Il Cile volta pagina
Con uno scarto di 11 punti percentuali Boric, già definito il presidente millennial, ha riportato il centro-sinistra a La Moneda. I cileni hanno rifiutato apertamente il programma di Kast, fiero simpatizzante del pinochettismo, convinto assertore dell’urgenza di eliminare il Ministero della donna e promotore di un piano ancora più repressivo nei confronti dei mapuche, le cui bandiere hanno sventolato a lungo, sotto al palco di Boric, per festeggiarne la vittoria.
Quello che si annuncia come il primo governo “ambientalista e femminista” nella storia del Cile avrà di fronte un compito arduo. Pur sostenuto dai socialdemocratici Ricardo Lagos e Michelle Bachelet, suoi predecessori alla presidenza prima di Piñera, l’ex leader delle lotte studentesche che, nel 2011, smossero il Cile dalle sue fondamenta, dovrà comunque evitare di ripercorrere le loro orme più riformiste. Di certo, in uno dei paesi più diseguali al mondo, e con un’oligarchia che di certo non perderà occasione per mettergli i bastoni tra le ruote, Boric, non potrà fare la rivoluzione in pochi mesi, ma i punti principali del suo programma, da un’assistenza sanitaria equa al lavoro per una nuova Costituzione che renda giustizia alle molteplici lotte sociali presenti in Cile, fino all’impegno per togliere lo stato d’assedio, la militarizzazione e le violente operazioni di polizia in territorio mapuche, su cui era più volte inciampata anche la stessa Bachelet, fanno ben sperare.
Al primo turno Kast aveva ottenuto il 27,9% dei consensi contro il 25,8% di Boric che, nonostante abbia promesso di cancellare una volta per tutte il neoliberismo dal Cile, è stato costretto, inevitabilmente, a moderare la sua retorica per conquistare voti al centro. Se Kast ha avuto dalla sua parte, oltre al suo partito, il Fronte cristiano sociale, i pinochettisti dell’Udi, Boric ha vinto anche grazie al voto proveniente dalla Concertación, l’alleanza tra democristiani e socialisti alla base da sempre alla base delle presidenze “rosa” o di “centro-sinistra”, giunte a La Moneda.
In più, a sostenerlo in maniera compatta è stata la sua coalizione, Apruebo Dignidad, insieme alla sinistra sociale cilena che ha apprezzato sia l’incipit del suo discorso poco dopo la chiusura delle urne, in lingua mapuche, sia la chiusura, che ha richiamato l’intervento di Salvador Allende a seguito della sua elezione del 4 settembre 1970: “Vayan a sus casas con la alegría sana de la limpia victoria alcanzada”. Boric, che entrerà in carica il prossimo 22 marzo, dovrà adoperarsi per far convivere le diverse anime della sinistra, dal Frente Amplio al Partito Comunista, ma è già percepito come l’uomo del cambiamento e non può essere diversamente. Del resto, il nome stesso della sua coalizione, Apruebo Dignidad, è significativo perché mira a far ritrovare al paese quella dignità cancellata da un’oligarchia promotrice solo di politiche escludenti per oltre la metà dei cileni.
Nel 2019, la protesta giovanile e di massa contro il presidente Piñera e le sue politiche ultraliberiste riempirono le strade di Santiago del Cile e delle altre città del paese, oltre a sollevare un’onda lunga che avrebbe portato il vento della protesta anche in Ecuador e Colombia. La destra non è riuscita in alcun modo a frenare il vento del cambio. La presidenza Boric, sotto certi aspetti, è anche frutto di quell’estallido social del 18 ottobre 2019.
Il cinquantacinquenne Kast, astro nascente dell’estrema destra latinoamericana, ha rifiutato più volte, nei suoi interventi, di allinearsi alla vulgata di una destra liberale presentabile che, pur scommettendo sul neoliberismo, ha sempre riconosciuto i valori della democrazia. In Cile la destra radicale ha un ruolo rilevante e ciò a permesso a Kast di giocarsi la presidenza con Boric, ma lo ha anche indotto a clamorosi autogol con dichiarazioni da far rabbrividire, sostenendo, ad esempio, che se Pinochet fosse stato vivo avrebbe votato per lui e che il governo della dittatura, in relazione allo sviluppo del paese, era stato molto migliore di Piñera, di certo non propriamente un progressista.
Se in Brasile dichiarazioni politicamente scorrette, e anche peggiori di queste, hanno portato Bolsonaro a conquistare il Planalto, la stessa strategia in Cile si è rivelata perdente. La vittoria di Boric è stata limpida e netta e lo stesso Kast ha dovuto ben presto riconoscere la sconfitta.
Tra coloro che guardano con fiducia a Boric vi sono i mapuche. Lo stato d’assedio dell’Araucanía, la strategia della tensione imposta da Piñera, ma anche la timidezza e i troppi tentennamenti della ex Concertación devono essere superati rapidamente, così come tanti altri aspetti della vita politica del paese su cui l’agenda è stata troppo spesso dettata dalle destre, più o meno radicali, dai diritti civili a quelli sessuali e riproduttivi fino appunto all’autodeterminazione del pueblo-nación mapuche.
Quello che sembrava un ballottaggio dal risultato incerto si è trasformato, per Boric, in un trionfo. Se il nuovo presidente cileno manterrà fede alle sue promesse e si farà portavoce delle istanze delle piazze cilene e difenderà il processo costituente, il Cile potrebbe davvero cambiare pagina. La sua vittoria alle primarie contro Daniel Jadue, stimato esponente del Partito Comunista cileno, inizialmente fece storcere il naso a qualcuno, ma la sua giovane età è stata probabilmente determinante per condurre Boric alla guida del paese.
Ed ora alla lotta, Gabriel!
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