua del mercato cinese e delle banche cinesi trasforma le minacce statunitensi in aria fritta e mette al sicuro la Patria di Sandino da rappresaglie di natura finanziaria e commerciale. La legge Renacer con la quale gli Usa pensavano di piegare Managua con una firma su un protocollo diplomatico è diventata un testo sterile. Una esibizione di potenza è divenuta una manifestazione d’impotenza.
di Fabrizio Casari | AltreNotizie
In spagnolo: LINyM
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